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Le vesciche di Santiago: viaggio e cammino verso Santiago. Turismo, esperienza, ostentazione?

Dal medioevo ai giorni nostri a piedi o in bicicletta, canoa o sedia a rotelle, viaggio per “Fede e per ricerca”.

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Vale la pena sostare a lungo nella piazza maggiore di Santiago di Compostela: la facciata barocca appena restaurata della Cattedrale, il palazzo opposto sormontato da una statua gloriosa (e forse un poco inquietante) di Santiago Matamoros, il magnifico albergo rinascimentale sul lato settentrionale, gli edifici più antichi su quello meridionale. I perimetri architettonici sono significativi ma certo non meritano una sosta particolarmente prolungata. Il vero spettacolo offerto da quel luogo a quasi ogni ora del giorno e che merita il fermarsi a lungo è un altro: la piazza costituisce infatti il punto di arrivo solenne del cammino di Santiago, è il palcoscenico sontuoso di un continuo giungere di singoli e gruppi, di uomini e donne, ragazzi e anziani, tutti con lo zaino in spalla e la faccia segnata al contempo da una certa fatica e da una gioia immensa. Il flusso è continuo, le grida di gioia e i canti in decine di lingue si fondono insieme, le foto di rito seguono solo gli abbracci tra amici e sconosciuti, e non importa se la gente è madida di sudore ed emana frequentemente un odore poco piacevole. I numeri sono impressionanti. L’Ufficio del Pellegrino che registra quanti giungono a Santiago a piedi o in bicicletta (ma sono ufficialmente accettate anche la canoa e la sedia a rotelle), consegnando loro l’ambita certificazione del cammino compiuto scritta ancora in latino, ha comunicato che, nel solo mese di giugno di quest’anno, sono arrivati in piazza 49.067 persone, 327.378 nel 2018, anno record di presenze. Spagnoli anzitutto, poi statunitensi, italiani, portoghesi, francesi, inglesi, brasiliani, coreani … Uno sciame, un flusso ininterrotto, che solo si riduce nei mesi invernali causa le poco favorevoli condizioni atmosferiche.

Insieme alla via Francigena che conduceva i pellegrini a Roma sulla tomba di Pietro, il cammino di Santiago (più noto con la denominazione spagnola di “camino”) nasce nel medioevo quando non è più possibile raggiungere Gerusalemme causa la dominazione araba sui luoghi santi. Non potendo camminare verso il Santo Sepolcro di Gesù, le tombe degli apostoli in Europa (Pietro a Roma e Giacomo il maggiore a Santiago, appunto) diventano metà di lunghi pellegrinaggi medievali, a carattere marcatamente penitenziale: il pellegrino peccatore era realmente cosciente di mettere a repentaglio la sua vita, di vivere un’esperienza limite e, proprio per questo, capace di espiazione. In pochi decenni tutta l’Europa occidentale è attraversata da una fitta trama di sentieri e di strade, che man mano vengono attrezzate per l’accoglienza, semplice e gratuita dei pellegrini. Il più famoso di questi itinerari è chiamato Via Francese: circa 800 chilometri dal punto di partenza ufficiale posto nei Pirenei francesi, da percorrere in meno di un mese di cammino.

Da nord giunge invece a Santiago la Via Inglese, da sud quella Portoghese. Nessuno da ovest: lì c’è solo Finis Terrae, la fine della terra, l’oceano, il luogo dove i pellegrini, dopo aver pregato sulla tomba di San Giacomo, giungevano per bruciare i vestiti lordi e consunti del cammino: il sacrificio era compiuto, una nuova vita poteva iniziare. Caduto in disuso in epoca moderna, recentemente il Camino ha avuto una incredibile rinascita e non solo, né forse primariamente, per motivi religiosi. Al rilancio di questa esperienza negli ultimi decenni ha contribuito l’omonimo romanzo di Paulo Coehlo, tradotto in decine di lingue, letto da tutti i camminatori verso Santiago, vero e proprio manuale laico di ricerca di sé stessi.

Il panorama umano che si può osservare lungo il cammino verso la piazza di Santiago è quanto mai variegato: uomini e donne, ragazzi e anziani, europei e asiatici, singoli camminatori silenziosi e canterini gruppi di scout. Anche le motivazioni che spingono tutte queste persone a ritrovarsi sulla medesima strada sono alquanto diverse: c’è chi si mette alla prova, chi ama camminare nella natura, chi fa il cammino per fede e chi perché in ricerca, chi per la prima (e probabilmente ultima) volta e chi è alla decima esperienza, chi ha scelto la formula più breve (bastano cento chilometri compiuti a piedi, una settimana, per aver riconosciuto ufficialmente il Camino) e chi ha deciso di prendersi un mese di pausa nella frenesia della vita quotidiana, forse per prendere una scelta importante nella vita. Anche lo zaino, vero e proprio simbolo accumunante tutti i camminatori insieme alla conchiglia, è alquanto diverso: ultra tecnico per alcuni, troppo pesante per chi non vuole rinunciare a nulla, estremamente leggero per altri, vuoi per ascesi, vuoi perché c’è un agenzia che trasporta il bagaglio di tappa in tappa.

 

Se c’è però un'altra caratteristica comune certo non alla totalità dei camminatori ma a una parte estremamente significativa, questi sono i discorsi che si possono ascoltare in qualunque posto tappa o la sera, nei molti locali o nelle locande che offrono l’immancabile menù del pellegrino a 10€. Tutti parlano di sé, di come hanno vissuto la giornata, delle loro fatiche, dei sentimenti che hanno provato, di come sono stati abili (o inabili!) nell’affrontare un problema. Il dialogo si costruisce frequentemente attorno alle rispettive prestazioni, alle capacità di ognuno di far fronte al dolore muscolare o al sole che brucia la pelle. L’obiettivo sforzo fisico riconduce facilmente molti discorsi alle fatiche del cammino e le sorprendenti relazioni interpersonali che nascono hanno comunque frequentemente una rilettura egocentrica: “Io non sono solo su questa strada e nella vita!”. Questa attenzione tutta rivolta a sé stesso e all’elaborazione di quanto si sta provando cresce di giorno in giorno, non abbandona mai il camminatore e ha la sua condensazione simbolica nelle vesciche ai piedi, dolorosamente presenti a ogni passo, in ogni discorso.

 

Forse Santiago in versione post moderna ha un grande successo proprio per la cura spasmodica della propria persona (dalle vesciche in su) che questo cammino oggi impone: “è un tempo per me!”. Il rischio è grave e non avvertito: la tentazione di una perenne adolescenza, dove fisiologicamente tutto è centrato su di sé, è perennemente alle porte, dietro ogni svolta della lunga strada del Camino. Quello che dovrebbe essere un momento di crescita, e quindi di assunzione di responsabilità, di apertura al mondo, di prendersi cura di un altro, potrebbe pervenire all’effetto opposto. Sui sentieri della Galizia, ormai perfettamente organizzati per offrire ogni chilometro un caffè ristoratore e un timbro che sancisce l’ennesimo risultato raggiunto, si rischia di incontrare un popolo di adolescenti attempati, di adulti che pensano che la vita si risolva e possa migliorare prendendosi cura di sé stessi.

La piazza di Santiago diventa ancora una volta il luogo della celebrazione di tutto ciò. In mezzo allo spazio rettangolare determinato dai magnifici edifici non c’è, come spesso accade, una statua. Il centro della piazza è vuoto, è il luogo verso cui tutti camminano e dove tutti si fermano e si fanno fotografare. Perché alla fine di centinaia di faticosi chilometri tutti mettono al centro sé stessi e fotografano loro stessi.

San Giacomo, involontario patrono del selfie, prega per loro!

 

Andrea Ciucci

di Andrea CiucciEsperto di cultura, educazione e gastronomia