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Mumbai: la citta’ degli eccessi e del turismo indiano, affollatissima e con poca liberta’ di culto

Caldo, smog e caos la rendono comunque una meta da visitare.

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Una città difficile da sopportare, se non si è indiani, ma piena di fascino e mai noiosa: Mumbai, fino al 1995 conosciuta come Bombay; la capitale del Maharashtra, uno stato collocato sulla costa occidentale dell’India che si affaccia al mare Arabico. Famosa per essere la città più sovrappopolata del Paese.
Per i mumbaikar (gli abitanti del luogo) i mesi più freddi sono quelli che attraggono i turisti, ossia da dicembre a gennaio, considerato l’inverno locale ma con temperature che si aggirano attorno ai 23 °C.
Per chi decide di fare un’esperienza a Mumbai o Boa Vida (buona vita: ricca di selvaggina, vegetazione e cibo) come veniva chiamata dai portoghesi nel 1538, deve mettere in conto una città non facile da molti punti di vista, che però può dare molte soddisfazioni.
Mumbai presenta gli slum (villaggi) e grattacieli, quindi il bianco ed il nero come molte città asiatiche. Povertà e ricchezza a pochi metri, il tutto rigorosamente distinto. Si riconosce subito chi fa parte di un ceto più fortunato e chi purtroppo vive con poche rupie (la moneta locale indiana), perché il divario è evidente: dall’abbigliamento, all’auto, all’abitazione, al modo di camminare, di atteggiarsi e soprattutto dall’educazione ricevuta.


Camminare per strada è pressoché impossibile, per i marciapiedi sconnessi o la totale assenza, lo smog che si respira continuamente, il caldo, per la maggior parte dell’anno insopportabile.
Persone in auto, a piedi, in autobus, sui Tuc Tuc, in motocicletta, in bici. Tanti umani che si spostano da un posto all’altro per lavoro, per portare i figli a scuola, per andare dal medico, per chiedere la carità, per visitare dei parenti o per andare ad una celebrazione religiosa.

 

 


Una città sempre in movimento, che non si ferma mai. Un amico un giorno mi ha insegnato il significato del termine giogar, a parer mio il pilastro dell’India, che basa il tutto sul bisogno: se si deve costruire qualcosa e non si hanno gli strumenti desiderati, niente paura si arriva allo stesso risultato con quel che si trova. È un ottimo stile di vita che insegna moltissimo sulla vita, sull’ indipendenza e stimola la creatività. Vivendo in India si vene travolti da questo insegnamento e non ci si arrende mai.


Molti mi chiedono: come hai fatto a vivere a Mumbai e come mai una scelta così audace?
Beh io credo che si debba innanzitutto conoscere ciò che è diverso e aprirsi ad esperienze, porre noi stessi a contatto con gli usi e costumi di un altro paese.
La libertà di culto risale al 1675 quando Gerald Aungier, allora governatore della Compagnia delle Indie Orientali, decise di cambiare registro dissociandosi dalle politiche dei portoghesi.
Con l’apertura del Canale di Suez nel 1869 Mumbai diventò la porta delle Indie e stranieri (tra cui portoghesi, inglesi, punjabi e americani) iniziarono ad entrare nel paese, avviando così una serie di rapporti, contatti e scambi che ancora oggi sono visibilissimi nella città porto franco.


Purtroppo le violenze a carattere religioso non mancano: la strage più terrificante fu una serie di bombe fatte esplodere per mano della mafia musulmana nel 1992-93, con circa 300 morti e 1400 feriti. A seguire nel 2003 furono 52 i morti per mano di gruppi militanti pakistani, sempre dall’esplosione di bombe.
Mumbai, con periodi di splendore e periodi bui, non ha mai smesso di attirare turisti provenienti da ogni parte del mondo. La Porta dell’India (più conosciuta come Gateway of India) eretta nel 1927 e alta 26 metri a commemorazione di Giorgio V (sovrano inglese), rappresenta l’attrazione più celebre e più visitata della città, con la sua architettura sia hindi che islamica.

E anche punto di partenza di molte escursioni, tra cui l’isola di Elephanta, con i suoi templi ricavati nella roccia. La porta simboleggia la fine del colonialismo in India: le truppe inglesi passarono da qui nel 1948 per lasciare il Paese. Vicino alla porta si trova uno degli hotel più chic di Mumbai, purtroppo accessibile solo a pochi: il Taj Mahal Palace a 5 stelle con una stupenda vista sul mare. Siamo nel quartiere di Colaba, soprattutto amato dai giovani per la vivace vita notturna, dove bar e ristoranti sono le “celebrità”. Colaba Social, con i suoi succulenti succhi corretti, Thrisna, dove il pesce, cucinato in modi differenti, è il protagonista, lo storico Leopold cafè che risale al 1871, Cloud 9 e The Ellipsis, ristorante con modern-American cousine.

 

 


Un altro must da visitare è la moschea di Haji Ali, situata su un’isola, raggiungibile solo con la bassa marea; costruita nel 1431 per ricordare un facoltoso mercante musulmano, chiamato Bukhari, che donò tutti i suoi averi ai bisognosi, prima di compiere il pellegrinaggio alla Mecca.
Per un ulteriore immersione nella cultura locale da non perdere il tempio di Shree Siddhvinayak GanapatiMandir, dedicato al dio Ganesh e costruito nel 1861. Si trova in una zona di Mumbai raggiungibile solo con i taxi o la macchina, non accessibile ai Tuc Tuc: Prabhadevi. Se si vuole concludere il viaggio vedendo anche delle chiese, basta tenere presente che la maggior parte sono collocate a Bandra, dove hanno casa anche le celebrità di Bollywood e che costituisce un secondo centro importante della città.

Se si vuole partire alla scoperta di questa incredibile città consiglio un libro, che al meglio descrivele contrapposizioni di questo luogo: Mumbai, Maximum City. La città degli eccessi, dello scrittore Suketu Mehta.

Valentina Della Rocca

Tags: mumbai, india
di Valentina Della RoccaEgittologa ed Arabista