Viaggi

Bici a Parigi, Copenaghen, Malmo, Amsterdam, Londra… quali sono nel mondo le città dei ciclisti?

Ogni anno si stila una classifica, che vede tra le prime quelle che hanno più strutture dedicate ai ciclisti, più piste ciclabili, più bike sharing.

di |

Una città a due ruote è sostenibile? L'esempio di Malmö, che in pochi anni ha più che raddoppiato chi usa le due ruote grazie ad una efficace campagna, è un esempio su cui riflettere.

Un altro modello di città è possibile, anzi esiste già. E’ a misura di bici, è nato nelle aree urbane europee – soprattutto quelle del Nord Europa, se lo consideriamo in termini di concentrazione geografica-, mentre stenta a prendere piede negli Usa come altrove fuori dal Vecchio Continente.

E’ ad Amsterdam e in altre città dei Paesi Bassi - tra cui vanno segnalate l’olandese Utrecht e la belga Anversa - che le biciclette la fanno da padrone. Nella capitale olandese si stima ce ne siano in circolazione 880.000 su una popolazione di 800.000, quattro volte il numero delle auto private. Secondo la classifica annuale del “Copenhagenize Index”, stilata una società danese di pianificazione urbana, Amsterdam è risultata nel 2013 e 2014 come già più volte anche in passato, la città più bike-friendly del mondo, dove ben il 60% degli abitanti si muove su due ruote. A chiunque ci sia stato anche solo per pochi giorni in vacanza, non saranno sfuggiti due aspetti: l’uso non frequente del casco (indice di un livello molto elevato di sicurezza) e il fatto che a pedalare sono proprio tutti: dai bambini che muovono i primi passi alle persone anziane, dai papà con i figli fino alle donne incinte. Piuttosto, il problema è di quelli quasi impensabili altrove, e cioè che le bici sono diventate troppe. Così, non solo le strade si intasano tutti i giorni di mezzi a pedali, ma soprattutto mancano i parcheggi, tanto che l’amministrazione ha pianificato di spendere 120 milioni di euro per la creazione di 38.000 nuovi posti. Un grande problema di gestione urbana? “Proviamo a immaginare cosa succederebbe se al posto delle bici ci fossero le macchine”, commenta rispondendo al New York Times Thomas Koorn del Dipartimento per i Trasporti di Amsterdam.

 

 

C’è però un altro “paradiso delle bici giusto al di là del ponte che dal 2000 unisce Danimarca e Svezia. A neanche mezz’ora di macchina da Copenaghen – sempre ai primi posti del già citato Index e nel 2015 balzata in prima posizione - la città di Malmö, poco più di 300.000 abitanti, batte praticamente tutte le altre in termini di sostenibilità ciclabile. Ha più chilometri dedicati ai ciclisti, più parcheggi, più strutture di supporto per le due ruote sia della vicina capitale danese - comunque in testa alle classifiche della sostenibilità del traffico urbano - che della capitale Svedese Stoccolma. Relativamente molto basso il numero degli incidenti mortali per i ciclisti - 16 dal 2003 al 2013 contro i quasi 140 di Londra, maglia nera europea. Molte invece - e sempre di più - le persone che a Malmö decidono di lasciare l’auto a casa, per andare a lavoro, fare la spesa o per portare i figli a scuola.

Come è stato possibile realizzare questo miracolo di sostenibilità ambientale? Il messaggio che gli amministratori della terza città della Svezia hanno voluto lanciare è semplice: perché usare la macchina quando si può prendere la bici? Così nel 2006 è iniziata una campagna di comunicazione giudicata un vero e proprio modello anche da altre amministrazioni all’avanguardia su bici e piste come No ridiculous car trip (“niente ridicoli spostamenti in auto”). Costata 47 milioni di euro, la sfida lanciata dal comune di Malmö ai cittadini “pigri” è partita da un’evidenza: secondo un sondaggio, oltre la metà degli abitanti delle città svedese utilizzavano la propria auto per muoversi nel raggio di 5 chilometri. “Ci siamo subito resi conto che eravamo in una città potenzialmente perfetta per le bici, in cui c’era un grande potenziale da sviluppare”, sostiene Nina Hansson, la communication manager di No ridiculous car trip. “L’idea che se solo gli automobilisti provano a pedalare per un giorno, non tornano più indietro”, continua Nina, spiegando: “andare in bici è più veloce. Niente code, niente stress”. La parola chiave usata per convincere è proprio quel “ridicolo”, che faceva di colpo diventare obsoleto il giro in macchina in città o focalizzava l’attenzione sull’inutile costo ambientale rappresentato per la società da chi viaggia in macchina da solo.

Indubbiamente la campagna blocca-traffico si è rivelata un grande successo, ma non è stato l’unico. A partire dal 1995 a oggi, il traffico su due ruote nella città svedese è passato da circa il 20% a oltre il 30%, crescendo costantemente anno dopo anno. Eppure la strategia di comunicazione, per quanto efficace, da sola non sarebbe bastata. Le ragioni del successo stanno piuttosto nella ricchezza delle strutture di supporto per i ciclisti: si va dai sensori luminosi che illuminano le strade durante la notte agli specchi sistemati agli angoli delle strade per favorire la visibilità, ai punti in cui puoi gonfiare liberamente le gomme, che talvolta sono attrezzate come vere e proprie mini-stazioni di servizio per biciclette fino ai semafori “intelligenti”. Il sito web dell’amministrazione comunale riferisce di “28 intersezioni stradali dove un sensore dà automaticamente la priorità al ciclista. Nel caso in cui l’incrocio sia intasato dal traffico, il semaforo diventa verde rapidamente per coloro che sono in bici”.

“Quasi tutti i miei amici possiedono una cargo bike (bici con un grande cesto nella parte anteriore ndr)” racconta il giornalista del Guardian Richard Orange, “cargo bike che usano per trasportare comodamente le loro giovani famiglie (i bambini ndr) o per portare i pacchi dal supermercato”. La spesa iniziale per una bici di questo tipo può essere alta, superando mediamente i 1000 euro. Però poi si risparmia non solo tempo, ma anche soldi per la benzina e la manutenzione dell’auto. E poi c’è una caratteristica che rende le piste ciclabili di Malmö più sicure che altrove. “Abbiamo piste a doppia corsia in ogni singolo tratto. Neppure a Copenaghen è così”, spiega Olle Evenas, pianificatore del traffico per il comune. Che aggiunge: “Le piste non sono dipinte su una parte della carreggiata. Abbiamo una superficie specifica leggermente rialzata rispetto al piano stradale”.

Se Malmö è avvantaggiata dalle piccole dimensioni, le grandi capitali europee devono ingegnarsi, se vogliono diventare a misura di ciclista. L’orgoglio di Parigi è quello di aver introdotto per prima già nel 2007 un sistema di noleggio bici, quel Vélib (dove vélo sta per bicicletta in francese e lib per libertà) che pur originariamente ispirato al progetto di Copenaghen è diventato un modello per altre città in Francia e Belgio (da Lione a Bruxelles) fino a Roma, dove è però miseramente naufragato negli anni dei amministrazione Alemanno. I numeri raccontano del successo meglio di qualsiasi altra cosa: più di 20.000 i mezzi in circolazione e oltre mille stazioni estese dal centro alle banlieues, piste ciclabili per circa 700 chilometri. Ai parigini Vélib piace, anche perché chi possiede un mezzo privato deve fare i conti con furti molto frequenti, e il mezzo pubblico sembra una buona soluzione. In fondo il prezzo dell’abbonamento per un anno è più che ragionevole: circa 30 euro, gratis per chi la usa per meno di mezz’ora, solo 1 euro da un’ora in su. Ovviamente l’amministrazione comunale guidata dalla socialista Anne Hidalgo – succeduta nel 2014 all’altrettanto socialista Bertrand Delanoe che aveva fortemente voluto il sistema di bike sharing - rilancia sull’onda del successo. Il nuovo piano per la mobilità stanzia 150 milioni di euro fino al 2020 per raggiungere l’obiettivo del 15% di spostamenti in biciletta (nel 2008 erano appena il 3%). Le associazioni dei ciclisti, però, storcono il naso. È vero, ammettono, dal 2001 il numero dei parigini in bici sono triplicati. Eppure, numeri alla mano, la strada da percorrere è ancora lunga.

 

 

Numeri che invece sembreranno rilevanti a chi è abituato ad aree urbane meno generose con i ciclisti. Senza andare agli esempi più negativi nel mondo – se non è facile pedalare a New York, figuriamoci a Delhi o al Cairo – un discorso a parte merita Londra. Il sistema di bike sharing, introdotto dal sindaco conservatore Boris Johnson nel 2010 sul modello parigino, sembra aver avuto meno successo che in Francia, ma ha certamente contribuito ad aumentare il numero di spostamenti sulle due ruote, praticamente raddoppiato negli ultimi venti anni. Lo stesso sindaco ama mostrarsi in sella alla sua bici. La vera grande sfida con cui la capitale britannica dovrà fare i conti in futuro è quella della sicurezza dei ciclisti: a Londra gli incidenti gravi sono nell’ordine delle centinaia. Il sindaco ha promesso che entro la primavera del 2016, poco prima della fine del suo mandato, verranno realizzate almeno due “autostrade ciclabili”, che attraverseranno per molte miglia alcuni snodi centrali della città. La grande novità? I percorsi per i ciclisti saranno strettamente separati dal resto della carreggiata. Malmö docet.

Andrea Valdambrini

di Andrea ValdambriniGiornalista e reporter. Collaboratore de Il Fatto Quotidiano