Inchieste

Quello che non avete mai saputo sulla Pasqua

Indagine sulla morte di Yeoshua ben Josef da Nazaret ovvero Gesù. La storia ci dice che aveva 40 anni e non portava la croce.

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Gesù PasquaNon è stato tradito da Giuda, non è stato ucciso dagli ebrei e non aveva 33 anni quando è morto, Yeoshua Ben Josef da Nazaret, meglio conosciuto come Gesù Cristo. Non aveva nemmeno le stimmate sulle mani, non è stato appeso su una croce e non è rimasto nella tomba tre giorni.
Tutta la tradizione cristiana si porta dietro stereotipi, luoghi comuni e falsi storici di cui bisogna liberarsi se ci si vuole avvicinare alla figura storica di Cristo; una figura senza dubbio più affascinante e rivoluzionaria del santino in cui è stato chiuso per secoli dalla devozione popolare.
Innanzitutto va precisato che se della nascita di Gesù non possiamo sapere con certezza quasi nulla, della morte sappiamo praticamente tutto. Essendo infatti l’evento centrale della religione cristiana viene raccontata dettagliatamente da tutti e quattro gli evangelisti. I luoghi comuni, quindi, in questo caso non sono dovuti a leggende tardive ma ad equivoci di traduzione ed errori di interpretazione calcificati da duemila anni di orazioni e rappresentazioni sacre.


Partiamo con la data: paradossalmente, se quella del Natale è molto precisa (25 dicembre) ma totalmente arbitraria e infondata (è sovrapposta a una festa pagana), quella della Pasqua viene cambiata ogni anno dalla Chiesa nonostante sia ricavabile dai dati storici forniti dai Vangeli.
Quasi sicuramente, infatti, Cristo è morto venerdì 7 aprile dell’anno 30.

Se la data della Pasqua cambia ogni anno è perché è una festa “lunatica”: il calendario ebraico non è infatti solare ma lunare e dovendo adeguarsi a questo sistema per la datazione, la Chiesa celebra la Resurrezione di Cristo nella domenica successiva al primo plenilunio di Primavera.
Che fosse domenica lo dicono gli stessi Vangeli, raccontando che “il primo giorno dopo il sabato” Maria di Magdala trovasse vuota la tomba di Gesù. E dal momento in cui era “il terzo giorno” dalla morte, se ne deduce che fosse morto venerdì mentre l’orario – le tre di pomeriggio – viene precisato dai due vangeli più antichi: Marco e Matteo.


Ovviamente, se Gesù è risorto il terzo giorno, significa che non è risorto dopo tre giorni, ma dopo due. Anzi, ad essere precisi un giorno e mezzo, visto che nel sepolcro c’è rimasto solo venerdì sera e l’intera giornata di sabato.
Ma chi ha voluto davvero la sua morte? Se la tradizione cattolica, accusando gli ebrei di “deicidio” ha gettato le basi dell’antisemitismo, da una lettura attenta dei Vangeli emerge uno scenario completamente diverso.
Gesù è ebreo ed ebrei sono i suoi discepoli, mentre chi ha firmato la sua condanna a morte è un romano. E’ vero che gli evangelisti tendono a far ricadere la responsabilità dell’arresto e della condanna quasi interamente sulle autorità religiose ebraiche, ma Gesù viene messo a morte come nemico di Roma, e proprio la crocifissione ce lo dimostra: chi peccava contro la legge giudaica veniva infatti lapidato, ed è esattamente quello che accadrà a Santo Stefano, il primo martire cristiano.

Se Gesù fosse stato davvero ucciso perché si era proclamato figlio di Dio sarebbe stato quindi lapidato, e non certo crocifisso.

 

D’altra parte nei Vangeli, Pilato è ritratto come un uomo onesto e indeciso, con una gran voglia di salvare Gesù e la stessa flagellazione (pratica usuale per i condannati a morte) viene presentata come un estremo tentativo di evitargli la pena suprema. Ma storicamente le cose stanno molto diversamente: Ponzio Pilato era un funzionario pragmatico, corrotto e crudele, che aveva fatto uccidere un gran numero di ebrei ribelli. Per lui Gesù era solo uno dei tanti sovversivi da fare fuori. Bisogna però tenere conto del fatto che i Vangeli vengono scritti in un’epoca - tra l’70 e il 100 - in cui sugli ebrei è già caduta l’infamia (dopo l’ennesima rivolta nel 70 a Gerusalemme è stato distrutto il Tempio e il popolo è stato cacciato e disperso) mentre non sono ancora iniziate le persecuzioni contro i cristiani. E’comprensibile quindi che gli evangelisti non desiderassero irritare gratuitamente l’autorità romana.
Ma se i giudei sono stati calunniati dalla tradizione, ancora peggio è andata a Giuda, passato alla storia come il traditore per eccellenza.
Il verbo usato nei Vangeli va infatti tradotto come consegnare, non tradire. Che Giuda abbia in qualche modo facilitato l’arresto di Gesù non si può mettere in dubbio, ma il concetto di consegna è ben diverso da quello di tradimento.

 

 

 

E’ probabile che Giuda appartenesse a quel gruppo di discepoli che avevano visto in Gesù l’incarnazione più politica del messia e si aspettavano quindi la liberazione dal dominio romano. Né si può del tutto escludere l’ipotesi che l’intento di Gesù – almeno in un primo momento – fosse quello di attuare una rivoluzione non solo spirituale ma anche sociale. Il percorso di Cristo e dei suoi discepoli, così come è presentato nei Vangeli, è tutt’altro che lineare e Gesù cambia più volte idea: in un primo momento si presenta proprio come il Messia atteso dal popolo ebraico, salvo allargare – successivamente – la sua missione anche ai non ebrei, e se predica una rivoluzione interiore e non violenta non manca di compiere atti politici e aggressivi come la cacciata dei mercanti del tempio.
Quel che è certo è che il Nazareno si inimica ben presto le autorità di Israele tanto da dover fuggire più volte per non lasciarci la pelle.

Una sollevazione antiromana, però, non può essere attuata senza l’appoggio dei Sommi Sacerdoti. L’obiettivo di Giuda, quindi, è quello di trovare un accordo: l’apostolo cerca di “forzare la mano” al Maestro costringendolo a confrontarsi con i suoi rivali per tentare di allearsi contro il nemico comune. Non immagina certo che Caifa faccia il doppio gioco, sia complice dei romani e che il confronto con Cristo si trasformerà in un processo.


Quando capisce cosa ha combinato e di come è stato raggirato, Giuda compie un atto di straordinario coraggio: mentre gli altri discepoli sono fuggiti e Pietro sta rinnegando Cristo di fronte a una serva, lui affronta i membri del Sinedrio proclamando l’innocenza di Gesù. Poi si impicca, nel tentativo di fare giustizia: non è un gesto disperato, ma l’auto-esecuzione di un uomo che si è reso colpevole della morte di un innocente.


A “riabilitare” la figura di Giuda, d’altra parte, sono le stesse parole di Gesù, che condivide anche con lui l’ultima cena e l’istituzione dell’eucarestia. Merita una riflessione il fatto che oggi gli scomunicati non possono accedere al sacramento della comunione mentre a Giuda è permesso. Gesù, quindi, non lo caccia e non lo rinnega. Dice, è vero, “guai a lui, sarebbe meglio non fosse mai nato” ma l’espressione usata nei Vangeli tradotta letteralmente non suona come “guai a lui” bensì “povero lui”. Gesù non sta minacciando Giuda ma lo sta commiserando per l’immenso dolore che lo aspetta.

 


Per quanto riguarda la crocifissione, cinema e arte sacra continuano a mostrarci Gesù che trascina a spalla la croce dal pretorio fino al Calvario, ma in realtà quella croce non è mai esistita. La morte per crocifissione - senza dubbio la più crudele, lunga, dolorosa e umiliante - era infatti ben diversa da come viene rappresentata: le spalle del condannato venivano caricate di un palo orizzontale – il patibulum – legato sulle braccia; poi il condannato veniva trascinato sul luogo dell’esecuzione con al collo il “titulum” contenente le motivazioni della sentenza. Nel caso di Gesù, Ponzio Pilato fa scrivere “Il Re dei giudei” confermando l’idea che Cristo sia stato condannato a morte come sovversivo e non certo come bestemmiatore.

 


Sul luogo dell’esecuzione erano già piantati i pali verticali, i cosiddetti stipes, su cui veniva fissato il patibolo inchiodando mani e piedi del condannato nel legno. Ma attenzione, non erano i palmi delle mani ad essere bucati: i carnefici sapevano bene che, conficcando il chiodo nel palmo, il peso del corpo avrebbe immediatamente lacerato la mano stessa e il condannato sarebbe caduto dalla croce dopo pochi minuti. Per questo motivo i chiodi venivano conficcati nei polsi. L’iconografia cristiana, però, ha sempre collocato le stimmate sulle mani, ne consegue il paradosso che santi stigmatizzati come Padre Pio abbiano avuto ferite “filologicamente sbagliate”, cosa che incoraggia la lettura del fenomeno come psicosomatico più che miracoloso.

 

 

Interessante invece notare come stimmate “filologicamente corrette” siano quelle visibili sulla Sindone, il lenzuolo dove sarebbe stato avvolto Gesù dopo la morte, che secondo alcuni studiosi non è altro che un falso medievale (sarebbe allora un falso a dir poco geniale e lungimirante, visto che ancora oggi sono pochissime le rappresentazioni di Gesù con le stimmate sui polsi).


Sulla croce il condannato era completamente nudo, a dispetto di tutte le pudiche rappresentazioni del crocifisso proposte da pittori e registi, con l’unica eccezione di L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese. Il condannato veniva drogato con bevande o a base di acqua e aceto (che aiutava a riprendere le forze) o vino e mirra (che serviva a stordirlo) mentre i suoi vestiti venivano assegnati ai carnefici. Tutto questo viene testimoniato dal racconto dei vangeli, così come l’usanza di spezzare le gambe ai condannati o ferirli con una lancia per accelerarne la morte, che avveniva per dissanguamento o infarto.

 

 

Quando Gesù conclude la sua vita terrena, comunque - con buona pace della Smorfia napoletana – non ha affatto 33 anni, ma una quarantina. I riferimenti storici presenti nei Vangeli ci permettono infatti di datare la morte di Cristo intorno all’anno 30. Come già spiegato in passato, però, Gesù non è nato nell’anno zero (Dionigi il piccolo, inventore del calendario, aveva sbagliato i conti) ma nel 7 avanti Cristo.


Quanto alla Resurrezione, parlandone si esce dalla storia e si entra nella fede e nella teologia. Ma quello che è certo è che se i discepoli di uno dei tanti sovversivi ebrei giustiziati dai romani, dopo essersi dispersi al momento del suo arresto si sono improvvisamente riuniti trovando il coraggio e la forza di fondare una religione destinata a spaccare la storia in due, qualcosa – in quella domenica di primavera, a Gerusalemme - deve essere pur successo.

 


Il punto non è però se quella tomba fosse piena o vuota. Il punto è che un uomo per la sua Parola è stato denunciato, torturato, umiliato e ucciso, eppure – quest’uomo – da duemila anni dà speranza, coraggio, forza a milioni di uomini in tutto il mondo e ha segnato la strada a migliaia di persone che come lui hanno donato la vita per gli altri. 

Arnaldo Casali

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di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.