Spettacolo

Il futuro della serie tv arriva dal web? Matteo Renzi l’ha proposto come case study al PD mentre Barack Obama vorrebbe i protagonisti nel suo governo

Dopo “House of Cards” e “Transparent”, Netflix e Amazon rilanciano la sfida producendo Woody Allen, Mozart, Adam Sandler e Ridley Scott. Al Pacino ci pensa, il gigante cinese Alibabà scende in campo con Wong Kar-wai.

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Da un paio d’anni Amazon e Netflix si contendono alcuni dei segmenti più innovativi dell’intrattenimento contemporaneo e, diventati anche produttori di film e serie tv, stanno radicalmente cambiando le regole del gioco. In una sfida che dall’Italia, dove i rispettivi servizi di streaming non sono ancora operativi, possiamo solo seguire da lontano.

Due loro produzioni hanno trionfato nelle ultime tornate di premiazioni dei Golden Globe: House of Cards (Netflix) e Transparent (Amazon).

Le vicende della nascita di House of Cards sono ormai note: nel 2011 Netflix, colosso americano del noleggio e dello streaming di film, decide di fare da sé e di realizzare una serie tv per fidelizzare gli utenti del servizio. Alla ricerca di una grande idea e di nomi importanti, strappa a HBO e AMC i diritti di House of Cards, progetto-remake di un telefilm inglese del 1990, convince Kevin Spacey (premio Oscar per I soliti sospetti e American Beauty) a lavorare per la prima volta su una serie e ingaggia David Fincher (regista di cult come Seven, Fight Club, The Social Network) per esserne il produttore esecutivo e dirigerne i primi due episodi. Affida il lavoro sulla sceneggiatura a Beau Willimon, un giovane drammaturgo dal cui lavoro teatrale è stato appena tratto Le idi di marzo (George Clooney, 2011) e ciò che ne viene fuori è una storia shakespeariana potente e capace di tenere incollati allo schermo.

Ci sono temi forti (potere, complotto, tradimento e vendetta), eroi tragici e personaggi senza scrupoli, la rottura degli schemi classici del linguaggio televisivo (per esempio con l’uso dell’a parte teatrale, ovvero i momenti in cui il protagonista si rivolge direttamente al pubblico per svelare i propri pensieri). Distribuita inizialmente solo online, diventa fin dalla prima stagione un vero e proprio fenomeno di costume. Oggi Matteo Renzi l’ha proposto come case study alla scuola del Pd, mentre Barack Obama afferma che vorrebbe il protagonista Frank Underwood nella sua squadra di governo. Il primo progetto originale realizzato dalla piattaforma Netflix sembra aver dimostrato che tradizione e innovazione possono coesistere, e dare una spinta alla creatività.

Anche Amazon, che nel 2010 si è lanciato nell’offerta della tv in streaming su internet, alla sua prima produzione di una serie online ha conquistato pubblico e critica. Il titolo è Transparent, e agli ultimi Golden Globe si è portata a casa ben due premi su due candidature: miglior serie comedy e miglior attore protagonista in una commedia, consegnato a Jeffrey Tambor per l'interpretazione di un controverso capofamiglia transgender.

Considerata già pietra miliare della produzione seriale, Transparent (titolo che gioca con le parole trans e parent) si è affermata soprattutto per essere arrivata dove la tv finora non aveva mai osato. Racconta la storia di un professore universitario in pensione che all’alba dei settant’anni, e con tre figli ormai adulti, prende coscienza della propria natura femminile e trova il coraggio di intraprendere un percorso di trasformazione che lo porterà ad assumere la nuova identità di Maura.
“Volevo fare una serie rivoluzionaria – racconta Jill Soloway, creatrice e produttrice esecutiva – parlando di gente che normalmente viene ignorata dalla tv. È una serie per tutti coloro che si sono sentiti esclusi. È divertente, parla di amore e di cosa significa essere amati per quello che siamo davvero”.

Se c’è una cosa che questi premi sembrano dire è che in tv, con così tanta concorrenza, la differenza la fanno autori visionari e storie innovative. E che uno dei grossi vantaggi di produrre una serie per il web è di avere meno paletti dettati dagli ascolti e un’ampia libertà creativa che sulle emittenti in chiaro o via cavo non sempre è possibile.
Netflix e Amazon sono diventati grandi grazie ai nostri dati, sanno quale telefilm ci piace e quale no, conoscono ogni mossa del nostro telecomando virtuale e ci propongono prodotti video cuciti su misura, eppure continuano a sostenere che senza fiuto e talento i big data e gli algoritmi sarebbero destinati a fallire.

Netflix crede talmente in questa formula da avere investito un budget record di 90 milioni di dollari (solo Game of Thrones è costata di più) in Marco Polo, serie di genere storico-fantastico con cui cercherà di fare il salto di qualità (e quantità) nella scena televisiva globale.
Protagonista un italiano, il 24enne spezzino Lorenzo Richelmy, da noi visto di recente in Sotto una buona stella di Carlo Verdone; nei panni del padre Niccolò c’è Pierfrancesco Favino.

 

 

L’approdo agli Oscar del documentario Virunga, prodotto con Leonardo Di Caprio, e l’ingaggio di star quali Adam Sandler a Tina Fey sono solo alcuni degli altri passi che Netflix sta facendo per diventare leader incontrastato nel mercato delle serie per il web.

La sua campagna acquisti include già nomi quali Baz Luhrmann, regista del pluripremiato Grande Gatsby (2013) che nel 2015 dirigerà per loro The Get Down, saga sui movimenti hip hop, punk e disco music emersi nel 1970 dagli ambienti più disastrati del Bronx di New York.

È di pochi giorni fa, inoltre, la notizia di un accordo con Nintendo per la realizzazione di una serie tv in live action basata su uno dei videogiochi più famosi mai realizzati per console, The Legend of Zelda. Pianificata in concomitanza con l'arrivo entro l'anno del servizio in Giappone, sarà finanziata con 1,5 miliardi di dollari ed è stata descritta come una versione per famiglie di Game of Thrones.

In questo scontro sui film e sulle serie tv Amazon risponde con una puntualità quasi militaresca e mette in campo progetti originali e attori pronti a scalzare “il rivale”.
Sempre sulla scia delle tematiche insolite, dopo il successo di Trasparent Amazon ci riprova con Mozart in the jungle, uno dei prodotti più interessanti dell’inverno seriale, sul web on demand dal 23 dicembre. Amori, dipendenze e passioni di giovani musicisti classici sono al centro di questa nuova storia ispirata all’omonimo romanzo autobiografico dell’oboista Blair Tindall.
Scritta da Roman Coppola, Jason Schwartzman e Alex Timbers, diretta da Paul Weitz (tra i suoi film About a boy, 2002), il successo della serie è stato affidato anche all’interpretazione di un grande cast di attori. Nei panni dell’eccentrico Rodrigo c’è Gael Garcia Bernal (già protagonista in Amores perros di Iñárritu e La mala educacion di Almodovar), mentre la parte di direttore d’orchestra è affidata a Malcolm McDowell, indimenticato interprete del drugo Alex in Arancia Meccanica (Kubrick, 1971).

 

Mozart in the jungle (Paul Weitz, 2014), con Gael Garcia Bernal e Malcolm McDowell


Per rafforzare la propria escalation sul fronte dell’intrattenimento del terzo millennio, il gigante dell’e-commerce guidato da Jeff Bezos ha anche firmato un contratto con Woody Allen. Si intitola Irrational Man il film che il regista di Manhattan e Io e Annie ha scritto e diretto per segnare il suo esordio nella serie tv. Non è ancora stato rivelato il periodo di messa in streaming, ma della trama e degli attori si sa già che Joaquin Phoenix vestirà i panni di un professore universitario in una rischiosa relazione amorosa con una studentessa interpretata da Emma Stone.

 

Emma Stone, Woody Allen, Joaquin Phoenix


Gli Amazon Studios hanno presentato ai sottoscrittori della propria piattaforma Prime Time anche gli episodi pilota di altre sette serie, tra cui The Man in the High Castle, adattamento de La svastica sul sole di Philip K. Dick, opera con cui Ridley Scott torna alla fantascienza (questa volta in veste di produttore esecutivo) trent’anni dopo Blade Runner.

 

Un’immagine da The Man in the High Castle, prodotto da Ridley Scott


Secondo le ultime notizie sarebbe stata lanciata da Amazon anche un’ulteriore sfida a Netflix sul fronte dei contenuti fiction originali. Il servizio ha annunciato, infatti, il finanziamento di 12 film all’anno che, dopo essere passati per le sale cinematografiche, sbarcheranno (un paio di mesi dopo) sul loro Prime Instant Video.

Dall’altra parte del pianeta un altro gigante dell’e-commerce, il cinese Alibaba, ha deciso di seguire il solco tracciato dalle sue concorrenti globali ed è entrato ufficialmente nel settore dell’intrattenimento cinematografico.

Per la realizzazione di contenuti esclusivi da distribuire attraverso la propria infrastruttura, il gruppo ha annunciato l’ingaggio di Wong Kar-wai, il suo più celebre regista e sceneggiatore. Bai Du Ren, titolo traducibile come “Il Traghettatore”, sarà il primo film prodotto da Alibaba Pictures Group, vedrà tra i protagonisti l’attore Tony Leung (nel 2000 premiato come miglior attore a Cannes per In the Mood for Love) e sarà diretto da Zhang Jiajia, scrittrice cinese nota per la sua narrativa generativa che trova la origine nei social network.

 

Altro recente ingresso nel mondo della produzione di fiction originali è stato quello di BitTorrent, tra i siti più usati per scaricare musica e video. Già proprietario di pacchetti di visione a pagamento di alcuni film e serie tv, l’internet company ha deciso di affinare il proprio modello di business e proporre sul mercato delle proprie serie tv. La prima sarà Children of the machine, 8 episodi da 60 minuti, dovrebbe arrivare entro il 2015 e per vederla non occorrerà essere abbonati. Secondo il direttore dei contenuti di BitTorrent, Matt Mason, la produzione di contenuti sarà orientata inizialmente ad un target ben preciso: "Amazon, Netflix e Hulu hanno fatto grandi progressi nei contenuti originali - osserva Mason - ma noi abbiamo un grande vantaggio: un'audience più grande di queste piattaforme messe insieme". Per soddisfarla, aggiunge, le storie "dovranno piacere a un gruppo giovane e creativo dai 14 ai 25 anni".

La sfida su internet sta rapidamente cambiando il cinema e la tv e, mentre sempre più spesso le serie di qualità arrivano non dalle reti (televisive) ma dalla Rete, nuovi progetti si affacciano all’orizzonte.
Sembra se ne sia accorto anche Al Pacino, che ha da poco dichiarato che vorrebbe interpretare Napoleone a Sant’Elena e che per farlo pensa a Netflix o Amazon, non a Hollywood né alla HBO.

Basterà questo a dimostrare alla tv convenzionale che le industrie culturali stanno cambiando, e che la Rete, se ben gestita, potrebbe rigenerare le potenzialità del mezzo?

Valentina Leotta

di Valentina LeottaSceneggiatrice, ha svolto un dottorato di ricerca in film studies presso l’Università di Roma “Sapienza”.