Spettacolo

Eduardo De Filippo a trent'anni dalla morte

Da Don Rafele 'o trumbone a Cuore di De Amicis

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Sono passati trent'anni dalla scomparsa del grande Eduardo De Filippo: era il 31 ottobre del 1984. Ma la sua voce rotonda. Il suo intercalare napoletano. Il suo interloquire pacato, interrotto solo da sorrisetti ironici eloquenti più di tante parole, riecheggiano nel timbro – quasi identico – del figlio Luca, che con il padre condivide mimica attoriale e una passione per il teatro imprescindibile.
Sono passati trent'anni dall'addio al Maestro, che come solo pochissimi altri al mondo poteva permettersi il lusso di essere riconosciuto dal nome, senza il bisogno del corredo di un cognome. Sono passati trent'anni, eppure le sue commedie, sulla ribalta, come in televisione, scritte per il palcoscenico o per il cinema, trasudano modernità e un'attualità sconcertanti: il senso di un'umanità dolente, la forza della rivendicazione sociale, il richiamo a una questione morale, ancora irrisolta, raccontano indiscutibilmente le tappe del cammino etico e culturale del Paese, fino ad oggi.
Una lungimiranza sociale, prima ancora che artistica, quella di Eduardo; un senso di appartenenza civile e culturale forte e stringente, il suo, che hanno consentito al drammaturgo e commediografo napoletano di accedere al segreto del successo coniugando alchemicamente essenzialità quotidiana, sublimata nella teatralità più pura. Per questo la sua lezione di vita e la sua sapienza intellettuale, affidate oggi nella mani esperte del figlio Luca che ne è l'impareggiabile erede, sono e resteranno intramontabili. Al di là delle mode spettacolari. Delle epopee cinematografiche. Delle velleità avanguardistiche e di qualunque spirito revisionista: l'esempio e l'opera di Eduardo sono indelebili, stampati a caratteri di fuoco nella storia culturale del Novecento. E non già per i riconoscimenti culturali ricevuti dal maestro; per l'essere stato insignito del ruolo onorifico di senatore a vita dall'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, o per quella sua prestigiosa candidatura al premio Nobel: no. Ma per quella sua presenza scenica. Per quella sua versatilità innata che gli ha permesso di infondere credibilità istrionica e caratterizzazione sociologica a una maschera unica e inimitabile: la sua.

 



Una maschera al servizio del teatro umoristico, quello nato e omaggiato con la realizzazione del sogno di Eduardo e dei suoi fratelli, Peppino e Titina, di una compagnia tutta loro: “I De Filippo”, fondata nel lontano 1931. Un genere nobilitato fin dagli esordi con titoli quali “Don Rafele 'o trumbone” – una farsa tragi-comica napoletana scritta da Peppino – e poi arrivato alla sua massima espressione con “Natale in casa Cupiello”, portata in scena per la prima volta nello storico Teatro Kursaal di Napoli proprio il 25 dicembre 1931. Quella pièce, all'apparenza squisitamente partenopea, racchiude perfettamente trasversalità e polifunzionalità del pensiero eduardiano, affidato a un lessico, a una sceneggiatura, ad un'ambientazione tipicamente napoletane, laddove però, la città che si affaccia sul mare diventa un topos teatrale universale. Un principio tradotto da Eduardo anche nel suo impegno cinematografico, non già nei film in cui ha semplicemente recitato, ma soprattuto nel lavoro a quattro mani realizzato con Vittorio De Sica, per il quale avrebbe inventato alcuni dei personaggi più riusciti e divertenti di titoli cult del calibro di “Tempi nostri” e “L'oro di Napoli”. Fino all'apoteosi della sceneggiatura da lui curata di “Matrimonio all'italiana” (1964), remake del mitico “Filumena Marturano”, pellicola diretta da Eduardo nel '51, con lui e la sorella Titina protagonisti. E basti ricordare che, solo un anno prima, nel 1950, aveva diretto e interpretato accanto a Totò l'indimenticabile “Napoli milionaria!”.

Ma se il cinema sarebbe stato abbandonato già nel 1966, la tv, – o meglio, le commedie di De Filippo rilanciate dal piccolo schermo – avrebbe dato ad Eduardo la soddisfazione artistica degli anni della maturità, fino all'anno della sua morte, in cui il drammaturgo, regista e attore interpretò il suo ultimo ruolo: quello del vecchio maestro nello sceneggiato “Cuore”, diretto da Luigi Comencini, tratto dal libro di Edmondo De Amicis.

In questi giorni allora, ma già da diverse settimane, non si contano le commemorazioni in programma o già tributate al maestro, dal Teatro San Ferdinando di Napoli ai canali tematici della Rai, dove vengono riproposti omaggi e titoli eduardiani. Fino all'iniziativa istituzionale di venerdì 31 ottobre quando, le parole del drammaturgo torneranno a risuonare nell'Aula del Senato, grazie a una celebrazione aperta dal presidente Pietro Grasso. Tra i tanti a ricordare il genio eduardiano e la sua opera, allora, il figlio Luca che – anche a testimonianza dell'attualità del pensiero dell'illustre genitore – riproporrà alcuni passaggi dell'intervento fatto dal padre proprio in quelle stanze della politica nel 1982.

Priscilla Del Ninno

di Priscilla Del NinnoCritica cinematografica del Secolo d'Italia, giornalista di costume e società.