Inchieste

Come si crea una notizia falsa nell’era dei social network

Superficialità nel condividere post, manipolazione giornalistica e veri e propri “specialisti di bufale” creano un’alleanza imbattibile per fare disinformazione nell’era digitale.

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Non siamo mai stati così poco informati come da quando siamo così tanto informati. Superficialità nel condividere i post, tradizionale manipolazione giornalistica e veri e propri “specialisti di bufale” hanno creato un’alleanza imbattibile per la disinformazione nell’era digitale.

Strumentalizzazioni politiche o ideologiche, equivoci e isterismi di massa, catene di Sant’Antonio e pesci d’aprile allargati all’anno intero sono riusciti a creare una miscela incredibile in cui sembra diventato apparentemente impossibile distinguere il vero dal falso.
In realtà, basterebbe prendersi la briga se non di verificare una notizia, quantomeno di leggerla per intero, per fare un bel passo avanti verso la verità. Ma d’altra parte è in primo luogo sulla pigrizia che fanno leva i manipolatori dell’informazione e quelli delle coscienze.

 

All’indomani della strage di Orlando - quando un folle è entrato in un night club uccidendo 49 persone - su facebook e sugli altri social network ha preso a girare un indignatissimo post contro tale don Massimiliano Pusceddu, parroco sardo che avrebbe commentato la strage affermando che gli omosessuali “meritano la morte”.

 

In un paese come l’Italia, dove nulla si muove senza strumentalizzazioni ideologiche, non stupisce che la strage di Orlando piuttosto che sollevare il velo sul commercio delle armi e sulla facilità con cui in America si possano acquistare, abbia concentrato l’attenzione sulla matrice omofobica della strage e sulle presunte implicazioni del fondamentalismo islamico.

 

 

Quello che però deve far riflettere, è come – pur di strumentalizzare a fini anticlericali una tragedia – si sia arrivati a inventare una notizia di sana pianta e renderla virale.
Diciamo la verità: chi di noi non ha mai cliccato i famigerati pulsanti condividi o retwitta avendo letto solo il titolo dell’articolo? Il punto è che spesso il titolo è (volutamente) ingannevole. E il caso di don Pusceddu è da manuale.


Il post condiviso da migliaia di utenti, infatti, era un articolo pubblicato sul sito internet del Fatto Quotidiano scritto ad arte per “creare” una notizia falsa senza assumersi la responsabilità di scriverla apertamente.
L’articolo in questione fa riferimento a un’omelia di don Pusceddu, di cui viene anche riportato il video integrale: il titolo è “Gli omosessuali meritano la morte”. L’omelia del parroco contro le unioni civili. Il testo precisa che l’omelia è stata pronunciata il 28 maggio 2016. L’articolo, però, viene pubblicato il 13 giugno, ovvero il giorno dopo la strage di Orlando.


Dunque l’omelia non ha niente a che fare con la strage: don Pusceddu non sta commentando compiaciuto l’operato dell’assassino, bensì la legge sulle unioni civili appena approvata dal Governo italiano. Si tratta, dunque, di una forma di ingerenza ecclesiastica nella politica italiana e non di esternazioni omofobiche che legittimano la strage di Orlando.
Il Fatto, dopo tutto, non scrive il falso: si limita a decontestualizzare una notizia e a pubblicarla sull’onda emotiva e anti-omofobica generata dalla strage. Il giornalista sa benissimo che l’utente medio dei social non arriverà a leggere tutto l’articolo ma si fermerà al titolo convincendosi – dunque – che il prete in questione stia dalla parte dell’assassino e divulgherà indignato l’articolo aggiungendo commenti che espliciteranno la falsa notizia di cui, tuttavia, “F.Q.” (queste le iniziali che firmano il servizio) non è direttamente responsabile.

 

D’altra parte chi leggerà l’articolo per intero, una volta scoperto che il prete non commentava la strage di Orlando, sarà portato a pensare che quell’omelia si iscriva comunque nel clima di odio e di persecuzione nei confronti degli omosessuali che ha portato il folle di turno a premere il grilletto. Bisognerà infatti ascoltare l’intero video (ma in quanti si sono dati tanta pena?) per scoprire che il titolo stesso dell’articolo “Gli omosessuali meritano la morte” non corrisponde a verità ma rappresenta la tipica forzatura di cui sono spesso (e a ragione) accusati i giornalisti. Pusceddu non ha mai pronunciato, infatti, quella frase così grave che fa riferimento invece ad una lunghissima citazione da san Paolo, il quale – a sua volta – non parla specificatamente di omosessualità, ma cita tutta una serie di depravazioni tra cui “malignità, ingiustizia e omicidio” e in cui sono compresi anche i “crimini sessuali” (giudicati però per la loro lascivia e non per l’orientamento) e concludendo che “costoro meritano la morte”.

 

Non finisce qui. Una volta creato il caso, a rimestarci dentro ci pensa La Zanzara, programma di Radio24 orientato – come è noto – più alla satira che all’informazione. Nulla di più che una provocazione goliardica, quindi, ci si poteva aspettare dalla telefonata a don Pusceddu. Il prete, però, si dimostra meno sprovveduto di quanto ci si aspettasse: Cruciani non riesce a fargli dire ciò che vorrebbe per fargli fare la parte del prete folle e reazionario. Pusceddu, infatti, non solo spiega che la morte di cui parla san Paolo è “spirituale” e non fisica e condanna fermamente la strage di Orlando, ma aggiunge: “Gli omosessuali li rispetto, gli dò la comunione, li seguo e gli faccio fare un cammino”.


Il Fatto, però, si rifiuta di incassare il colpo e rilancia arrivando – questa volta sì – a scrivere il falso capovolgendo la realtà: l’articolo firmato da Gisella Ruccia riporta infatti così le parole del prete: “Confermo quanto detto nella mia omelia: meritano la morte. Non spirituale, ma fisica”.

 

Se tutto questo arriva da quello che molti considerano il più autorevole quotidiano italiano, non c’è da stupirsi se il 14 marzo 2013, all’indomani dell’elezione di papa Francesco, l’ansia di “sputtanare” subito il nuovo pontefice avesse portato ad un curioso mix di strumentalizzazioni di notizie vere e divulgazione di autentiche bufale, il tutto orientato a dimostrare le connivenze di Jorge Bergoglio con il sanguinario regime argentino. Il capolavoro fu la pubblicazione di una foto che ritraeva un presunto Bergoglio – ancora vescovo – nell’atto di dare la comunione al famigerato generale Videla.


Peccato che quando Videla era a capo del regime Bergoglio fosse un semplice prete e il vescovo nella foto nemmeno gli somigli più di tanto. La foto farlocca insieme alle notizie autentiche ma strumentalizzate (ancora una volta, in primis dal Fatto Quotidiano) fecero il giro del mondo e dovettero scendere in campo i diretti interessati (teologi della Liberazione e vittime del regime) per “scagionare” il papa da quelle false accuse.

 

 

E che dire dell’ancor più grottesca messa alla gogna di Steven Spielberg, accusato dagli animalisti di essere uno spietato cacciatore di animali esotici? Tutto ebbe origine da una foto che ritraeva il regista americano sorridente a fianco alla carcassa di un grosso animale che poteva ricordare vagamente un rinoceronte. Il realtà si trattava di un triceratopo, un dinosauro estinto 66 milioni di anni fa, e la foto era stata scattata nel 1993 sul set di Jurassic Park.

 

Non c’è da stupirsi, dunque che per cavalcare quest’onda morbosa siano nati giornali online e blogger specializzati proprio nella creazione e divulgazione di notizie false. La bufala è ormai diventata una vera forma d’arte che si serve degli stessi meccanismi perversi della stampa ufficiale per divulgare articoli fasulli. Il più “autorevole” è senza dubbio Lercio, che grazie alla grafica simile a quella del free press Leggo è riuscito per anni a ingannare migliaia di utenti con notizie come “Beppe Grillo dichiara: papa Francesco faccia al massimo due mandati e poi vada a casa”.


La fama guadagnata però, ne ha minato – paradossalmente – la credibilità costringendo la testata a diventare un semplice sito umoristico. Chi invece prende la bufala ancora molto sul serio è Ermes Maiolica, metalmeccanico ternano poco più che trentenne. “Bufale un tanto al chilo” è il suo motto e da vero artista non rinuncia mai a firmare le notizie assurde pubblicate in una miriade di siti-fake, inserendo sempre la sua foto o il suo nome nei ruoli più improbabili. Tra le più celebri bufale l’arresto per spaccio di Teo Mammucari che gli è valsa anche un’ospitata alle “Iene”, ma anche la mega offerta di 800.000 automobili che – non potendo essere vendute per problemi alla certificazione dei consumi – la Wolkswagen avrebbe regalato a chi avesse messo per primo “mi piace” su un post di facebook; che, per la cronaca, ottenne 115mila condivisioni e altrettanti “like”.

 

 


“Facevo battute sarcastiche sulle notizie inventate che trovavo nei vari gruppi – racconta in un’intervista a Wired - e la reazione erano centinaia di commenti indignati. Così cominciai anche io a bombardarli di notizie palesemente inventate, per rivelare poi che si trattava di una bufala”. “La cosa più assurda è che, il giorno dopo la zingarata - continua - le mie bufale erano riportate nei siti di controinformazione, come notizie vere. Ritrovai la mie bufale negli stessi siti dove mi informavo, così da lì cominciai a capire la debolezza e la strumentalizzazione dei media nei confronti dell’informazione”.


“La maggior parte della popolazione dimostra di non saper sfruttare le potenzialità di internet – conclude Ermes - si fa abbindolare da pubblicità ingannevoli e cerca in rete qualunque notizia che possa confermare i suoi pregiudizi. Vorrei far capire che in rete siamo noi stessi il sistema, tutto dipende da noi”. E forse il modo migliore per combattere le bufale a questo punto è alimentarle fino allo sfinimento. Per costringere la gente ad assumersi finalmente la responsabilità di ciò che scrive, ma anche di ciò che legge.
 

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.