Spettacolo

Il più lungo murales dell’India misura 968 metri. Street Art e Nuova Delhi sino a Marzo

Coinvolti street artist e volontari da tutto il mondo nel più grande spazio, asiatico, di arte contemporanea.

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Dalla fine di dicembre alla fine di marzo, Nuova Delhi si trasforma nel più grande spazio espositivo permanente di arte contemporanea a cielo aperto di tutta l'Asia, grazie a St+Art India Foundation, un'organizzazione no profit che promuove la street art, istallazioni comprese, nel paesaggio urbano indiano.

Edifici, strade, palazzi, muri di cinta, quinte nascoste di sobborghi che vengono alla luce, lo spazio di una città immersa nelle contraddizioni, travolta da modernità a velocità 2.0, e dal movimento lento delle vacche sacre, da sporcizia intollerabile e isole di benessere, globalizzazione e tradizione vengono reinterpretate dai migliori street artist provenienti da dieci nazioni diverse.
Un modo per riabilitare spazi degradati, connotarli diversamente, interpretarli, e agendo così nello spazio pubblico anche un modo per raggiungere il numero più elevato di persone.
E' questo lo scenario del festival della street art a Delhi, giunto alla sua quarta edizione.

Le strade sono il più delle volte lasciate in stato di abbandono, lo spazio pubblico è tutto da costruire anche se una grande parte del vivere quotidiano avviene proprio fuori, in strada. Così il racconto dei murales diventa l'occasione di fusione di settori distanti, e di classi diverse, attraverso la creazione di simboli forti e riconoscibili da tutta la cittadinanza che reagisce sempre con curiosità, interesse, eccitazione, coinvolgimento. Il festival della street art si dispiega come la trama di un tessuto in tutto il paese: nello spazio pubblico coinvolto si elabora una simbolizzazione dell'immaginario nazionale incrociando gli sguardi e interpretazioni degli artisti provenienti da tutto il mondo.

 

 

“Nel sito dell'organizzazione”, dice la curatrice e co-founder del Festival, Giulia Ambrogi: “abbiamo applicazioni on line per entrare a far parte del team come volontari e riceviamo centinaia di richieste. Durante il festival siamo aiutati da 50/70 persone che a seconda del loro tempo libero ci assistono in tutte le innumerevoli necessità. E questi volontari vengono dai più diversi background, sono di tutte le età, motivati ad aiutarci perché stiamo creando qualcosa di estremamente nuovo. Non ci sono molte attività artistiche qui (solo gallerie private e due musei) ma ci sono però molti college di arte e design. Quando gli artisti dipingono, frotte di persone si affollano, offrono cibo, chai, sorrisi”.

E sempre a Giulia è affidata la scelta degli artisti che dice “è strettamente legata alla loro produzione. In India la street art è qualcosa di estremamente nuovo, e gli artisti devono inserirsi in questo contesto: le diverse religioni (induismo, islam, cristianesimo, buddismo) presenti con i loro tabù e portati nella vita quotidiana fanno sì che molte rappresentazioni - che in altri paesi non destano alcun problema- qui possano esser prese in modo molto negativo.
Corpi nudi, teschi, animali, colori scuri, immaginari dark etc. non attiverebbero alcun dialogo produttivo, anzi respingerebbero le persone dalla fruizione inclusiva dell'arte e all'appropriazione dello spazio pubblico”.

 

Agostino Iacurci

 

Dei numerosi artisti che partecipano all'iniziativa, l'Italia sarà presente con Agostino Iacurci (alcune delle sue splendide opere sono a San Basilio a Roma), lo spagnolo Borondo, eccezionalmente espressionista i cui murales sono più simili a gigantesche tele, o il francese Chifumi, che vive attualmente in Cambogia e che interpreta essenzialmente mani che si stringono e si incrociano nell'atto dello scambio e della comunione, usando il segno e i colori di Lichenstein. La coppia svizzera Pablo Togni e Christian Rebecchi (Never crew), le geometrie ipnotizzanti dell'australiano Reko Rennie che immette identità aborigene nell'arte contemporanea e nell' ambiente, così come non poteva mancare l'indiano Ranjit Dahiya interprete dell'iconografia Bollywood e dei suoi personaggi. Suo è il più largo murale di tutta l'India, stavolta realizzato a Mumbai (o Bombay) e dedicato al padre del cinema indiano, Dadasaheb Phalke: 1000 litri di vernice offerti dal main sponsor di tutta l'iniziativa, Asian Paints che collabora con le ambasciate e gli istituti di cultura di ogni singola nazione.

 

Dadasaheb Phalke

 

Ci sono poi donne come l'indiana Shilo Shiv Suleman, che racconta la sua visione di cambiamento sociale tramite un realismo magico immerso nella tecnologia, oltre a essere fondatrice e direttrice di un'associazione femminista: “the Fearless Collective”. E il tema dell'empowerment femminile è sicuramente uno degli argomenti centrali per le artiste che operano in questa manifestazione: nel gennaio 2015 la giapponese Lady Aiko ha raffigurato, usando 300 stencil di carta e con l'aiuto di 15 volontari, Rani Laxmibai, una delle leader della rivolta del 1857 contro il dominio britannico dell'India.

Se la condizione delle donne è tra le questioni sociali più urgenti in India e sicuramente più sentite (il film premiato alla Festa del cinema di Roma 2015 premiato dal pubblico era il racconto appunto di una ribellione “Angry Indian Godessess”), questi progetti corali sono anche l'opportunità di mettere insieme e coinvolgere donne indiane di diversa estrazione sociale. È quanto è accaduto per gli alloggi sociali interamente coperti all'uncinetto grazie al progetto dell'artista polacca Olek: un'opera grandiosa composta da 90.000 metri di tessuto utilizzati per coprire un alloggio sociale per i senza tetto di Delhi.

Olek è convinta che l'arte pubblica cambi le persone “un modo per farle smettere di correre e farle riflettere”.

E un'altra delle opportunità è stata anche coinvolgere persone che non hanno mai avuto niente a che fare con l'arte: 60 volontarie, di cui 40 donne provenienti da diverse ong, che hanno ridotto in stringhe la stoffa e reinventato un tessuto lavorato all'uncinetto a forma di cuore o di fiore. L'obiettivo era proprio di “far guardare” questi alloggi, di cui nessuno ne sapeva l'esistenza.

 

 

Finora sono stati realizzati 75 murales, coinvolti almeno sette spazi pubblici della metropoli indiana, realizzato ad opera di un artista tedesco Hendrik ECB Beikirch e di un indiano, Anpu (presenti entrambi anche in questa edizione), il più alto murales di tutta l'India: 48 metri circa.

Si stende sulla facciata laterale del quartier generale di polizia di Delhi. Un' immagine in bianco e nero raffigurante Ghandi, portata a termine in soli cinque giorni, e sarebbe anche la prima opera in cui lo stesso governo indiano si è impegnato nelle iniziative della street art.

 

 


Così anche il più lungo murales di tutta l'India (968 metri) intorno a Tihar Jail la più grande prigione del Sud dell'Asia: sono stati coinvolti steet artist e volontari per scrivere i versi di una poesia “Chardiwari” o “le quattro mura” con dei giganteschi caratteri nell'alfabeto devanāgarī. La poesia parla della speranza di una donna prigioniera di rivedere presto i suoi cari.

Sabina Ambrogi

di Sabina AmbrogiGiornalista e Flaneuse