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Kerola e Karnataka: un viaggio alla scoperta dell'India meridionale

Tra patrimoni Unesco e strade impossibili da attraversare…

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Molti parlano di shock come si tocca il suolo indiano, io parlerei più di Impressioni d'impatto: si entra in un'altra dimensione, quasi sospesa nel vuoto e racchiusa in un'ampolla dove all'interno la vita scorre a ritmi incredibilmente veloci, il tempo vola, le settimane volano. Eccomi in una strada affollatissima, dove le giornate sono scandite dai clacson dei tuc tuc, i coloratissimi e rumorosissimi mezzi di trasporto più utilizzati in questo paese, soggetti principali di tanti quadri e stampe locali; mi imbatto in venditori ambulanti di ogni genere alimentare e rimango sconcertata dalla loro incredibile abilità innata di vendita. Le orecchie carpiscono suoni meravigliosi e, come giro lo sguardo, intravedo un corteo coloratissimo dove donne e bambini cantano, mentre gli uomini suonano strumenti locali simili a tamburi, flauti e bonghi. Dopo alcune domande capisco che si tratta di una celebrazione, quella del compleanno di Ganesh, una delle principali divinità hindu, che a metà settembre trasforma tutte le città dell'India in strade colorate affollate di danzatori, musicisti e cantanti improvvisati, dove il motto comune è: "stare insieme e condividere un evento importante". Girando a Kerola e Karnataka, entrambi stati nel sud dell'India, ho l'impressione di visitare due paesi diversi: i mezzi di trasposto e le strade sono gli stessi, i templi hanno lo stesso fascino, ma il clima, le persone, le loro abitudini e il cibo sono completamente diversi. I sorrisi e l' ospitalità del popolo caloroso di Trivandrum, Varkala, Fort Cochi, Kumarakom, Thalasseri e del distretto di Wayanad (nello stato del Kerola) lasciano spazio a persone più fredde, sospettose, meno accoglienti ma comunque collaborative in città come Mysore, Bylakuppe, Hampi, Badami e Bijapur (nello stato del Kerola). E di conseguenza l'attenzione prestata nella preparazione delle pietanze nel Kerola lascia basiti tutti i viaggiatori che si imbattono in ristoranti locali, in pasti consumati in case private: una deliziosa masala dosa (simile ad una crepe imbottita di patate e cipolle spesso piccante per palati non abituati alle spezie indiane) accompagnata da una salsa al cocco squisita chiamata ciatny; soffice itli da intingere in una salsa detta samba; banane piccolissime e saporitissime, bollite o semplicemente sbucciate; acqua di cocco purissima e rinfrescante e, solamente per pranzo, una specialità del posto assaporata su una foglia di banano, la cosiddetta "Sadhya" dove il riso viene mischiato a "kootu" salsine e verdure di colori e sapori diversissimi.

 



E, tra un pasto ed un altro, mi ritrovo immersa in una natura selvaggia, cascate e ponti di legno sospesi, case galleggianti e tramonti mozzafiato creano occasioni di silenzio e pace, che difficilmente ritrovo in città popolate e caotiche. Il silenzio mi avvolge, i mille colori di un tramonto appena trascorso hanno lasciato un' impronta nei miei occhi che difficilmente dimenticherò.

Passeggio e delle sottili voci femminili attraggono la mia attenzione: mi volto e mi accorgo che due signore stanno pregando, cantando o recitando i versi di una poesia, una canzone o libro sacro che sanno a memoria, forse da anni.

Un bambino mi sorpassa sfrecciando con la sua bicicletta, forse del padre o semplicemente presa in prestito da un amico per un pomeriggio o qualche ora.
Una donna mi sorride colta di sorpresa e si rallegra quando le chiedo di poterla fotografare. Si stira il vestito, mette a terra il panno che stava lavando sul bordo del fiume e si mette in una posa poco spontanea. Chissà, forse sta pensando a quanto è bella ed a quanto vorrebbe avere il tempo e i mezzi per fotografarsi e farsi fotografare dalla sua famiglia.

 



Adesso i canti delle due donne vengono spezzati dal richiamo del muezzin alla preghiera. In lontananza due pilastri verdi con la mezza luna simbolo dell' Islam danno una connotazione, un senso d' appartenenza della popolazione locale che sembra non essere affatto preoccupata dei vicini cristiani, ebrei o induisti. Qui regna un rispetto silenzioso e modesto che fa invidia a qualsiasi turista di passaggio che s' imbatte in questo mondo così sublime, mistico e coloratissimo. Panni stesi tra le palme da cocco vivacizzano e animano di fantasia questa natura incontaminata. La cena è pronta: le spezie deliziano i miei sensi e mi lascio cullare...

E poi la magia di Hampi (un posto pieno di mistero che racchiude storia, natura e fauna) mi permette di perdermi tra resti archeologici di templi buddisti antichissimi, fondamenta di edifici, bastioni, e tra le viuzze del brulicante bazar, con ristoranti particolarissimi sulle terrazze di alberghi piccoli a gestione famigliare e negozi pieni di oggetti d'arredamento locale e di capi di vestiario tra cui le cosiddette curte, le fresche casacche indiane adatte al clima torrido dell'estate.

Hampi, patrimonio dell'UNESCO dal 1986, nella zona settentrionale dello stato del Kernataka, rappresenta un “must”, una tappa imperdibile, che lascia di stucco per tutta la durata del soggiorno, regalando scenari unici di insediamenti antichi risalenti, anche, al I sec. d. C.. Tramonti meravigliosi apprezzati dalle scimmie locali che difendono il loro territorio da intrusi.

Strade percorse da animali, mezzi a due o quattro ruote, uomini a piedi, scolari che si dirigono a scuola correndo, turisti impauriti e timorosi, venditori di beni improbabili: sembra di essere in un videogioco dove sono innumerevoli gli ostacoli che cercano di sbarrare la strada. L'India è un mondo incredibile da guardare attentamente con mille occhi.

Valentina Della Rocca

di Valentina Della RoccaEgittologa ed Arabista