Spettacolo

Copia originale: il talento nascosto di una falsaria rivela quello di Melissa Mc Carthy

Film “senza contenuto” se non fosse per l’interprete. Probabile Oscar 2019.

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Il tintinnare del ghiaccio nel bourbon e la percussione dei tasti della macchina per scrivere: sono i suoni più tipici del lavoro e della creatività dello scrittore nella mitologia della letteratura americana e scandiscono la vita di Lee Israel, protagonista di Copia originale. Solo che Lee, sovrappeso e alcolista, abitante insieme ad una gatta del cuore di un bicamere bisognoso di disinfestazione, che è capace di imitare alla perfezione lo stile di virtuosi della scrittura come Noel Coward o Dorothy Parker, non scrive romanzi di successo e non riesce più a sbarcare il lunario con biografie di attrici scomparse: truffa collezionisti e librai vendendo loro lettere false di grandi celebrità letterarie. Tratto da una storia vera, il film dà il meglio di sé nel ritratto d’ ambiente, nella grana morbida e gelida dell’immagine di New York dell’ inizio degli anni ’90. Tutte le librerie dell’ epoca sono ricostruite con evidente nostalgia per l’ estinzione di massa cui le ha condannate Amazon, il locale in cui si consuma buona parte delle tonnellate di alcol che Lee e il suo amico gay Jack Hock(Richard Grant) accompagnano di composta mestizia e allegria furtiva, Julius, è un angolo storico della lotta all’ HIV in un’ epoca in cui il virus sterminava omosessuali senza difese.

 

In realtà il film sarebbe un volume in brossura di cuoio senza contenuto se non ci fosse una protagonista, interpretata da Melissa Mc Carthy, volto piuttosto noto della commedia, che riempie quasi ogni inquadratura con i volumi di corpo, cappotto - rubato con destrezza ad un party radical chic - e capelli, ma soprattutto con il peso invisibile di una ostinata incapacità di relazione, di una timidezza aggressiva e di un abissale bisogno d’ amore, che l’hanno confinata alla solitudine, al morboso rapporto con un gatto e all’abbandono di una compagna che appare fugacemente nel finale a tirare le somme di una vita passata a sottrarsi agli altri e al mondo – e a dedicarsi al proprio talento senza successo.

 

Parchè è sempre questo che è al cuore di questi film. Lee sa scrivere come i più grandi scrittori ma nessuno la pubblica e per campare li imita e forse li migliora pure. È inevitabile che l’ FBI finisca sulle sue tracce ma quando di fronte al giudice confessa la sua colpevolezza (Can you ever forgive me? È il titolo originale del film e del libro che lei stessa ha scritto dopo la prigione) ma anche la gioia che il reato le ha procurato, il pubblico sa che aveva ragione lei: il talento arricchisce il mondo – è la vera religione americana – e non può essere sprecato. Ancor più quello di questa attrice confinata nel ruolo della cicciona nella farse d’azione e sentimentali che con questa performance, ruvida, ombrosa e tagliente, si è conquistata una candidatura come migliore attrice protagonista per la prossima consegna degli oscar.

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator