Inchieste

La pubblicità in futuro sarà richiesta. Gli spot diventeranno “affascinanti”

Vedremo e leggeremo quello che più ci interessa. A giocare in attacco sono agenzie, uffici di ricerca, opinion leader, planning e chi più ne ha più ne metta

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pubblicitàGli esperti ne sono convinti. In un futuro non troppo lontano le pubblicità piaceranno di più. Anzi, saranno gli stessi utenti a desiderarle. Perché gli spot diventeranno più affascinanti, appaganti e coinvolgenti. E soprattutto non saranno invasivi. I film non verranno interrotti all’improvviso e si potrà leggere l’articolo di un sito dall’inizio alla fine senza i popup, quelle fastidiosissime finestre pubblicitarie che si aprono proprio sulle frasi o sui titoli che catturano l’attenzione del pubblico.
Altro che persuasori occulti. L’attività dei signori della pubblicità non conosce confini. E questo lo sapevamo. Ma da ora in poi, invece che propinarci a getto continuo un flusso continuo di messaggi spesso poco graditi, saranno dalla nostra parte. Cioè dalla parte del consumatore. Almeno così sostengono i guru dello spot. Intanto hanno già pianificato le strategie che di fatto ci faranno entrare in una nuova era, quella della personalizzazione della comunicazione. Vedremo e leggeremo quello che più ci interessa. La pubblica opinione diventerà l’opinione del pubblico, chiamato a decidere cosa conviene fare e in quale momento.
In realtà la grande mole di dati in possesso degli uffici di comunicazione e marketing mette in condizione i creativi della pubblicità di capire cosa vogliono davvero i consumatori. Già succede in parte, e il caso Amazon è quello più evidente. Anche per questo in breve tempo muteranno i modelli di organizzazione all’interno di un’azienda. Ogni storytelling sarà costruito a seconda delle esigenze di un utente, e cambierà ogni volta che si vorrà.
Sono finiti i tempi in cui il telespettatore o il lettore veniva subissato di informazioni spesso ripetitive e a volte anche controproducenti per gli stessi brand. Dalla passività si passerà all’attività del pubblico che diventerà gestore dei propri gusti e consumi. Tutto è bene quel che finisce bene. O no?


Il discorso è complesso e di non facile comprensione. Diciamo subito che è falso sostenere che un consumatore è completamente maturo e responsabile. A facilitare la sua attività ci pensa la tecnologia, certo, ma fino a un certo punto. Perché il consumatore non è uno studioso degli acquisti, e non tutti sono esperti di economia e di marketing. La sua è una esperienza maturata sul campo. Lo stesso dove a giocare in attacco sono consulenti, agenzie, uffici di ricerca e di produzione business-to-business, account executive e supervisor, product team, creativi, producer, opinion leader, planning e chi più ne ha più ne metta. Le figure del settore pubblicitario, in questi ultimi anni, si sono moltiplicate. Insomma, il consumatore resterà sempre un adolescente, come sosteneva un pubblicitario americano, secondo il quale bisognava rivolgersi a un cliente come a un ragazzo di dodici anni.
Per questo le scelte finali sono e saranno sempre legate a un progetto di lavoro che deve tenere conto delle esigenze, ma allo stesso tempo delle aspettative, delle emozioni, dei sogni. Un progetto che ha come obiettivo la costruzione di una marca, di un brand. Quella di raccontare delle storie è un’arte, vedere alla voce storytelling, e i pubblicitari lo sanno bene. Sono abili a costruire sceneggiature, dialoghi, a stringere vere e proprie relazioni con i clienti. Le cui capacità cognitive saranno in qualche modo sempre avvolte in un marketing narrativo che legittima un determinato acquisto.

 

storytelling


Ma il futuro della pubblicità è legato al futuro dei media, e in quanto a trasformazioni, il settore ne sta vivendo molteplici. Da tempo si parla di nuovo potere dei consumatori. Bill Gates prospettava un futuro in cui il ricorso massiccio alle tecnologie digitali e all’utilizzo diffuso di internet avrebbero cambiato il volto delle aziende e il comportamento dei consumatori, a beneficio delle une e degli altri. Il fondatore della Microsoft parlava della velocità di accesso alle informazioni, e dei benefici che questo sviluppo avrebbe prodotto. Alla base dei mutamenti c’era un’idea tanto semplice quanto illuminante: il flusso di informazioni digitali.
Il concetto è quello di “sistema nervoso digitale”, ovvero un sistema costituito dai processi digitali che consente alle aziende di percepire le condizioni ambientali e di cogliere i bisogni dei consumatori attraverso la ricchezza delle informazioni ricevute. Un flusso costante senza interruzioni di sosta e continuamente aggiornato che ha permesso, nel giro di poco tempo, una sostanziale trasformazione nei rapporti tra chi crea un prodotto o un servizio e chi ne usufruisce. La circolazione delle informazioni, un tempo riservata unicamente ai gruppi dirigenti, negli anni si è estesa a tutti i quadri aziendali, a tutti i reparti, integrando idee e scambi di informazioni.


Un ulteriore passaggio è stato quello di coinvolgere i clienti, per individuare i loro reali bisogni. Questa attività tra produttore e consumatore è stata favorita quasi esclusivamente dallo sviluppo digitale, fino a rideterminare i valori di forza tra le parti. Parlare della propria esperienza in merito all’acquisto di un bene o di un servizio mette in moto un meccanismo mentale e psicologico che alimenta uno degli esercizi più praticati nei forum, dove vengono forniti commenti, descrizione dei prodotti, dettagli, consigli. I consumatori mettono a disposizione di altri potenziali consumatori la loro conoscenza per favorire o meno un acquisto, per indirizzare la scelta su un marchio piuttosto che su un altro, per orientare gli utenti secondo i propri gusti e determinare, quindi, il successo di un brand. Le valutazioni sono quasi sempre precise, verificabili attraverso la prova del prodotto in questione o nel confronto di più opinioni. A volte i pareri sono dettati da impressioni personali, soddisfazioni individuali, soggettive. Tuttavia, mettendo di fronte i diversi commenti, ne viene fuori un quadro più che completo che diventa certamente un punto di riferimento valido per chi deve effettuare un acquisto. In questo scenario nasce la nuova figura del prosumer, un neologismo che deriva dall’unione dei termini producer e consumer. Il termine fu inventato da uno studioso dei mezzi di comunicazione, Alvin Toffler. Egli immaginò un mercato in cui dalla produzione di massa si sarebbe passati a una massiccia produzione di prodotti personalizzati. Per ottenere questo risultato, però, i consumatori avrebbero dovuto prendere parte a questa produzione, indicando le caratteristiche dei prodotti stessi.

 


Oggi internet e le nuove piattaforme consentono questa partecipazione. Una sorta di personal economics, nella quale le grandi imprese devono fare i conti con un pubblico più attento, preparato, che non bada tanto al packaging, alla confezione del prodotto, ma al contenuto e alla necessità del suo utilizzo. Un pubblico che collabora, solidale e complice all’interno di una comunità. Navigando tra le pagine di un forum si scoprono le più alte competenze, individui informati su tutto che conoscono un prodotto sin nei minimi particolari.
Ma se la tecnologia digitale favorisce senza dubbio i clienti, la stessa è altrettanto magnanima con aziende, produttori ed esperti di marketing. Gli elementi a loro disposizione sono moltissimi. Conoscono tutto di noi: abitudini, comportamenti, gusti. Attraverso i device portatili è possibile stabilire dove ci troviamo in un determinato momento. Un flusso d’informazioni utili per la realizzazione di un prodotto e per la pianificazione di una campagna pubblicitaria. Il nuovo potere dei consumatori si scontra con il potere di chi è in possesso di miliardi di dati. Il web ha cambiato la nostra vita, ma bisogna fare i conti con la privacy. E il dibattito, tra opportunità e pericoli, è tuttora in corso.

Antonio Pascotto

di Antonio PascottoGiornalista Caporedattore All news Mediaset, Tgcom 24.