Inchieste

Vantaggi, Soldi, Scelte, Neuroeconomia e Neuromarketing

Il comportamento degli esseri umani è determinato dalla loro natura e condizionamento culturale

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Ad aprile ho partecipato a quello che probabilmente è stato il convegno più interessante di quest’anno.
Se non altro perché si è svolto a Napoli, una città unica che invita continuamente a riflettere sul rapporto natura-cultura. Eravamo più di 500 partecipanti. Si parlava del futuro.

Tra i keynote speakers di una sessione plenaria un noto filosofo italiano spiegava come la tecnica è arrivata a prevalere sull’uomo.
Con la sua presentazione ha trasmesso al pubblico in sala il fascino della cultura umanistica con riferimenti che spaziavano da Platone ad Heiddeger alle più importanti vicende storiche che hanno segnato il ’900. Al termine della presentazione ha avuto uno degli applausi più caldi del convegno. Anch’io ero tra quelli che lo applaudivano affascinato dalla capacità di sintetizzare tanti elementi e collegare tanti punti importanti della nostra storia. In effetti però non condividevo né le sue premesse né parte delle sue conclusioni.
Il filosofo aveva raccontato le vicende – narrate da Platone – di Prometeo e Epimeteo e di come Epimeteo distribuì gli “istinti” tra gli animali fino a quando, arrivato all’uomo, si accorse che non ne restavano più. L’uomo differirebbe dunque dagli animali – a detta del filosofo – per l’assenza degli istinti, in luogo dei quali gli fu donata la perizia tecnica e l’arte del fuoco.
Questo è un punto molto importante. Una parte della cultura classica ha ignorato per molto tempo, anche negli studi economici, che il comportamento degli esseri umani è determinato dalla loro natura, oltre che dalla loro cultura, e che natura e cultura sono legate da un rapporto di reciproco condizionamento.
Nel terzo millennio non possiamo certo ignorare le scoperte scientifiche sul modo in cui la nostra biologia determina il nostro comportamento.


Siamo creature biologiche, tutto ciò che siamo ha origine da un processo biologico. Non siamo delle “lavagne su cui viene scritto ciò che percepiamo dall’esterno. Siamo lavagne su cui molto è già scritto, ma appare solo se la luce, ossia l’esperienza, le illumina”.

 



La neuroeconomia studia le basi neurali delle nostre decisioni economiche; il neuromarketing studia le basi neurali di una parte di tali decisioni: le decisioni di acquisto/consumo.

 

Già Adam Smith, nella sua Teoria dei sentimenti morali, suggeriva che la coscienza e il comportamento positivo degli umani sono parti intrinseche della loro struttura psicologica e sono attivate in modo alquanto naturale dalle nostre relazioni sociali.
Adam Smith nel suo libro descrive un acrobata che cammina sospeso su una corda oscillando nell’aria. Gli spettatori, sotto di lui, oscillano anch’essi, quasi a voler imitare il movimento dell’acrobata.



Oggi spieghiamo questo comportamento con i neuroni specchio, i “neuroni dell’empatia”, tanto importanti che Vilayanur Ramachandran ne ha paragonato la scoperta alla scoperta del DNA.

 

Con il suo gruppo di ricerca Rizzolatti scoprì che, in alcune aree del cervello di un macaco, vi sono neuroni che rispondono in modo selettivo a gesti aventi con un certo scopo. Il neurone specchio risponde allo scopo di un gesto, non al gesto in sé, sia quando il gesto è eseguito sia quando il gesto è semplicemente osservato.


I neuroni specchio consentono di comprendere le intenzioni che guidano i gesti altrui, sono alla base dell’empatia e della nostra capacità di comprendere gli altri. Grazie ai neuroni specchio l’uomo ha potuto iniziare il proprio apprendimento per imitazione, riuscendo così a «leggere» l’azione altrui come se fosse la propria. È per questa via che la natura ha determinato la cultura.

 

(Per un approfondimento del tema vi consiglio di leggere “In te mi specchio”, testo in cui Rizzolatti si racconta e spiega – con semplicità e chiarezza esemplari – come siamo biologicamente costruiti per stare insieme agli altri e condividere con loro le nostre emozioni).

 

L’economia ortodossa non ha tenuto conto del ruolo della natura quando ha edificato le proprie teorie sull’ipotesi dell’homo oeconomicus, ossia di un soggetto razionale che massimizza continuamente la propria utilità. Un soggetto che mette al primo posto il tornaconto personale.
È stato sufficiente un esperimento basato su un gioco – chiamato ultimatum game – per scuotere l’intero “edificio”.

 

 

 

Come funziona l’ultimatum game?

Immagina di essere invitato dal nostro laboratorio a per giocare insieme ad un altro partecipante che chiameremo proposer.

Il gioco si fa una sola volta ed è anonimo: tu non sai chi sia il proposer e il proposer non sa chi sei tu.
Sai invece che abbiamo dato al proposer 10 euro per giocare.



Il proposer dovrà decidere quale parte dei 10 euro offrirti sapendo che:
- se accetti, tu tieni per te la somma proposta e il proposer tiene il resto;
- se non accetti nessuno prende niente.

Ad esempio il proposer propone la seguente ripartizione della somma:
- 50 centesimi di euro per te e 9,50 euro per sé

Se accetti tu guadagni 50 centesimi e il proposer ne guadagna 9,5. Se rifiuti nessuno prende niente.
Che fai, accetti?


Un homo oeconomicus accetterebbe qualunque somma positiva, anche 1 centesimo di euro, perché quella è la decisione che massimizza il suo tornaconto personale. Tanto più che il gioco è anonimo e non ha molto senso vendicarsi su una persona che non si conosce.
Le persone reali invece tendono a non accettare somme sotto al 30% del monte premi.
Questo gioco è stato ripetuto in risonanza magnetico funzionale e si è scoperto che quando ci vengono fatte proposte che giudichiamo inique si attiva una parte del cervello chiamata insula, la quale è, tra l’altro, associata al disgusto.



Insomma tendiamo a non accettare un’offerta che reputiamo iniqua perché ci crea disgusto. È la nostra natura che entra in azione!

 

Ma il rapporto tra natura e cultura non è unidirezionale.
È venuto il momento di chiudere il cerchio e presentare uno studio che dimostra come le preferenze culturali influenzino l’attività cerebrale (dunque la nostra natura).

 

 


Chiunque abbia maturato esperienza nel marketing conosce la storia del Pepsi Challenge.
Nel 1975 i dirigenti della Pepsi Cola Company decisero di lanciare con grande clamore pubblicitario un esperimento denominato appunto Pepsi Challenge.


L’esperimento era semplicissimo. Centinaia di agenti commerciali della Pepsi avrebbero messo un tavolino nei centri commerciali e nei supermercati di tutto il mondo, offrendo due bicchieri anonimi a chiunque, uomo, donna o bambino, si fosse fermato a vedere che cosa stava succedendo. Un bicchiere conteneva pepsi, l’altro coca-cola.


A ciascuno poi sarebbe stato chiesto che cosa preferiva.  Più della metà dei volontari avevano preferito il gusto della Pepsi a quello della Coca cola.
I dirigenti ritennero dunque che Pepsi avrebbe eroso quote di mercato della Coca cola in modo sostanzioso. La storia ha dimostrato che ciò non avvenne.
Il dibattito è stato vivo per molti anni e si è basato sul seguente dilemma: perché i consumatori preferiscono la Pepsi ma comprano la Coca cola?


Una possibile spiegazione è legata al fatto che il Pepsi challenge era un “test del sorso”. Per un sorso le persone tendono a preferire il prodotto più dolce (in questo caso la Pepsi) ma, quando bevono una lattina intera, è sempre in agguato la possibilità di un eccesso di zucchero nel sangue. Per questo tenderemmo a preferire la bevanda meno dolce.

 

 


Le tecniche di Neuromarketing avrebbero potuto misurare il ruolo della dimensione emotiva che guida la scelta tra Pepsi e Coca-cola, intendo il legame emozionale che si era instaurato nel tempo tra i consumatori e il marchio coca-cola.


Uno degli studi più importanti del Neuromarketing, in effetti uno studio con dichiarate finalità mediche pubblicato su Neuron, è quello che ha indagato su come le associazioni tra aspettative favorevoli e brand alterino i segnali di valore sperimentati.
Questa sperimentazione fu realizzata circa 30 anni dopo il Pepsi Challenge da McClure e colleghi i quali hanno replicato l'esperimento utilizzando sia le tecniche classiche di indagine (self report) sia la scansione in risonanza magnetico-funzionale.


Il fine era quello di valutare quale parte il cervello si fosse attivata in condizioni “Blind” e in condizioni di visione della marca con assaggio.
Innanzitutto i ricercatori confermarono che in condizioni blind, ossia nel test cieco, i partecipanti non erano in grado di distinguere le due cola.
Le preferenze comportamentali (ossia dichiarate) erano influenzate da quella che era ritenuta la marca di cola che si stava bevendo.


Inoltre lo studio mise in forte evidenza come nelle due condizioni di assaggio si attivavano aree diverse del cervello nella degustazione di coca-cola e pepsi.
Nel blind test si osservava l’attivazione della corteccia prefrontale ventromediale. Un’area del cervello associata alla valutazione dell’esperienza, valenza e intensità che si attiva in associazione ad un’esperienza piacevole.

 

 

 

Poi veniva fatta assaggiare la coca-cola (o la pepsi) dicendo che si trattava per entrambe in una prima condizione di Coca-cola (anche quando era Pepsi) e in una seconda condizione di Pepsi (anche quando era Coca-cola).
In queste condizioni, mentre sapere che si trattava di Pepsi non produceva risultati di rilievo, sapere che si trattava di Coca-cola si associava a cambiamenti di attività nelle aree di memoria.
Dunque le influenze culturali sulle nostre preferenze comportamentali per cibo e bevande si intrecciano con il nostro funzionamento biologico.

 

Il neuromarkting può essere impiegato per costruire un brand così forte da entrare nella nostra cultura e influenzare la nostra biologia.

 

In conclusione, possono esserci diverse ragioni per le quali è utile comprendere il comportamento umano, in modo da poterlo prevedere, talvolta per poterlo influenzare.
In ogni caso lo studio del comportamento umano non può prescindere dallo studio della nostra natura, una natura così forte che ci porta a prendere decisioni di cui molto spesso non siamo consapevoli.

 

P.S. Il lettore attento osserverà che non era indispensabile riportare l’immagine di Epimeteo e Pandora per supportare questo racconto. La verità è che ho pensato di sfruttare anch’io la natura umana per rendere l’articolo più “vendibile” basandomi su una delle scoperte più “antiche” del marketing: il nudo fa vendere!

Riccardo Palumbo

di Riccardo PalumboProfessore di Neuroeconomia e Neuromarketing Università di Chieti-Pescara