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Londra “poco conosciuta” sui fiumi, librerie galleggianti e atmosfere insolite

Un viaggio dai quartieri dello stadio olimpico a Regent Park, da Camden Town a Canary Wharf, dal lussuoso St Katharine Docks alle ex fabbriche del Sudest, per scoprire i volti e le atmosfere di una London dimenticata.

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 Se Roma è il Tevere e Parigi la Senna, Londra è il Tamigi. Ma non è proprio così: la capitale britannica è attraversata da decine di altri corsi d’acqua minori che creano un reticolo di percorsi alternativi attraverso la città, sia in superficie che nel sottosuolo.

Prego, entri. I libri di viaggi sono là in fondo. Se vuole i romanzi sullo scaffale a sinistra, ho dei gialli appoggiati in quell’angolo, per terra”.

 



Pur essendo alta un metro e cinquanta, devo abbassare la testa per entrare nella libreria galleggiante. Si chiama, suggestivamente, “Word on the water”: una parola sull’acqua. Il proprietario, Paddy Screech, ha la faccia abbronzata e le mani sporche di vernice. Quando vado a bussare alla porta della chiatta su cui svolge la sua attività, stava dando una sistemata al lato sinistro. Con altri due soci, Paddy ha messo a nuovo un vecchio barcone, lo ha riempito di libri usati e ora viaggia su e giù per i canali che collegano i quartieri est di Londra al centro. “Siamo un centro culturale mobile: organizziamo anche concerti sul tetto della barca. Stiamo tutto il giorno a contatto con la natura, e mai nello stesso posto”.

Paddy non è il solo. Ci sono altre 2300 attività sulle chiatte ancorate lungo le waterways britanniche, e in particolare quelle dalla capitale. Dai cappellai ai venditori di formaggio, da chi ripara le biciclette ai cinema galleggianti: un’offerta alternativa per chi non ha voglia di passare la domenica in coda ai supermercati. A Londra, centinaia di famiglie e moltissimi ragazzi hanno perfino deciso di trasferirsi sulle dimore galleggianti. Se ci si accontenta di spazi vitali ridotti e se l’umidità non è un problema, i vantaggi sono notevoli: uno stile di vita sano, all’aria aperta, sempre in movimento, la possibilità di vivere a cinque minuti dalla City pagando un terzo degli affitti stratosferici della terraferma, e d’incontrare luoghi e persone in cui molto difficilmente ci s’imbatterebbe in un fast food.

Il sistema di canali e chiuse, eredità della Londra medievale prima e di quella vittoriana poi, permette anche di muoversi in gran parte della zona a nord del Tamigi senza mai mettere piede a terra, e attraversando mondi e culture del tutto differenti fra loro. Partendo dall’estremo est e viaggiando a pelo d’acqua sul fiume Lea (o Lee), tra cigni, papere e beccaccini, si scoprono il verde dei parchi protetti e il paesaggio lacustre dei reservoirs, le grandi riserve d’acqua della capitale. Sulle sponde spuntano percorsi ciclabili, scuole di canoa, parchi giochi, orti comunitari in cui ognuno può piantare e cogliere insalata e basilico, e chioschi vegani al cento per cento. D'estate i prati si riempiono di barbecue e le notti di feste.

 

Spostandosi verso il centro e arrivando a Springfield Park, in corrispondenza dei quartieri ebraici di Stamford Hill e Stoke Newington, i vialetti di cemento che costeggiano i canali si affollano di cappelli neri e barbe che camminano veloci. Il venerdì pomeriggio, intere comunità di ebrei ortodossi si allineano lungo il fiume, i volti rivolti a Gerusalemme e i libri sacri tra le mani. Pochi minuti dopo, a Hackney, il paesaggio urbano e umano cambia ancora fisionomia: i déhors dei pub e delle birrerie artigianali sono microcosmi che d’estate brulicano di gente in infradito e di calici appannati.

Sulla stessa latitudine, a nord ovest, il Regent canal si tuffa nei nuovi palazzi e nei giardini curati della nuova zona Olimpica: sono i quartieri dei giovani che lavorano alla City. L’anno scorso, un gruppo di architetti ha proposto di creare percorsi balneabili che i pendolari possano utilizzare per andare al lavoro a nuoto. In realtà, c’è già chi usa i canali come mezzo di trasporto alternativo: si chiama James Sweetman, ed è il pendolare più famoso di Londra. Invece di andare al lavoro di corsa, lui ci va in kayak, da Ealing a Kings Cross.
Proseguendo sul Regent, si arriva fino a Camden Market, il mercato vintage meta dei nostalgici di Amy Whineouse, per poi scivolare in una bellissima passeggiata, poco nota ai turisti, che conduce fino a Regent Park, passando sotto alle gabbie dei volatili del London Zoo.

 

Ma anche sull’arteria principale, quel Tamigi grigio e ondoso e così ampio da far sembrare il Tevere un ruscello, ci sono luoghi sconosciuti ai turisti che sgomitano davanti alla Tate Modern. Sotto al London Bridge, basta girare l’angolo e infilarsi in un vicolo per arrivare a St Katharine Docks, un porticciolo di lusso protetto sia dal traffico cittadino che dalle acque del fiume. Anche qui ci sono barche trasformate in abitazioni: ma sono di tutt’altro livello. John, un consulente d’affari australiano, mi fa salire sulla sua, forse la più piccola tra quelle ancorate attorno. “Quello yacht lì” dice “é di un attore francese. Quell'altro di un banchiere”. Quando il Tamigi è tranquillo, escono dal porto per fare delle piccole crociere. La sera, con le luci nelle imbarcazioni che si accendono e il cic-ciac delle barche che fanno le fusa, una passeggiata per i docks prima d’infilarsi in un antico pub a tre piani è un piacere da brividi sulla schiena.

Scendendo verso est, sempre sul versante Nord del fiume, è un susseguirsi di quartieri che i londinesi chiamano “posh”: un po’ fighetti, tirati a lucido, con percorsi ciclabili che costeggiano i porticcioli e le chiuse, e palazzi dalle grandi vetrate. Una passeggiata di una mezz’oretta su questa specie di lungomare conduce direttamente al cuore del potere economico della capitale: è Canary Wharf, dove le grandi banche scrutano la città dall’alto dei grattacieli. E pensare che nel secolo scorso quel lembo di terra su cui sorgono i palazzoni della Citibank e della Barclays, l’Isle of Dogs, era il quartiere a più alta concentrazione di case popolari, uno dei più malfamati di Londra. Un luogo di carico e scarico della merce, le intestina limacciose del commercio, un universo in cui valevano altri codici di comportamento e si parlava il cockney, uno slang che smonta e rimonta le sillabe e sa di tabacco masticato e calli sulle dita.
Niente potrebbe essere più diverso ora. I canali sono pulitissimi e geometricamente ordinati. Molti amano questo quartiere squadrato, affollato di giacche e cravatte nelle ore di punta e che diventa freddo e spettrale, la notte, quando il vento corre sui grandi spazi aperti e il rumore della ferrovia (l’overground) è l’unico che spezza il silenzio.

 



Una simile sorte, anche se meno violenta, è toccata alla riva sud del Tamigi, proprio davanti all’Isle of Dogs. Le grandi strutture delle fabbriche e dei magazzini che un tempo erano i principali scali della città, parzialmente distrutti dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale e poi abbandonati con la crisi degli anni Settanta, sono stati rinnovati e ora ospitano loft, uffici, spazi espositivi e locali dalle architetture improbabili. A differenza della Roma immutabile celebrata ne “La Grande Bellezza”, Londra rigurgita la propria storia: a tratti s'intuisce l'idea di cosa c'era prima – un portone, un architrave, un pilastro - soprattutto quando la nebbia confonde i contorni e ogni passo nel buio risuona come quello di Jack lo Squartatore.
Erano i docklands, i distretti portuali di Londra” racconta con voce sognante David Perrett, presidente della Greater London Industrial Archaeology Society, un’organizzazione che è nata clandestinamente da un gruppo di appassionati e ora promuove la riscoperta dell’archeologia industriale in Inghilterra con passeggiate a tema ed eventi culturali. “Negli anni Settanta noi siamo stati i primi ad andare nei docks abbandonati per fare fotografie e raccogliere testimonianze di un mondo che ora non c’è più. Se non l’avessimo fatto noi, sarebbe perduto per sempre”. La casa di David è un piccolo museo della grande storia industriale del paese: in salotto ha perfino un motore arrugginito, regalatogli all’epoca da un imprenditore che aveva chiuso i battenti. Se non si ha la fortuna di essere invitati per il the a casa sua, ciò che rimane dei docks si può visitare in un bellissimo museo, il Museum of London Docklands.

Per i più coraggiosi, poi, ci sono i fiumi sotterranei, affluenti del Tamigi e del River Lea, che disegnavano curve e valli nel panorama collinare nella Londra medievale, ma che in seguito allo sviluppo massiccio della città sono stati interrati. Sono 21, protetti da splendide strutture architettoniche spesso risalenti all’epoca vittoriana. Raramente sono visitabili: insieme al sistema fognario, sono territorio incontrastato di alcuni Urban Explorer, un gruppo di appassionati del genere che si è cimentato nell’esplorazione, non sempre legale, di questi luoghi proibiti. Un fascino che ha catturato anche la giornalista del “Guardian”, Francesca Panetta, che vorrebbe rendere quest’esperienza accessibile a tutti: sta lavorando a un’App che permetta di scaricare e ascoltare le voci dei fiumi che scorrono nel sottosuolo.

Alice Gioia

Tags: londra, fiumi
di Alice GioiaGiornalista da Londra