Inchieste

Lo storico Franco Cardini racconta, il suo, terrorismo

“Il terrorismo attuale non ha niente a che fare con le crociate, né con Maometto. E’ nato dopo il crollo dei regimi comunisti”

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franco cardini isisIl più grande pericolo, per l’occidente, non è l’islam ma l’ignoranza. Che sembra essere diventata, lei sì, la religione che fa più proseliti nell’epoca della post-verità e della presunta lotta al terrorismo portata avanti con il terrore e la diffidenza nei confronti di un credo, che rappresenta oggi la seconda religione al mondo con quasi 2 miliardi di fedeli. Persino chi vuole portare avanti un dialogo pacifico parla di “islam moderato”, dando per scontato che l’islam, per sua natura, sia violento e intollerante.
“Eppure l’Islam non è affatto una minaccia”. Franco Cardini non solo è uno dei più importanti storici italiani e il massimo esperto di crociate, ma è anche un personaggio ben lontano dal quel “buonismo di sinistra” contro cui si scagliano i “cattivi di destra”: ex militante del Movimento sociale e candidato sindaco a Firenze, sostenuto dalle liste civiche Sinistra per Firenze, Lega pensionati ecc., pur rifiutando qualsiasi etichetta Cardini si è sempre riconosciuto in posizioni piuttosto conservatrici.
Oltre che autore di una delle più apprezzate monografie su Francesco d’Assisi, scrive per molti giornali tra cui Avvenire. Al terrorismo e i rapporti tra islam e occidente ha dedicato, negli ultimi anni, tre volumi.
 
Oggi tendiamo a parlare dell’Isis come se esistesse dai tempi delle crociate. Invece è nato nel 2014.
“Perché si confonde l’Isis con Al Qaeda e Al Qaeda con altre cose”
 
C’è una linea che collega l’Isis alle lotte millenarie tra Europa cristiana e islam?
“No. C’è invece una linea che collega l’Isis alla grande delusione del mondo musulmano dopo la Prima guerra mondiale: i governi europei avevano promesso agli sceicchi arabi unità e indipendenza in cambio del sostegno alla lotta contro l’impero ottomano, ma una volta vinta la guerra si orientarono verso un’organizzazione neo-coloniale che tradiva ogni patto. Da allora è nato un rifiuto dell’occidente liberale che si è trascritto prima in una fiducia nel fascismo e poi in una simpatia verso il mondo sovietico, pur se ateo. Crollato anche l’impero sovietico è venuta a mancare l’alternativa all’occidente liberale, considerato il grande traditore”.
 
 
Il crollo del muro di Berlino, quindi, è all’origine del terrorismo islamico?
“Una delle cause è stata anche la grande crescita – a partire dagli anni ’70 – del movimento wahhabita, che è nato tra lo Yemen e l’Arabia Saudita e che è la confessione – tra l’altro - del Re Saudita”.
 
Di che cosa si tratta?
“E’ una riforma religiosa nata nel XVIII secolo per iniziativa di Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb, che ha portato allo sviluppo di una filosofia religioso-politica molto rigida e che mira alla conquista all’Islam di tutto il mondo. Da qui si sono sviluppate negli anni ’90 le organizzazioni facenti capo ad Al Qaeda. Poi Al Qaeda è stata criticata dall’interno per una struttura giudicata troppo piramidale e sono nati nuovi modi di vedere la rivoluzione islamica, fondati sulla necessità da una parte di avere una base territoriale e dall’altra di creare un’organizzazione terroristica flessibile che spargendo il terrore obbligasse l’occidente ad assomigliare alla caricatura che ne fanno i predicatori oltranzisti”.
 
 
 
 
 
Cioè il terrorismo vuole spingere l’occidente a rifiutare l’islam?
“I predicatori fondamentalisti considerano l’occidente il nemico dell’islam: se l’occidente si spaventa e attacca l’islam nel suo complesso, i musulmani si renderanno conto che gli estremisti hanno ragione e ha torto chi parla di convivenza”.
 

Quindi quando rifiutiamo l’islam stiamo facendo esattamente il gioco dei terroristi.
“Questa è l’idea del Daesh, ovvero dello Stato islamico, altrimenti detto Isis, e del califfo Al-Baghdadi. Ma è un’ideologia che si sta esaurendo, almeno per quanto riguarda l’idea della costruzione di uno stato territoriale nel mondo islamico. L’Isis è ormai alle corde e non è riuscito a costruire quello per cui era nato ed era stato finanziato, e cioè la frammentazione degli stati nazionali arabi”.
 
 
Che cosa intende dire?
“Le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale avevano imposto l’organizzazione degli stati arabi in contenitori a somiglianza di quelli occidentali: il fine del Daesh era sostituire lo stato nazionale con entità etno-religiose: ad esempio lo spezzettamento della Siria e dell’Iraq in comunità arabo-sunnite, arabo-sciite o druso-sunnite. Questa manovra sembra non essere riuscita, quindi i finanziatori smetteranno di sostenere l’Isis e noi dovremo aspettarci la nascita di nuove forme di terrorismo”.
 
 
 
L’Iraq è il cuore di tutto questo movimento.
“Il Daesh voleva creare un piccolo Iraq totalmente sunnita, e così l’Arabia saudita o magari alcune potenze europee avrebbero potuto metterci missili a testata nucleare puntati sull’Iran. Questo disegno è fallito: l’Iraq continua ad essere uno stato unitario che ha un governo sciita, quindi filo-iraniano. Ora l’Isis dovrà cambiare tattica e vedremo quale adotterà: certo andare in giro, come fa Trump, a raccontare fesserie dicendo che i capi del terrorismo sono gli iraniani, non ci aiuta a comprendere quello che sta succedendo”.
 
 
 
Se oggi l’Iraq è filo-iraniano, peraltro, è grazie agli Stati Uniti.
“Hanno buttato fuori Saddam Hussein che era un dittatore, ma era sunnita e quindi avverso all’Iran che gli Stati Uniti hanno sempre considerato il primo pericolo del vicino oriente. La guerra in Iraq è stata un’idiozia di Bush e il fatto che ora – dopo la parentesi moderatamente positiva di Obama – sia stato sostituito da uno come Trump, è solo la conferma dell’antico adagio che al peggio non c’è mai fine”.
 
 
 
Non dimentichiamo che gli Stati Uniti, prima di considerarlo un nemico, hanno sostenuto e armato Saddam Hussein durante la guerra contro l’Iran.
“Kissinger lo definì “il presidente del sorriso” quando venne in visita trionfale negli anni ’70 e prese la cittadinanza onoraria di Detroit, dove si producevano automobili nutrite col petrolio di Hussein. Pochi anni dopo venne disegnato come il nuovo Hitler”.
 
 
 
 
 
 
Insomma è finito l’Isis, ma non il terrorismo.
“Un conto sono i finanziatori e i sostenitori esterni, un conto sono i militanti, i neo-musulmani immaginari che non hanno mai letto il Corano e che il Daesh – a differenza delle comunità serie – accetta come correligionari. La loro reazione sarà tornare nel nulla o inasprire la lotta terroristica. Certo, al terrorismo servono soldi e appoggi. Ce li hanno ancora? Sembrerebbe di no, ma non lo sappiamo; perché, per esempio, ci sono alcuni emirati arabi che stanno facendo una politica piuttosto ambigua rispetto alle formazioni terroristiche”.
 
 
 
Maometto era un capo politico. C’è una connessione tra il suo stato islamico e l’Isis?
“Innanzitutto ci sono 14 secoli di storia in mezzo. E poi, come dicevo, i terroristi discendono da una neo-confessione musulmana nata nel XVIII secolo. A metterci nei guai, poi, è stata Sua Maestà britannica che per pagare un po’ meno il petrolio, negli anni ‘20 ha tolto il suo appoggio a personaggi ragionevoli e filo-occidentali e l’ha regalato alla setta più sporca e cattiva dello Yemen e del sud dell’Arabia”.
 
 
 
Si dice però che da parte del mondo islamico manchi una presa di posizione chiara e forte contro il terrorismo.
“Va ricordato anche che l’Islam non ha chiese: se le comunità cristiane possono opporsi al potere politico è perché – tramite la Chiesa – hanno creato un potere interno. L’Islam non ce l’ha e in ogni paese islamico i musulmani osservanti sono in balìa dei poteri laici”.
 
 
 
 
 
Ma l’islam non è una religione teocratica?
“E’ esattamente l’opposto: negli stati islamici non sono gli imam a comandare la politica ma sono i Re e i dittatori a comandare la religione: il capo della più grande università islamica del mondo – l’imam di al-Azhar – ha dichiarato che il terrorismo contravviene ai precetti dell’islam. Il problema è che l’università egiziana è un organismo di stato, di uno stato arabo: il potere, quindi, non è nelle mani dell’imam, ma del presidente dell’Egitto”.
 
 
 
Quindi non è il potere civile assoggettato alla religione ma il contrario.
“Sì: in Italia al potere politico si contrappone la gerarchia della Chiesa. In un paese musulmano non può succedere, perché non esiste un potere religioso”.
 
 
In Iran, però, comanda l’ayatollah.
“L’Iran è un caso a parte: ce lo immaginiamo come un regime totalitario, ma in realtà il parlamento viene eletto democraticamente, ci sono decine di partiti, centinaia di giornali e una vita politica molto attiva. E’ vero che, secondo la costituzione, al di sopra del Parlamento c’è il Senato dei saggi nominati direttamente dalla guida suprema. C’è effettivamente un potere ierocratico, anche se i teologi sciiti sono più giuristi che preti; ma è vero anche che in Parlamento siedono minoranze di altre religioni, come cristiani e persino adoratori del fuoco”.
 

 

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.