Inchieste

Italia: la casta politica più cara d’Europa e lo scandalo per aver donato “solo” 23 milioni di euro

A prescindere dal credo politico c’è solo il partito dei 5 Stelle che vuole fare tagli. Ogni deputato italiano ha un’indennità di 11.283€+diaria di 3.503€+1.331€ per i trasporti, anche se viaggiano gratis

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Come i clienti del bordello che gridano allo scandalo perché il parroco ha sorriso alla catechista; come i trafficanti di ragazze nigeriane che accusano il poliziotto di aver tradito la moglie; come il boss mafioso che addita il magistrato uscito dal bar senza scontrino. Così la casta politica italiana ha inventato “Rimborsopoli”, riciclando il suffisso che da 26 anni indica un fenomeno di corruzione politica dilagante, tanto esteso da poter spazzare via un intero partito.
Il problema è che quando si perde il senso del ridicolo si finisce per esibirsi in clamorosi autogol, e oggi buona parte degli analisti ritiene che il presunto scandalo non farà che giovare al Movimento 5 Stelle. Perché a tutto c’è un limite: e se l’accusa più infamante che si può fare al partito di Beppe Grillo è che i suoi parlamentari hanno donato ad un Fondo per le piccole e medie imprese 23 milioni di euro, invece dei 25 previsti, questa è senza dubbio una buona notizia per chi si prepara a votarlo. Tanto più dal momento in cui gli accusatori più feroci sono proprio quelli che i milioni se li tengono bene stretti, mentre i vertici del Movimento hanno condannato senza appello gli accusati, annunciandone l’espulsione.

 
Ma andiamo con ordine.
Una delle battaglie storiche di Beppe Grillo, da prima ancora che esistesse anche solo l’idea di costituire un movimento politico, è sempre stata quella del taglio degli stipendi dei parlamentari. E non è certo solo un’idea di Grillo, perché lo scandalo – quello vero – è da anni sotto gli occhi di tutti: i politici italiani sono i più ricchi al mondo, con uno stipendio che è superiore del 60% alla media dell’Unione Europea. 
 
 
Ad ogni deputato italiano va infatti un’indennità parlamentare di 11.283 euro lordi a cui si aggiungono una diaria di 3.503 euro, 1.331 euro per i trasporti (quali trasporti, poi, dal momento che viaggiano gratis su treni, autostrade, navi e aerei?), 100 euro per le spese telefoniche e 41,7 euro per la dotazione informatica. Dal conteggio sono poi esclusi gli importi per i collaboratori diretti, che rientrano nelle spese di rappresentanza, pari ad ulteriori 3.690 euro mensili che – in realtà – il deputato non è tenuto a dimostrare di aver speso, tanto che i portaborse vengono spesso pagati in nero. Solo il 50% deve essere rendicontato.

Tutto compreso, quindi, si va a sfiorare i 20mila euro mensili. Stessa cifra, più o meno, per un senatore, che riceve 11.555 euro di indennità, 3.500 di diaria, 1.650 euro per i trasporti e 4.180 euro per le spese di rappresentanza.
L’Italia guida dunque la classifica della casta politica europea, seguita da Austria, Olanda, Germania, Irlanda, Belgio, Grecia, Lussemburgo e poi ancora Francia (dove i parlamentari guadagnano meno della metà dei loro colleghi italiani), Finlandia, Slovenia, Cipro, Portogallo, Spagna (i cui onorevoli percepiscono uno stipendio cinque volte inferiore ai nostri) e Malta.
 
 
Ma anche uscendo dall’Europa l’Italia mantiene il suo primato davanti ad Australia, Stati Uniti, Canada e Norvegia, mentre un parlamentare inglese guadagna circa la metà di uno italiano.
Vale la pena di ricordare che altrettanto imbarazzanti sono gli stipendi dei consiglieri regionali, che spaziano dal 50 al 90% di quello di un deputato, a fronte – peraltro - di cifre assai più misere a disposizione di sindaci e assessori comunali.
Nonostante lo scandalo cavalchi da anni – ed è senza dubbio una delle ragioni stesse del successo di Grillo – nessun ridimensionamento è stato attuato fino ad oggi. Già, perché quando si tratta di ritoccarsi stipendi e pensioni, i politici italiani non conoscono divisione e vanno tutti d’accordo: destra, sinistra, centro, centrodestra e centrosinistra.
 
 
  
 
 
La cosa ancora più grottesca, è che il mantra ripetuto da tutti per giustificare gli stipendi da favola, è che se i politici guadagnassero troppo poco “potrebbero fare politica solo i ricchi”. Peccato poi che le stesse voci si alzano ad additare Luigi Di Maio come uno che si è arricchito con la politica. D’altra parte la coerenza non è mai stata la principale virtù dei politicanti, chiederla quando sono in ballo soldi e privilegi, poi, a quanto pare è davvero troppo.

“C’era una volta un Re che dal palazzo / mandò in piazza al popolo quest’editto: / ‘Io sono io, e voi non siete un cazzo’”.

Così scriveva nel 1831 Giuseppe Gioachino Belli, coniando una frase ripresa e resa celebre dal Marchese del Grillo di Alberto Sordi, e che ancora oggi rappresenta bene l’atteggiamento dei politici verso quelli che vengono ancora percepiti come sudditi, anziché come datori di lavoro.
Niente di strano, dunque, che nonostante l’indignazione popolare, alla riduzione degli stipendi nessuno abbia mai pensato seriamente di mettere mano; in compenso altri due privilegi aboliti dopo Tangentopoli sono stati sfacciatamente reintrodotti: l’immunità parlamentare e il finanziamento pubblico dei partiti, “mascherato” sotto forma di rimborso delle spese elettorali.

Oltre a pagargli profumatamente la poltrona, infatti, noi contribuenti – ai nostri dipendenti assai poco onorevoli – dobbiamo pagargli anche la pubblicità con cui ci tormentano in ogni dove.
Non a tutti, però: se nel 2013 il Partito Democratico si è visto assegnare 45,8 milioni di euro e il Popolo della Libertà se ne è presi 28 milioni, il Movimento 5 Stelle ha rifiutato i 42,7 milioni che gli sono stati assegnati, e ancora oggi finanzia la sua inevitabilmente più sobria campagna elettorale esclusivamente con le donazioni dei propri sostenitori.

L’altro gesto compiuto dai parlamentari e dai consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle è stato invece quello di auto-ridursi lo stipendio, trattenendo solo 3mila euro netti e versando il restante in un fondo destinato al sostegno delle Piccole e medie imprese, mentre qualsiasi altro rimborso extra deve essere giustificato con la documentazione delle spese (i famosi scontrini di cui tanto si è parlato).
Una quindicina di parlamentari su 123, però, non avrebbe versato tutto il dovuto nel fondo, in qualche caso adottando lo stratagemma di ordinare il bonifico alla propria banca e poi revocarlo all’ultimo momento.
 

Alla fine dei conti, come anticipato, nel suo complesso i parlamentari grillini avrebbero rinunciato a 23 milioni di euro anziché 25.  
Tutto qui. Un po’ poco per gridare allo scandalo e all’ipocrisia di un Movimento che predica bene e razzola male. Tanto più dal momento in cui la condotta dei parlamentari “furbetti” è stata subito severamente condannata da tutti i vertici del M5s, alcuni degli smascherati si sono auto-definiti traditori e nessuna complicità o connivenza è stata dimostrata con le alte sfere, mentre l’unico a spalancare le braccia ai “furbetti del bonifico” è stato Silvio Berlusconi, che si è prontamente detto disponibile ad accoglierli in Forza Italia.
 
 
Beppe Grillo, da parte sua, se cinque anni fa saliva al Quirinale e si confrontava con Matteo Renzi, oggi ha deciso di restare da parte e tornare a fare il comico e il blogger: ha affidato la guida del partito a Luigi Di Maio, tolto il suo nome dal logo e separato nettamente il sito del Movimento 5 Stelle dal suo blog personale, che ha ripreso a fare informazione, approfondimento e satira, e non più politica attiva.
 
Non si è trattato di un divorzio dalla sua creatura (di cui resta fondatore e garante) ma di un recupero di freschezza e di identità: il Movimento non è più un gruppo di cittadini incazzati riuniti attorno a un comico, ma il primo partito italiano e per continuare ad esserne un ispiratore e un punto di riferimento, Beppe Grillo doveva tornare sé stesso dismettendo panni che non gli appartengono e ricominciando a fare ciò che sa fare meglio di chiunque altro.
 
Così, anche lo stesso scandalo, lo ha potuto affrontare non da leader politico costretto a giocare in difesa, ma con il distacco del comico che può permettersi di fare satira anche sui suoi: “Dovete capire - ha detto in un videomessaggio - che queste dieci-dodici persone hanno una malattia che si chiama ‘Sindrome compulsiva di donazione retroattiva’: è una sindrome che conosco bene perché colpisce anche molti genovesi. Quando fai una donazione, a Genova, se devi dare 10, magari 2 te li tieni per rimborso spese. Loro hanno esagerato un po’ nel rimborso spese”.
 
Niente come l’umorismo è in grado di riportare una realtà distorta alle sue giuste proporzioni: solo una battuta auto-satirica poteva dunque svelare il Grande Scandalo per ciò che è veramente: una polemica ridicola. Tra la gente si sente spesso: “E’ come accusare qualcuno che porta del cibo in strada ai poveri, in questi giorni di freddo gelido, di essere un imbroglione solo perché magari ha portato solo un primo caldo invece del primo e del dolce che aveva detto di preparare. E le accuse vengono da chi magari non ha mai portato neanche una briciola in strada ai senza tetto”.
 
Eccetto qualche rarissima eccezione non risulta che gli altri partiti abbiano mai tolto qualcosa dal loro stipendio personale e tornando al Movimento 5 Stelle non c’è dubbio che quella decina di parlamentari, su 123, abbia sbagliato. Non ci sono dubbi: ma il punto non è se c’è o no qualcuno che sbaglia; il punto, semmai, è se chi sbaglia viene punito o viene giustificato.
 
 
Il nodo vero della questione rimane se sia legittimo o meno che i parlamentari italiani guadagnino così tanto da dover costringere chi vuole dare il buon esempio ad auto-ridursi lo stipendio (lasciandogli inevitabilmente la possibilità di non farlo).
 
Ecco, dunque, il boomerang: perché lo scandalo Rimborsopoli non fa che ricordarci che gli stipendi dei parlamentari vanno tagliati per legge e non per buona volontà.
Paradossalmente poi, tra gli accusatori del Movimento 5 Stelle c’è stato addirittura qualche deputato che ha affermato di devolvere in beneficenza la propria indennità.
D’altra parte la beneficenza, in Italia, è una medicina universale, un’ottima alternativa alla giustizia, all’etica, all’onestà, alla coerenza, all’impegno.

Il mondo è pieno di mafiosi benefattori, produttori di inquinamento che finanziano la ricerca sul cancro, multinazionali che con un braccio promuovono fondazioni benefiche e con l’altro affamano interi paesi.
 
L’Italia, da parte sua, è il paese dei furbi e delle maratone di solidarietà, dove il mascalzone è assunto ad eroe nazionale ma le raccolte fondi sono sempre straordinariamente generose. Della beneficenza, però, non ci sarebbe affatto bisogno in un paese in cui regnassero giustizia ed equità: non è di generose e spontanee elargizioni che l’Italia ha bisogno, ma di etica, giustizia e meritocrazia.
 
L’unico modo per evitare scandali come Rimborsopoli, allora, è tagliare una buona volta gli stipendi della casta. Quasi tutto il popolo italiano è d’accordo, non abbiamo mai sentito qualcuno, anche simpatizzante di altri partiti, essere contrario. Il bello è che l’unico partito che vuole farlo è proprio solo il Movimento 5 Stelle. Forse gli altri hanno così tanta paura che possa vincere e governare, probabilmente, perché sanno che li taglierà davvero?

 
 
 
Arnaldo Casali
di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.