Spettacolo

“Land of mine” racconta cosa successe ai tedeschi dopo la guerra per riparare “i danni”

Il film, prodotto da tedeschi e danesi, è un thriller ansiogeno che porta ad uno scavo psicologico.

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Il primo merito di questo film – che ha acceso le platee degli spettatori del festival di Toronto e di quello di Roma – sta nel rivelare uno scorcio inedito dell’ ultimo dopoguerra. Subito dopo la resa della Germania, gli alleati deportarono migliaia di soldati tedeschi destinati a subire la punizione di sacrificarsi per riparare al danno inferto al mondo da Hitler. Come? Con lo stesso sadismo subito dai paesi occupati dalle forze naziste.
Danimarca, 1945: molti di quei soldati nazisti deportati erano giovanissimi. Anche ragazzi di 13 anni. Le ultimissime leve del terzo reich votato alla disfatta. Furono costretti a battere le coste occidentali danesi per disinnescare quasi due milioni di mine: quelle che i nazisti avevano disseminato nel litorale per contrastare il possibile sbarco degli alleati. “Le mine tedesche verranno bonificate dai tedeschi” è uno dei principi più volte ripetuti nel corso del film.
Per buona parte di Land of mine – Sotto la sabbia, diretto da un esperto montatore, Martin Zandvliet, e fotografato da una donna, Camilla Hielm, in un candido nitore sconvolto da improvvise deflagrazioni e raffiche di granelli, lo spettatore è in tensione sulla propria poltrona scrutando ragazzini che tentano di intuire sotto la sabbia la presenza di ordigni per poi cercare in preda al terrore di liberarli della spoletta senza saltare in aria.
Sembrano ragazzi che giocano per la spiaggia frugando nella sabbia con un bastoncino alla ricerca di molluschi o immaginari tesori e invece sono dei kamikaze involontari che un sottufficiale danese, non meno spietato del capo di un lager, costringe ad una vita segregata e letale.
Sembra un film di guerra, in realtà si tratta di uno dei thriller più ansiogeni di questa stagione.
Come in un film dell’era classica (chi ricorda La collina del disonore di Sidney Lumet con Sean Connery?), la pressione del pericolo e dell’abuso militare crea un microcosmo di odio, sofferenza e stoicismo che separa i suoi partecipanti dalla totalità sociale (né i ragazzini né le famiglie di agricoltori che li osservano nel martirio quotidiano possono entrare in contatto) e che porta ad uno scavo psicologico di ogni personaggio profondo e incisivo.


Difficilmente si abbandona la sala senza portarsi dietro per qualche giorno qualcuno dei personaggi. I ragazzi gemelli (non meno bravi di tutti gli attori giovanissimi che costituiscono la compagnia sottoposta ad un costante vissuto di terrore e di morte) gli ufficiali danesi che si fronteggiano sull’atteggiamento da adottare nei confronti dei loro prigionieri (con una svolta piuttosto romanzesca, e non banale, è proprio il più duro di loro a cercare di prenderne la difesa), le facce della popolazione contigua sulle quali il dramma del retaggio della guerra e l’impossibilità di sorprendersi per tutti i nuovi torti che tocca loro assistere prende la stessa effigie di abulìa e sorda repulsione.

 

land of mine

 


A differenza di gran parte dei film di popolare spettacolarità del mainstream cinematografico contemporaneo, Land of mine – Sotto la sabbia, non esalta i momenti della violenza delle esplosioni ricorrendo alla tavolozza infinita di meraviglie ottiche degli effetti speciali, ma conserva per tutta la sua durata una sorta di stile visivo old fashion che ricorda molto il cinema di quel periodo. Così come le sensazioni dominanti. Il vento e le intemperie da cui non ci si può mai proteggere completamente. La fame sovrana e perenne. La morte incombente. L’odio invincibile tra i popoli.


Il vero segno della distanza storica è data dal fatto che questo film, che parla senza mai affondare completamente nelle ragioni che sembrano avere delle radici ataviche, dell’odio tra danesi e tedeschi, è stato prodotto da Germania e Danimarca. Nessuno dei quasi tremila soldati tedeschi che furono effettivamente costretti a bonificare le coste della Danimarca dalle mine subito dopo la guerra, potrà mai aver immaginato che questa storia sarebbe stata raccontata in un film che parla entrambi le lingue e sembra possedere la pietà necessaria da riservare a vittime e a carnefici nella loro infinita inversione di ruoli.

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator