Spettacolo

Detroit, per capire cosa accade con la “lotta di razza” negli Usa possiamo cominciare dal film della Bigelow

Accusata di essere a favore della tortura, nel precedente film. Come accusare Oliver Stone di essere a favore delle speculazioni finanziarie (in quanto regista di Wall Street)

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Quando Kathryn Bigelow, l' unica regista in tutta la storia del cinema ad aver vinto un oscar per la miglior regia per Hurtlocker, realizzò uno dei suoi film più belli, Zero Dark Thirty, nel 2012, venne seriamente accusata - il film raccontava del ruolo chiave avuto da una donna nella ricerca, cattura e soppressione di Osama Bin Laden - di essere in combutta con la CIA e di essere a favore dell'adozione della tortura negli interrogatori (alcuni di essi venivano crudamente descritti nel film).
Un po' come accusare Oliver Stone di essere a favore delle speculazioni finanziarie (in quanto regista di Wall Street), e John Ford, il più grande regista di western, di essere corresponsabile del genocidio dei nativi americani, ovvero gli indiani.
Detroit, l' ultimo film della regista di StrangeDays, che verrà presentato in anteprima alla Festa del Cinema, ricostruisce un autentico fatto di cronaca criminale svoltosi a Detroit il 26 luglio del 1967. Buona parte del film, che racconta della morte di tre afroamericani ad opera di tre poliziotti bianchi in un motel sospettato di ospitare un cecchino durante una stagione di violenti scontri tra residenti neri e forze dell' ordine, può essere in effetti rubricato come un racconto di tortura. Sadica, spietata, brutale. Solo che stavolta - come ricostruito da numero di libri e inchieste – erano dei poliziotti a praticarla, contro cittadini americani. Da che parte stia la Bigelow è piuttosto evidente, e non è dalla parte dell' abuso e delle repressione esercitata da chi ha una divisa.

 

La regista, sin dall' inizio della sua carriera, pur provenendo dalla sperimentazione dell' arte contemporanea, ha dimostrato di saper indossare il cinema di genere con destrezza e passione: dal thriller di PointBreak all' horror di NearDark. E di clima da horror parlano molte recensioni negli States. In realtà il film parte con un cartone animato (con i bei disegni di Jacob Lawrence), una lezione di storia concisa e fulminante che spiega perché i neri, migrati al nord dopo la guerra di secessione e le crisi economiche, si ritrovavano negli anni '60 privi di lavoro e segregati al centro delle città visto che la borghesia bianca si era spostata negli ambiziosi suburbi fuori dai centri abitati.

 

Sono le cause delle furiose ondate di ribellione e anarchia con le quali il film si apre. La regista ha una tastiera mobilissima e usa tutto con abilità: la notte, le immagini sgranate di repertorio, il camera work convulso, tagli di montaggio geometrici e frammentati, sound design ricco ed espressionista, per trasmettere al pubblico la sensazione di ansia e minaccia imminente di un mondo senza protezione, ordine, equilibrio. Come spesso accade al miglior cinema americano, l' azione, e la sua forma, diventa no uno strumento di ricerca estetica nell'opera di questa autrice che in America hanno chiamato "coreografa del caos".

 

Il vero film, però,inizia quando una squadra di polizia fa irruzione nel motel Algiers e riunisce tutti gli ospiti a piano terra per scoprire chi dall' edificio si presume abbia sparato contro la polizia. Per buona parte del film una decina di interrogati, faccia al muro, subiscono abusi, soprusi, lesioni che culminano nella esecuzione di tre di loro. Dopo un inizio che è un mosaico metropolitano di suggestiva concitazione, la regista si chiude in uno studio da camera che rende eterno ogni istante e angoscioso ogni sguardo. Come se Salò di Pasolini potesse incontrare A sangue freddo di Truman Capote. I carnefici sono illuminati dalla luce spietata di Barry Ackroid, il direttore della fotografia di Ken Loach, ma è l'inermità, la vulnerabilità incondizionata e il terrore delle vittime che rimangono impressi nella retina. Non si può guardare altrove.

 

"C' è un grande desiderio di non affrontare la realtà della razza", ha detto la Bigelow. Detroit, che ha suscitato anche reazioni negative della stampa più libera come nella recensione del "New Yorker" ad opera di Richard Brody, costringe l' America con altrettanta determinazione dei suoi aguzzini a guardare dentro la più grande rimozione . I poliziotti, dopo una frettolosa vicenda processuale, vennero prosciolti e una guardia giurata afroamericana, che aveva tentato una impossibile mediazione, venne accusata ingiustamente degli omicidi. Siamo quasi trent' anni prima di Rodney King e O.J. Simpson (che venne esplicitamente assolto da una giuria che voleva vendicare i torti subiti da neri ad opera della giustizia), siamo ancor più distanti dalle manifestazioni di black lives matter e dai disordini dei giorni nostri: ma se vogliamo capire cosa e perché succede oggi negli USA non dobbiamo distogliere lo sguardo e lasciare che la Bigelow guidi i nostri occhi con sicurezza, tensione e intransigenza proprio lì.

 

 

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator