Inchieste

Tutti “Abusati”, il caso Weinstein e l’ipocrisia del capro espiatorio. La “violenza” è un’ altra cosa

La sessualità, l’amicizia, la parentela, la politica giocano un ruolo fondamentale ai danni della meritocrazia, da sempre. Capita che le donne si offrano

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 #Quellavoltache una collega mi passò avanti perché aveva ceduto alle molestie del capo diventandone l’amante. E di conseguenza, la “più brava e la più meritevole” tra noi.Chissà se fra vent’anni lo denuncerà e lo trascinerà sulla pubblica gogna come un orco, o le sarà eternamente grata per la carriera fatta grazie a lui e al loro “grande amore”.Difficile saperlo. Così come è difficile, in questo momento, capire se lo scandalo Weinstein servirà a intaccare un sistema marcio fatto di soprusi, violenze e prostituzioni di vario genere, o resterà solo l’ennesima occasione per distrarre l’opinione pubblica da questioni ben più serie e per ripulirsi la cattiva coscienza sbattendo il mostro in prima pagina.Tutti sapevano e nessuno sapeva. Ma adesso, nel dubbio, sono tutti a stracciarsi le vesti: Harvey Weinstein, forse il più grande produttore di Hollywood degli ultimi trent’anni, è stato cacciato dall’Accademia degli Oscar, privato della Legion d’Onore, licenziato dalla compagnia che ha fondato una decina di anni fa dopo aver venduto alla Walt Disney la sua Miramax (casa di produzione che sta dietro a successi come Pulp Fiction e La vita è bella). E lasciato dalla moglie; la seconda: che ha 24 anni meno di lui e in dieci di matrimonio non si era mai accorta che il marito la tradiva. Una donna piuttosto distratta, se il produttore è davvero il laido predatore seriale che tutti descrivono scandalizzati e soprattutto, visto che tutti sapevano, forse era lei l’unica inconsapevole?.

 

Cosa abbia fatto esattamente Weinstein, in realtà, ancora non si è capito. Ma non importa: i fatti sono scomparsi ormai da tempo dalle notizie. D’altra parte, se nell’America puritana la priorità è nascondere la polvere sotto al tappeto e dissociarsi pubblicamente dal capro espiatorio di turno, in Italia - il paese di Schettino e di Saviano, dove ciò che è importante è trovare eroi da innalzare sugli altari e zimbelli da mettere alla gogna, sparare giudizi senza prendere nemmeno la mira e dividersi in tifoserie – l’opinione pubblica ha finito per concentrarsi, più che sulla figura di Weinstein, su quella di Asia Argento che si è annoverata tra le sue vittime, suggerendo peraltro – per chi volesse saperne di più – di guardarsi il suo film Scarlet Diva, dove in una scena ricostruisce nel dettaglio la violenza subita dal produttore.

 

Galvanizzata dal putiferio scatenato, la Diva Scarlatta ha successivamente aderito alla catena di solidarietà lanciata bimbominkiescamente su twitter sotto lo slogan #quellavoltache, e ha pubblicato un post che non si capisce se sia una denuncia o un indovinello: “Quella volta che un regista/attore italiano tirò fuori il suo pene quando avevo 16 anni nella sua roulotte mentre parlavamo del personaggio”.

 

 

Evidentemente consigliata dal suo avvocato, Asia ha sottolineato in un post successivo di non aver in alcun modo “fatto il nome dell’autore del gesto né tantomeno indicato elementi per identificarlo. Pertanto chiunque pretenda di conoscerlo, scrivendo qui o altrove il presunto nome, se ne assume per intero e personalmente la responsabilità”.

Non ha indicato elementi per identificarlo, dice lei. Ma certo non c’è bisogno di fare una caccia al tesoro, per sapere che a 16 anni Asia Argento ha interpretato Le amiche del cuore di Michele Placido, anche perché è il film che ha lanciato la carriera della figlia di Dario Argento, finora comparsa al cinema solo in ruoli, appunto, di “figlia” e che divenne un’attrice “importante” proprio grazie a quella pellicola che raccontava il rapporto incestuoso con un padre interpretato proprio da Placido.

Nel frattempo lo scandalo si è allargato a macchia d’olio e ha coinvolto anche uno dei più grandi divi di Hollywood come Kevin Spacey, che ha ammesso di aver molestato degli attori adolescenti e ha subito destino analogo a quello del produttore: non solo è stato cacciato dal suo regno televisivo di House of cards, ma Ridley Scott è arrivato ad eliminarlo dal suo nuovo film a lavorazione finita, montaggio completato e promozione avviata. Pur di non avere il nuovo “mostro” di Hollywood nel cast, Scott – con un atto senza precedenti - tornerà a girare tutte le sue scene con il sostituto Christopher Plummer (richiamando sul set gli altri protagonisti) e il suo problema, ora, è rispettare la data di uscita, prevista tra poche settimane.

 

 

Ancora una volta, se in America è partita una nuova caccia alle streghe che non risparmia – dunque – i gay, in Italia, con il consueto provincialismo, lo scandalo Weinstein si è trasformato nell’eterno gioco “maschi contro femmine”: ci sono opinioniste che sui social sono arrivate ad affermare che a prescindere dalla condotta delle presunte vittime (spesso quantomeno discutibile) bisogna unirsi alla lotta di genere in nome della solidarietà femminile.

L’assunto è quindi che le donne, in quanto donne, sono vittime degli uomini, che in quanto uomini approfittano del loro potere per sottometterle fisicamente e psicologicamente. E pazienza se spesso è proprio la donna ad offrirsi spontaneamente all’“orco”, spinta dall’ambizione ma non di rado anche da una cinica madre.

 

Niente di nuovo sotto il sole: qualche anno fa è andato in scena uno spettacolo dal sarcastico ed esemplare titolo Il lavoro dell’attrice sul produttore (che fa il verso ai capolavori di Stanislavskij Il lavoro dell’attore sul personaggio e Il lavoro dell’attore su sé stesso) scritto e diretto da un attore – Riccardo Leonelli – e interpretato da Francesco Branchetti e Veronica Gentili (oggi giornalista e opinionista del Fatto Quotidiano).
Frutto delle frustrazioni di chi conosce bene i meccanismi del mondo dello spettacolo, il testo passava in rassegna una vasta gamma di approcci: dalla molestia del produttore sull’attrice a quella, appunto, dell’attrice sul produttore, che sembrano oggi riecheggiate anche dai racconti di Giancarlo Parretti – ex proprietario della Metro Goldwyn Mayer.

 

 

E’ vero però che al di là delle facili indignazioni, il ruolo tra relazione sessuale e rapporto di lavoro meriterebbe sicuramente una riflessione seria. Anche se di sicuro sarà difficile che questa riflessione possa cambiare davvero le cose: che la sessualità, così come l’amicizia, la parentela, l’appartenenza politica, ideologica o religiosa giochino un ruolo fondamentale ai danni della meritocrazia, è innegabile e si tratta probabilmente di una dinamica impossibile da estirpare, che andrebbe però combattuta a 360 gradi: vedere gente che si indigna per questo genere di prostituzioni avendo basato tutta la propria carriera sull’appartenenza politica o sulle raccomandazioni è davvero risibile. O rivoltante, fate voi. Ora, dopo anni, arrivate le accuse anche al regista Fausto Brizzi e quella a Blatter. Le indagini, se ci saranno, probabilmente porteranno a poco, ma siamo curiosi.

 

D’altra parte il confine tra corteggiamento galante e molestia, a volte, può essere tutt’altro che chiaro, e il più delle volte dipende dalla sensibilità della donna oggetto delle attenzioni. E se la parola “stupro”, in italiano, ha ancora un significato ben preciso, lo stesso non può dirsi per “abuso” che può indicare una vasta casistica di comportamenti fisici o psicologici. Quando ci si confronta con altre lingue, poi, la cosa si fa ancora più insidiosa: chi scrive, tempo fa, alla terza volta che si sentiva dire, da una ragazza ucraina con cui stava scherzando “Why are you abusing me?”, le ha fatto presente che non l’aveva sfiorata nemmeno con un dito. E lei ha spiegato che per “abusare” intendeva “prendere in giro”.

Confondere abusi, molestia, corteggiamento, stupro, ricatto e relazione sentimentale più o meno interessata, di certo non serve a nulla, se non a polarizzare una ridicola guerra fintamente moralizzatrice.

 

 

Talmente ridicola che dall’indignazione e le denuncie, siamo già passati alle parodie: ormai sui social circolano soprattutto vignette satiriche, divulgate tanto da maschi quanto da femmine, come quella che dà conto della denuncia per molestie di un’attrice di 122 anni contro Charlie Chaplin: “Avrei voluto parlare prima, ma il cinema era muto”. E se Ermes Maiolica (il re della fake news) dichiara di essere stato molestato da Selvaggia Lucarelli non mancano giovani attrici che accusano scherzosamente di abusi la loro regista lesbica, mentre tra i meme del momento c’è quello con Cicciolina che afferma: “Mi hanno chiesto di fare sesso per lavorare”.

 

Come sempre accade, l’umorismo smaschera il ridicolo e ripristina gli equilibri. E in questa storia, di certo c’è bisogno di farlo: cosa c’è di più grottesco e ridicolo di un processo in cui il tribunale viene sostituito da twitter, in cui la violenza sessuale viene equiparata alla battuta sessista e in cui a giocare il ruolo delle vittime sono le donne che si sono prostituite per fare carriera, dimenticando che le reali vittime di questo sistema infame – maschi quanto femmine – sono quelle che si sono rifiutate di scendere a compromessi, a volte pagando con la propria carriera, a volte portandola avanti con dignità. Una dignità che non si riconquista certo esternando contro anonimi sui social.

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.