Spettacolo

Intervista esclusiva a Jasmine Trinca. Una grande attrice senza “formazione tecnica”

Nel privato ha chiamato la figlia Elsa in omaggio alla Morante e Valerio Mastandrea la chiamava Nonna.

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jasmine Trinca intervistaTre Nastri d'argento, il Premio Marcello Mastroianni alla Mostra Internazionale d'Arte cinematografica di Venezia e più di 20 film: Jasmine Trinca, che ha iniziato con Nanni Moretti (“al provino ho mentito dicendo che giocavo a pallanuoto sapendo che era il suo sport preferito”), è oggi tra i volti che militano nel cinema d’autore o nei film italiani non convenzionali, di maggior luce e personalità.
Come si fa a diventare attrici per Giordana, Placido, la Golino o Virzì con quell’aria di elegante allegria o remota sofferenza che sembra poter pescare quando vuole in qualsiasi momento, senza difficoltà? Naturalmente, non è così semplice.
Non lo è stato neanche all’inizio quando già con il primo film, La stanza del figlio, si è ritrovata nella macchina scintillante, spietata e ingovernabile del più grande festival del Mondo, quello di Cannes

“Avevo dalla mia una sorta di personale consapevolezza che mi ha concesso di passarvi attraverso indenne. Un festival così importante può portarti delle cose molto belle ma ti sottopone anche a una pressione sconosciuta”

 

- Era il tuo primo film

 

“Certo. Ma non è che fare l’attrice poi ti protegge da tutto ciò che ti può capitare nella vita semplicemente come persona. Anzi, io penso di essere il prodotto davvero specifico di entrambe le cose. Il percorso è ciò che alla fine decide di cosa tu sei e puoi diventare”

 

Alla luce di tutto questo mi viene proprio da chiederti, perché Valerio Mastandrea ti chiama “la nonna”?

 

“In realtà non mi ci chiama più da un bel po’. Lo faceva all’inizio, quando anche lui era più giovane, perché mi prendeva in giro giudicandomi, come dire, una ‘ragazza di antiche tradizioni’. Adesso non può più parlare, direi. E’ diventato ‘vetusto’ e rispettabile anche lui”

 

- E’ vero  che tua figlia si chiama Elsa come omaggio alla Morante e alla leonessa di Nata libera?

 

“Non è mai facile dare un nome ad una persona e ci siamo arrivati dopo cinque giorni che era nata. La chiamavamo ‘la bambina’ o ‘quella lì’. Mio marito mi accusava di pensare a nomi un po’ troppo da ‘figlia d’attrice’ ”

 

-Tipo?

 

“Che ne so, Nina ad esempio. Poi io ho un nome esotico che mal sopporto e quindi cercavo un nome molto classico. La Morante è da sempre per me una suggestione particolare: non credo che sia semplicemente una scrittrice ma qualcosa di più. Insomma, mi piaceva l’idea di dare a mia figlia, insieme ad un nome, qualcosa di grande. Forse anche una promessa”

 

Jasmine Trinca

 

- Se srotolassimo la tua filmografia, che ha superato i venti titoli, credo che si noterebbero due punti d’incandescenza che corrispondono con un gesto che al cinema è sempre molto impegnativo, quasi pericoloso: lo sguardo in macchina. Sto parlando dei tuoi personaggi in "La meglio gioventù "e in "Miele".

 

“Quello della Meglio gioventù, in un momento particolarmente drammatico della vita del mio personaggio che aveva a che fare con lo stigma di ciò che allora faceva parte dei pregiudizi sulle ‘malattie mentali’, nella famosa scena del jukebox, non è propriamente uno sguardo in macchina. Io ho un po’ di strabismo di venere: e sottolineo di venere. Per cui guardo da una parte e sembra che in realtà guardo anche dall’altra. Però era comunque uno sguardo molto a filo con l’obiettivo”

 

- E’ una scena che tutti coloro che hanno visto i film della serie di marco Tullio Giordana ricordano bene

 

“In realtà tutto La meglio gioventù è stato un lavoro fatto molto con l’avventura e l’incoscienza di riuscire a raggiungere gli obiettivi della storia. Io mi sentivo molto impreparata”

 

- E’ un personaggio molto impegnativo

 

“Sì ma era interessante, e fruttuoso, secondo me, se a riuscire a fare un personaggio del genere fosse qualcuno che ancora non era davvero un attore o un’attrice. Era il mio secondo film e quel personaggio richiedeva una vera e propria prova d’attrice. Invece lo sguardo in macchina di Miele di Valeria Golino è proprio il racconto di ciò che è lei come regista”

 

- Cioè?

 

“Lo sguardo in macchina è qualcosa di molto rischioso perché vuol dire rompere la finzione scenica”

 

- E’ come se il film dicesse allo spettatore: ‘guarda che ti vedo’

 

“Esatto. Poi era un momento molto particolare. Eravamo a fine giornata e una delle ultime cose da girare era questo carrello in avvicinamento verso di me..”

 

jasmine trinca miele

 

- Valeria mi ha detto che la troupe era contraria

 

“ ...ma Valeria, proprio mentre la macchina si avvicinava mi ha fatto un gesto per dirmi: ‘Guarda!’ E io l’ho fatto”

 

- E’ come se il personaggio chiedesse soccorso agli spettatori

 

“E’ quello. E’ un punto di rottura del personaggio stesso, l’evidenza che non riesce più a sostenere quello che fa: aiutare le persone a morire. Ma è un azzardo, un azzardo riuscito. Qualcosa che si può fare solo una volta. Forse”

 

- C’è qualcosa che fai per raggiungere la trance necessaria al tuo lavoro? Nella mia esperienza ogni attore possiede un metodo per rilassarsi o concentrarsi – anche personale ed empirico

 

“Non ho avuto alcuna formazione tecnica, ho imparato questo mestiere facendolo e grazie agli incontri che esso ha reso possibili. Però devo dire che più passa il tempo più mi capita, senza ricercarlo, che avvicinandomi ad un film io assuma tratti dei personaggi che devo interpretare. In un film francese dove dovevo fare una pianista che spesso era soggetta a svenimenti...”

 

Hai iniziato a svenire nella vita reale


“In continuazione. Dopo il film, è passato tutto” 

 

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator