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Los Angeles: 224 lingue parlate, 12 milioni di residenti, 44 mila homeless, regina del cinema

La città più trafficata degli USA e senza tradizione gastronomica.

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Più che per quello degli abitanti (poco più di 4.000.000, ma solo se ci si riferisce a downtown, altrimenti la municipalità conta circa 12.000.000 di residenti) Los Angeles colpisce per una serie impressionante di indicatori geografici e antropologici. Partiamo dalle lingue parlate, numero che siamo ancora poco abituati a considerare tra i dati utili per comprendere un territorio: a Los Angeles si parlano 224 lingue, prima espressione culturale delle oltre 140 etnie presenti in città. E per sfatare subito ogni possibile semplificazione, pur trovandoci negli Stati Uniti, l’inglese è solo la seconda lingua più diffusa. Prima è lo spagnolo, che però non è la lingua più parlata in quartieri quali Chinatown, Little Armenia, Koreantown, Little Ethiopia, Thai Town, Historic Filipino. Le lingue seguono spesso il colore della pelle e così i bianchi (attenzione anche i messicani ispanofoni sono spesso bianchi!) sono all’incirca solo il 50% della popolazione. Anche la geografia fisica aiuta comprendere qualcosa della grandezza di questa città: Los Angeles si allunga per 71 chilometri sulla costa pacifica della California e si estende all’interno per quasi 50; un totale di 1300 chilometri quadrati di estensione, divisi in 80 quartieri. Tanto per intenderci: 7 volte Milano, più o meno come Roma, ma senza i prati infiniti che ancora fanno della nostra capitale il più grande comune agricolo d’Italia. Da nord a sud intercorre la stessa distanza che separa in linea d’aria Firenze da Pisa. Per larghezza non siamo lontani da quella che divide Genova da Savona.

A Los Angeles ci si muove soprattutto in macchina, grazie all’Interstate Highway Sistems, un tentacolare sistema di autostrade a 8/10 corsie, connesse fra loro da quell’intreccio spettacolare di raccordi a quadrifoglio che abbiamo visto in decine di film americani; il traffico è naturalmente folle a qualunque ora del giorno e della notte (Los Angeles ha il triste primato della città più trafficata degli Stati Uniti), malgrado le corsie riservate al carpooling, dove possono viaggiare solo vetture con almeno tre passeggeri a bordo. 52.000 ettari cittadini (pari circa a 74.000 campi di calcio) sono destinati a parcheggi.

Ci si potrebbe divertire ancora a lungo con i numeri di questa megalopoli americana; ad esempio interrogandosi su quanti hamburger sono consumati ogni giorno o quanti aerei atterrano e decollano dall’aeroporto cittadino, o ancora quanti milioni di dollari è costato il magnifico Guggenheim Museum che si adagia sulle colline a nord della città, offrendo una vista spettacolare. Anche il numero delle università, con i loro immensi campus immersi nel verde, potrebbe aiutare a comprendere Los Angeles.

Che la questione non possa essere ridotta semplicemente a dei numeri esagerati, lo coglie bene, ad esempio il turista europeo che, più spesso abituato a visitare città di origine antica o medievale, alla domanda di dove sia il centro cittadino per iniziare la sua visita si sente rispondere in modo interlocutorio dal concierge dell’albergo. Perché Los Angeles non ha un centro. Non ha un centro fisico (una piazza, un quartiere più antico), non ha un solo centro simbolico (come il Duomo di Milano, ad esempio, posto insieme al palazzo reale e al comune esattamente al centro della città). Gli 80 quartieri che compongono Los Angeles hanno centri e simboli, luoghi di ritrovo e location famose, più facilmente accostati l’uno all’altro che disegnati secondo uno sviluppo storico-urbanistico.

Anche il turista gastronomicamente interessato deve fare qualche esercizio mentale in più: abituato allo straordinario panorama gastronomico regionale italiano, con piatti che caratterizzano quasi ogni borgo, fa infatti una certa fatica a digerire l’impossibilità di gustare il piatto tipico di Los Angeles, non perché troppo caro o di difficile reperimento, ma semplicemente perché non esiste (a meno di fare come a Philadelphia che hanno dichiarato specialità locale una variante, peraltro non particolarmente entusiasmante, di hamburger). A Los Angeles puoi mangiare un’ottima cucina hawaiana, messicana, italiana, polacca, coreana, eritrea, puoi anche assaggiare piatti che mettono insieme queste e molte altre tradizioni gastronomiche locali, ma la cucina losangelina… semplicemente non esiste.

Le questioni, al di là del racconto, sono grandi e serie. Abitare in una città che non ha una tradizione unica, ma un mix di storie e usanze, spesso semplicemente accostate e mai definitivamente fuse, è clamorosamente arricchente e, a contempo, estremamente complesso. A differenza dell’urbanistica europea, che consegna una storia, seppur in continua evoluzione, ed offre a chiunque un centro, un punto di partenza per comprendere la città e costruire una società, Los Angeles e diverse altre megalopoli multiculturali moderne impongono altri accessi e pratiche. Se da un lato il confronto continuo con altre tradizioni, gusti e narrazioni (urbanistiche ed esistenziali) arricchisce continuamente la vita quotidiana, dall’altra risulta più difficile il riconoscere un centro esistenziale, capace di dare un senso alla vita di ciascuno, insieme a un grumo di relazioni stabili, affidabili e praticabili, da abitare per non rimanere esposti e soli.

 

Abitare e ripensare la città in forma multietnica, multicentrica, multi culturale, multi gastronomica, multi religiosa, sembra implicare la rinuncia, per impraticabilità, alla dimensione media della città, per vivere nella tensione, talvolta non semplice, tra l’immenso del mondo e la piccolezza delle proprie relazioni umane. Se gli italiani, culturalmente caratterizzati da un’appartenenza comunale e regionale più ancora che nazionale, fanno fatica ad abitare la città contemporanea, anche quella italiana che sempre più si caratterizza per questa multidimensionalità, è forse proprio per questo venire meno di questa dimensione mediana, capace di offrire uno sguardo né troppo piccolo (e talvolta asfissiante) né troppo grande, e per questo immensamente faticoso.

Un ultimo dato: una megalopoli multicentrica e multiculturale, genera e offre molti interstizi, terre di nessuno, linee di confine. Talvolta sono questi i luoghi degli scontri tra culture e fazioni; in tempo di pace spesso sono gli spazi occupati da quelli che non hanno storia e non appartengono a nessuno, quelli che, per scelta o per i casi complicati della vita, non abitano alcuna prospettiva, né locale, né cittadina, né planetaria. A Los Angeles vivono 44.000 homeless, uomini e donne, ragazzi e anziani, che vagano per le strade, dormono sotto i cartoni, rovistano nella spazzatura alla ricerca di qualcosa di utile per sostenere una vita ai margini di tutto, dell’umanità stessa. 44.000: questo è il numero più terribile!

Andrea Ciucci

di Andrea CiucciEsperto di cultura, educazione e gastronomia