Inchieste

La rivincita della televisione e dei media che non moriranno mai. Tutti vogliono fare TV

Gli effetti negativi dei social o della tv dipendono sempre dal loro uso

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Nessun media morirà mai. Lo sostengo da sempre. Figuriamoci il media per eccellenza, la televisione, quello che più di ogni altro ha influito sulle nostre abitudini. In molti avevano decretato la sua fine: titoli a caratteri cubitali sui giornali, libri, saggi, ricerche. Tutto inutile, sono state sovvertite le tesi più negative. Altro che crepuscolo o declino. Chi parlava di appiattimento della programmazione e di mancanza di idee non ha colto nel segno. Anche la televisione generalista, quella che più di ogni altro mezzo doveva uscirne con le ossa rotte, sta conoscendo, invece, un momento di grande vitalità.
Si potrebbero fare esempi clamorosi. Eppure la forza del media in questione doveva in qualche modo lasciare intendere che nel vortice di trasformazioni legate allo sviluppo digitale la televisione avrebbe trovato una nuova dimensione, rimanendo comunque uno dei canali di comunicazione preferiti dal pubblico. In effetti lo è. Oggi tutti vogliono fare televisione, sui siti, sugli smartphone, sui tablet. Attraverso internet si moltiplicano i canali che diffondono suoni e immagini. La televisione non è più racchiusa in una scatola ma è dappertutto.


Il successo di YouTube è stato uno dei primi segnali. Il numero dei video pubblicati ogni giorno è impressionante: 60 ore al minuto. Come il tempo medio di visualizzazione: nel 2016 è stato di 1 miliardo di ore. Un successo, dovuto, secondo il Wall Street Journal, alla potenza degli algoritmi, grazie ai quali a ogni video vengono associati altri filmati correlati. L’utente, in questo modo, rimane catturato e solo dopo un certo periodo di tempo abbandona il portale per dedicarsi ad altro.
Ma non è solo questo. Cambiano le abitudini, e i prodotti audiovisivi vengono fruiti in modalità diverse rispetto al passato. Gli utenti non sono più solo legati alla programmazione dei palinsesti. A parte gli eventi in diretta, come una gara di calcio o una corsa automobilistica, oggi è possibile guardare un film in qualsiasi momento e all’ora che si vuole in on demand.Le possibilità di diffondere contenuti video sono molteplici. E il risultato è che tutti vogliono produrre contenuti. A partire dai colossi del web. Oltre a YouTube, Hulu, Netflix, anche Apple, Amazon e il social dei social,Facebook,intendono impegnarsi per la produzione di serie televisive.
Non è solo una questione di business.

 

 

O meglio, fare televisione per un social network vuol dire anche fidelizzare il proprio pubblico proponendo un’offerta sempre più ampia. Un pubblico che tendenzialmente vuole riconoscersi nei contenuti proposti. Un pubblico, insomma, più attivo, anche se il termine è improprio e troppo sfruttato. Parlare di attività o di passività è sempre relativo. C’è chi sostiene che guardare la televisione è già un comportamento attivo. Equivale, insomma, a una intenzione. Poi c’è l’interazione, e la possibilità per il pubblico di commentare quello che succede nel piccolo-grande schermo.La social tv è un esempio valido. Cioè quell’attività di interagire attraverso i social network con un programma televisivo e commentarne i contenuti pubblicando opinioni ed esprimendo valutazioni.

 

Certo, la televisione ha subito e subirà le trasformazioni dovute allo sviluppo digitale. Cambia, con internet e con i nuovi device, la percezione di quello che si vede. Le immagini si materializzano sul display di un cellulare o sullo schermo di un pc. E anche sulla televisione, oggi smart tv, è possibile cliccare sulle applicazioni e guardare immediatamente, in on demand, i video offerti.

Una programmazione diluita nel tempo, che non ha scadenze particolari e che non è legata, come dicevamo, al palinsesto della giornata. L’evoluzione del mercato, dunque, si proietta verso due principali direzioni: l’apertura dei canali d’accesso, oggi numerosi rispetto al passato, e il livello dei consumatori di media.
Cambia il concetto tradizionale di televisione, ma il mezzo è più forte che mai, sempre più aperto alle richieste. Emergono, così, nuove tipologie di contenuti e di servizi destinati al pubblico.E anche nuove forme di spot.

 

 

Aveva ragione Larry Grossberg, studioso americano, uno dei massimi esperti in comunicazione: la televisione del futuro cambia il proprio significato di contesto in contesto. Ovvero, il suo processo comunicativo è condizionato dall’ambiente sociale in cui ha luogo. La visione di un contenuto produce risposte differenti a seconda del luogo di fruizione. Cambia, quindi, anche rispetto al mezzo che viene utilizzato per la diffusione dei contenuti. E diversi sono gli effetti di quello che viene considerato un processo di consumo critico, cioè l’atteggiamento nei confronti della ricezione.

 

In definitiva, la nascita di nuove piattaforme sollecita un’ulteriore analisi sull’assorbimento dei media. La cui influenza è sempre relativa, anche se il telespettatore, di fronte alle nuove prospettive, deve essere in qualche modo guidato e tutelato. Gli effetti negativi dei social o della tv dipendono sempre dal loro uso. Singolarmente ogni media non è né buono né cattivo. Come diceva David Sarnoff, fino al 1970 a capo della RCA, Radio Corporation of America, siamo troppo propensi a fare degli strumenti tecnologici i capri espiatori dei peccati di coloro che li maneggiano. Il loro valore è determinato dal modo in cui vengono usati.

 

Personalmente non ho mai demonizzato nessun mezzo di comunicazione. E anche la televisione, così come internet, deve essere utilizzata evitando a sua volta di farsi utilizzare. Con il digitale non è facile: siamo continuamente controllati. Possedere uno smartphone è come avere un localizzatore che ci segue ottenendo ogni informazione sui nostri spostamenti e sulle nostre abitudini. Ma c’è anche la possibilità di rifiutare, con un clic, tutte le richieste che ci arrivano dai siti e dalle applicazioni.
Con la televisione è più semplice. Occorre viaggiare nel suo nuovo mondo con maggiore consapevolezza e con gli anticorpi giusti. La televisione, con le sue forme più moderne di trasmissione, rimane il media più seguito. A noi il compito di contribuire a renderla migliore, di qualità, premiando i contenuti più innovativi e rispettosi nei confronti del pubblico. In fondo, come sosteneva il divulgatore scientifico Steven Johnson, la tv fa male solo a chi non la guarda. Una provocazione, ma la realtà non è molto lontana. Per Johnson la tv, i videogiochi e più in generale le tecnologie hanno contribuito a creare una generazione più intelligente. Speriamo.

 

Antonio Pascotto

di Antonio PascottoGiornalista Caporedattore All news Mediaset, Tgcom 24.