Spettacolo

Medici e stregoni offrono migliaia di dollari per le parti del corpo di albini, perché credono sia di buon auspicio

Intervista al regista Noaz Deshe che ha vinto al Festival di Venezia con un film, drammatico e vero, sugli albini.

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white shadowNoaz Deshe, regista, musicista, produttore e scrittore, ha creato un egregio lavoro nel 2013: White Shadow, definito “senza tempo, inquietante e raccapricciante per le tematiche affrontate e bellissimo” da Francis Ford Coppola e “pazzesco dal punto di vista stilistico” da Variety e da molti altri, tra cui Amat Escalante, definito un “film molto urgente di puro cinema”, che tratta di un problema molto attuale: la tratta delle parti del corpo (la lingua, il naso, i genitali, le orecchie e i quattro arti) degli albini in alcuni stati dell’Africa, come la Tanzania e il Malawi.
Proprio lo scorso marzo in Malawi, sette persone sono state arse vive da una folla infuriata, perché sospettate di stregoneria e di traffico di albini. “Le colpevoli vittime sono state trovate in possesso di ossa umane, forse di albini”, dice Kirdy Kaunga, il capo della polizia del di Nsanje, nel Malawi meridionale.

White Sahdow
ha avuto importanti riconoscimenti in tutto il mondo, partecipando a molti festival come il Sundance, nello Utah, come film in concorso nel 2014 e vincendo a quello di Venezia il Premio Opera Prima Luigi de Laurentis “Leone del Futuro” alla settimana della critica nel 2013. È stato distribuito in Regno Unito, Ungheria, Lituania, Francia, Romania e Olanda.

Parliamo col regista, che ci dedica un po’ del suo tempo, tra una ripresa e l’altra del suo prossimo film, su cui vuole mantenere ancora un alone di mistero.

  

Come ti definiresti Noaz?
Un apolide, un uomo senza una patria. Anche se sono nato a Jafa, in Israele, non mi sono mai sentito legato ad un solo stato, che come istituzione non ha alcun valore per me. Viaggo molto, non ho un posto fisso a cui mi sento legato particolarmente. Ho vissuto a Berlino per 10 anni sì, ma per comodità lavorative, poi da lì mi sono sempre spostato.

 

Ci racconti in breve di cosa parla il film?
White Shadow è la storia di Alias,un ragazzo albino, che, dopo aver assisitito all’assassinio del padre, è stato mandato via dalla madre affinchè potesse trovare rifugio in città, visto che al villaggio non era sicuro rimanere. Arrivato in città, sotto la supervisione dello zio Kosmos, si rende conto di molte cose ed è costretto a crescere molto in fretta. Lì vendeva occhiali da sole, dvd e cellulari e trascorreva molto tempo con la figlia dello zio, Antoinette, per cui ha perso la testa, nonostante la disapprovazione del padre di lei. Pian piano la città diventò come il villaggio e dovunque andasse Alias valevano le regole della sopravvivenza.
Dal 2007 è risaputo che gli albini in Tanzania siano il target per un commercio lucrativo. Medici stregoni offrono migliaia di dollari per le parti del corpo di albini, perché credono che questi siano di buon auspicio, portino proseprità e possano curare ogni tipo di malattia. Quindi molti albini in Tanzania, inclusi i bambini, vengono uccisi da orde di uomini, che non si fanno problemi a mutilare corpi e ad uccidere, in cambio si soldi.
Alcuni stregoni sono disposti a pagare dai 500 ai 5000 dollari per la carne di albino, considerando che il reddito annuo medio in Tanzania è di 442 dollari.
C’è un detto nell’Africa orientale “gli albini non muoiono, semplicemente spariscono”. Negli ultimi anni sono stati commessi 73 omicidi accertati, così come centinaia di attacchi non denunciati dal 2007 solo in Tanzania.

 

Noaz Deshe white shadow

 

Cosa ti ha spinto a trattare di questo argomento?
Non sono stato io a decidere la storia, bensì lei a scegliere me. Quando capisci che è quello che vuoi trattare e ciò che ti fa venire la voglia di scrivere, allora bisogna solo assecondarlo e il tutto viene da sé. E se non lo fai, non vivi, sei morto perché è ciò che ti dà l’energia ogni giorno, lo stimolo, che ti serve a continuare. Se qualcosa o qualcuno viene verso la tua strada diventi un “impiegato” e lavori per dare alla luce e far conoscere questa idea-storia. Quindi non fai domande. Mi sento fortunato e l’hanno capito tutti i ragazzi della troupe, per questo hanno partecipato volenterosi. È un tema che andava trattato, urgente.

 

Sei venuto alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 2013, vincendo il Premio Opera Prima Luigi de Laurentis. Cos’ha comportato questo traguardo?
Avere attenzione ed i fari puntati sul tuo film sicuramente aiuta ad avere più opportunità. Puoi farlo conoscere al mondo ed è quello che desideravo e voglio ancora. Mi interessa solo che il film sia riconosciuto e la tematica possa avere il giusto peso che merita, trattandosi di un argomento molto delicato.

 

Raccontaci del cast: non sono attori professionisti vero?
Dopo un giorno diventano tutti attori professionisti. Si deve solo decidere chi va bene per il film tra tutti i ragazzi che si presentano alle audizioni o che sono andato a trovare nelle 10 scuole visitate. L’attore principale, Hamisi Bazili, nel film Alias, si è presentato spontaneamente, molto preparato e convinto: era sicuro che la parte gli calzasse a pennello, quindi la sua sicurezza mi ha convinto. Non è stato difficile reclutarlo per la parte da protagonista. Ho ho fatto un workshop con tutti i bambini reclutati per spiegar loro come comportarsi durante le riprese. Sono stati tutti retribuiti per il lavoro svolto. È stato bello, perché l’accoglienza e il calore dei locali ha agevolato il tutto.

 

 

 

Dove hai girato il film e in quanto tempo? Non si capisce la location guardando il film, perché?
Abbiamo girato tutto il film in Tanzania, in 45 giorni, anche se io sono stato lì moltissimo, per 6 mesi in totale.
Volutamente non ho voluto fare alcun riferimento a location, perché il focus era ed è la tematica affrontata e non il luogo, perché, purtroppo, non è solo uno il Paese interessato. Ho evitato così anche coinvolgimenti politici e settoriali. Il film, così, spinge il pubblico ad andare a casa e fare le dovute ricerche del caso, per approfondire e conoscere e documentarsi sui fatti realmente accaduti.

 

Che importanti risultati hai ottenuto con White Shadow?
Il Presidente keniota Mahama ha parlato anche di White Shadow alla sesta conferenza “Oxford Africa” nel regno Unito. Se ne è parlato molto, e anche alcuni ambasciatori (di cui preferisco non fare i nomi) ci hanno garantito che avrebbero perseguiti e preso provvedimenti per tutti i colpevoli di questi atti orrendi. Quindi credo di aver fatto il mio dovere in tal senso: portare il problema all’attenzione delle persone giuste.

 

Cosa suggeriresti ai giovani registi che stanno pensando di intraprendere il to cammino?
Sto imparando ancora e comunque, da regista indipendente, posso dire che è un mondo che fa paura. Non si sa mai se il film, una volta realizzato, conquista lo spettatore, piace oppure è un fallimento. L’unica cosa è buttarsi, non temere di “fare”, agire anche se si hanno a disposizione poche risorse o mezzi, il modo poi si trova ed è facendolo, il film, che si sa se poi sarà un fallimento o meno e se, purtroppo, dovesse verificarsi il primo caso, si impara sempre dagli errori, facendo meglio in futuro. Si impara dunque strada facendo.

Valentina Della Rocca

di Valentina Della RoccaEgittologa ed Arabista