Spettacolo

Il “femminismo” di Hollywood cambierà il nostro immaginario?

Donne che non vengono considerate per “disparità di sesso” o perché incapaci?

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“We do it together” (WDIT) è il nome che un gruppo di rinomate star, da Queen Latifah, Juliette Binoche, Freida Pinto, a Jessica Chastain si è dato per una nuova società di produzione che vuole promuovere una diversa visione delle donne nel cinema e in tv.
Quante volte si è detto che la produzione hollywoodiana ha dettato le linee guida di una sorta di “narrazione collettiva” che poi influenza tutti i settori della cultura di massa? Se questo è vero vanno segnalati alcuni dati che somigliano a una rivoluzione femminista in corso nell'industry. Quanto tutto ciò potrà influenzare effettivamente i nostri costumi, o quanto sono i mutamenti sociali che cambiano le sceneggiature fa parte del vecchio gioco di specchi tra finzione e realtà: chi influenza l'altro? Di certo nell'ultimo decennio le strutture così rigide e stereotipate in cui erano rimasti incagliati i ruoli femminili hanno subito diversi scossoni.
E' stata la politica, un neo femminismo 2.0 che si fa sentire ai quattro angoli del pianeta? Le star, come quelle appena citate, che stanno dando un grandissimo contributo? O una semplice constatazione di mercato (ancora non completata del tutto)? E che partirebbe da questo dato evidente: poiché il pubblico femminile è anche più ampio di quello maschile, raccontando sempre lo stesso modello di donna - di fatto inesistente - fa perdere clamorosamente una fetta di pubblico.


Come disse Cate Blanchett agli Oscar 2014:

“i film che mostrano dei personaggi femminili complessi non sono nicchie economiche. Al contrario, più ci saranno voci diverse (femminili o di minoranze), più questo sbloccherà dei potenziali economici, e più la cultura si aprirà a dei ricchi punti di vista. Il sessismo fa perdere soldi al cinema".

È difficile dire se sia la teoria dei consumi a influenzare la realtà o viceversa. Di fatto i cambiamenti in corso riguardano tutta la catena di lavorazione di un film e soltanto alla fine le sceneggiature o lo sguardo femminile della macchina da presa. Prima di arrivare al prodotto finale sono da menzionare i mutamenti sul fronte interno. Se ci si attiene alle ricerche del “Centro studi delle donne nello spazio televisivo e cinematografico”, di San Diego, California, le donne risultano essere rappresentate in misura minore degli uomini sullo schermo e dietro lo schermo. Nel 2015 solo il 9% di registe hanno lavorato nei primi 250 film. E la percentuale di donne registe è cresciuta di due punti rispetto al 2014. Le donne sono state l'11 % di scrittrici, 20% di produttori esecutivi, 26% di produttori. 22% di montatrici, e 6% di direttori della fotografia. Il basso numero di donne registe è il tratto peggiore: non soltanto lo sguardo creativo è un contributo fondamentale, ma funge da “gateway function”, apripista per altrettanti ruoli femminili.

 

 

Come è stato possibile, ci si chiede, che "l'industry” conosciuta per essere così liberale risulti essere ancora così lontana dalla coscienza sociale a favore della diversità di genere?
In un'illuminante intervista Robert De Niro, un personaggio chiave del film “Joy” di David O. Russell, inquadra a suo modo la questione:


“Nell’industria dello spettacolo e nello showbiz in genere, si vedono di donne al potere. Soprattutto tra gli executive producers. Questo però non significa che al loro ruolo corrisponda effettivo potere, non so se mi spiego. Uomini e donne vengono messi lì per pura facciata. Chi lavora alle loro spalle è il denaro. I soldi hanno sempre un obiettivo ed usano noi, le nostre facce, i nostri piedistalli per ottenere ciò che vogliono. Le persone di potere fanno sempre quel che comandano i soldi. Rispondono soltanto a loro, come marionette”.

Al di là di questo imperativo di fondo però, le dive si stanno sempre più coalizzando e si fanno sentire. Il che è un fatto totalmente inedito. La protagonista di “Joy”, Jennifer Lawrence ha denunciato con forza la disparità di trattamento uomo – donna, in casi di pari notorietà: “guadagno meno delle persone che hanno la fortuna di avere il c...E non ne posso più di cercare un modo “adorabile” di dare il mio punto di vista per fare in modo di essere apprezzata. Non conosco uomini di responsabilità che si concentrano su come modulare la voce per essere ascoltati."

Le ha fatto eco Sienna Miller. L'attrice britannica ha anche rivelato che le era stata proposta meno della metà della co-star maschile per recitare in una produzione a Broadway: “Non credo che sia una roba da dive volere lo stesso salario di un collega maschio, se si fa la stessa cosa. Ma se ci si fa valere si rischia di perdere il lavoro.”

 


 

E che dire l'anno scorso del discorso di Patricia Arquette quando ha ritirato il premio per “Boyhood”? “Grazie a tutte le cittadine contribuenti di questo paese, noi ci battiamo perché ciascuno possa avere gli stessi diritti. E questo è il momento di reclamare lo stesso salario per le donne negli Stati Uniti”.

Al di là delle cifre ancora modeste sulla parità nell'industry, però, sia le serie tv che gli stessi film registrano un cambiamento del ruolo femminile abbastanza significativo. La maggior parte sono storie di donne che perseguono l'oggetto dei loro desideri ma che – sorpresa! – non è più un uomo. E questo è un bel passo in avanti.
Questo mutamento è evidente in modo ancora più smaccato in film come “Joy” in cui una casalinga di una famiglia disfunzionale e disastrata riesce a inventare e portare sul mercato americano degli anni '50 la scopa che noi conosciamo col nome di “mocio”, che consente di lavare a terra e auto-strizzarsi senza sporcarsi le mani.
È la storia di una carriera? Non solo. Non c'è più nessun principe azzurro, non c'è una donna che deve usare armi di seduzione, ma solo tenacia. Soprattutto, non c'è una donna che nel fare carriera si trasformi in un uomo. E anzi una volta arrivata ai vertici aiuterà al meglio le sue colleghe “inventrici”. E infine, per chi sa leggerlo un messaggio chiaro ai produttori di oggetti casalinghi - per troppo tempo – destinati solo alle donne: non è che li avete sbagliati spesso e volentieri perché li hanno pensati degli uomini?

 

donne cinema hollywood

 

Non è quindi casuale in questa air du temps, un film come “Suffragette”, della regista Sarah Gavron. In uscita a Marzo in Italia, è interamente pensato, scritto, prodotto e recitato da donne. Il termine che dà il titolo al film e che ha coinciso - come non potrebbe - spesso con la parola “femminista”, nomina un'esercito di donne combattive e militanti che nella Londra del 1912 sono riuscite ad ottenere il suffragio universale in Inghilterra, avvenuto poi nel 1928. Un modello di tenacia, solidarietà e adesione a un'idea. E di lotta. Il cast di “Sufragette” va da Carey Mulligan, Ben Whishaw, Anne Marie Duff, Helena Bonham Carter, Brendan Gleeson e Romola Garai, ma personaggio portante della vicenda è Maryl Streep, quest'ultima tra le più accanite contro il sessismo nell'industry.

L'attrice ha partecipato di recente alla creazione e al finanziamento di Writers Lab, una struttura destinata ad aiutare le donne sceneggiatrici, oltre i 40 anni. L'iniziativa, in collaborazione con il “New York Women in Film and Television” offrirà alle otto sceneggiatrici selezionate un seminario di scrittura a New York, durante il quale saranno instradate da professioniste come Caroline Kaplan (Boyhood), Kirsten Smith (Legally Blonde), Jessica Bedinger (Bring It On). Rilanciamo allora la domanda, alla luce di questi accadimenti: il nostro modo di vedere il mondo sullo schermo e nella vita è sul punto di cambiare?

Sabina Ambrogi

di Sabina AmbrogiGiornalista e Flaneuse