Inchieste

Violenza e ignoranza coperta dall’anti-razzismo. “black lives matter"

Montanelli quando è morto era l'eroe della sinistra italiana, martire - con Biagi e Santoro – della libera informazione

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Qualche anno fa in un ristorante di Padova un giovane cameriere, che voleva cercare di essere politicamente corretto, mi offrì un amaro “Montenero”; perché dire “negro” gli sembrava troppo brutto.      A raccontarlo sembra quasi una barzelletta, ma non è da escludere che qualcuno prenda seriamente in considerazione l'idea di cambiare il nome del celebre liquore, vista la piega che sta prendendo la caccia al razzista iniziata in America dopo la morte di George Floyd e prontamente scimmiottata in tutto il mondo. Un crescente delirio collettivo che sta trasformando la seria riflessione sulla necessità di demilitarizzare le forze di polizia in una demenziale caccia alle streghe; pratica alla quale, d'altronde, gli americani sono notoriamente molto appassionati. Floyd, badate bene, non era un afroamericano scelto a caso e massacrato da un gruppo di razzisti (come avvenuto – ad esempio – a Michael Donald nel 1981); Floyd era un criminale morto in seguito ad un malore causato dal trattamento subito durante l'arresto, e filmato da alcuni passanti. Le immagini strazianti dell'uomo che ripete “non riesco a respirare” mentre un poliziotto bianco gli tiene un ginocchio sul collo sono bastate – da sole – a far parlare di omicidio razzista e a mettere sotto accusa prima il poliziotto, poi la polizia di Minneapolis, poi tutta la polizia americana, e infine le forze dell'ordine in generale. Floyd è diventato la vittima sacrificale di una nuova ondata di razzismo e il poliziotto il mostro di turno. La sentenza è stata emessa di fronte al filmato, senza nemmeno che ci si scomodasse a cercare di capire che cosa fosse successo realmente e perché. E soprattutto, quale è il vero problema all'origine di questa tragedia e di tante altre analoghe di cui giornali e telegiornali si sono riempiti nei giorni successivi.

Vale la pena di ricordare che quel tipo di trattamento per immobilizzare qualcuno durante un arresto è in realtà una prassi piuttosto comune in tutto il mondo. E' pericoloso – perché si rischia il soffocamento – ma proprio per questo spesso il soffocamento viene simulato dai criminali per liberarsi dalla presa. E vale la pena di ricordare anche quello che è successo a Terni cinque anni fa: uno spacciatore marocchino, ubriaco, entrò in un bar del centro storico e diede in escandescenze. Due poliziotti riuscirono a immobilizzarlo, con una tecnica analoga a quella oggi incriminata. Anche quella volta l'arrestato lamentò di non riuscire a respirare, anche quella volta c'erano persone che filmavano con il telefonino e inveivano contro i poliziotti. Quella volta, però, i poliziotti allentarono la presa, il marocchino riuscì a fuggire, e poco dopo uccise un ragazzo che non aveva altra colpa se non quella di trovarsi sulla traiettoria.

 

Nei giorni successivi, anziché un'ondata antirazzista contro i poliziotti, ci fu un'ondata razzista contro gli immigrati. E se allora a strumentalizzare la morte di David Raggi erano state le destre, che avevano puntato il dito contro l'accoglienza degli stranieri, oggi a strumentalizzare quella di George Floyd – in piena campagna elettorale americana – ci ha pensato la sinistra, cercando di trovare in Donald Trump la causa di una presunta nuova ondata di razzismo. 

Sia chiaro che - esattamente come era stato con il MeToo – la riflessione proposta dal movimento Black Lives Matter è sacrosanta: il fatto che gli Stati Uniti abbiano avuto per otto anni un presidente nero non deve fare abbassare la guardia sul problema del razzismo, pensando che appartenga al passato. La scrittrice afroamericana Nikole Hannah-Jones ha appena vinto il premio Pulitzer per un articolo – pubblicato lo scorso agosto sul New York Times – dove spiega come all'indomani della guerra di secessione fosse stato raggiunto un tale livello di integrazione che addirittura degli ex schiavi avevano sostituito in Parlamento i loro padroni. La segregazione – quella superata solo negli anni '60 grazie ai Kennedy e a Martin Luther King – fu introdotta in realtà tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, proprio in seguito a nuove ondate di razzismo causate dall'emancipazione degli ex schiavi. La morte di Floyd, d'altronde, è arrivata sei settimane dopo che la polizia di Louisville, in Kentucky, ha ucciso Breonna Taylor, 26enne afroamericana e dieci settimane dopo l’uccisione del venticinquenne Ahmaud Arbery, inseguito da padre e figlio bianchi in un pick-up mentre faceva jogging nel suo quartiere di Glynn County, Georgia.

Secondo DeNeen L. Brown del National Geographic, queste morti sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso di 400 anni di oppressione. Quello che è discutibile, però, è che il razzismo possa essere superato non con politiche di integrazione sociale, ma con un'ideologia anti-razzista fatta di contrapposizioni, manifestazioni di piazza, retorica, strumentalizzazioni, violenze, incendi, saccheggi e liste di proscrizione, fino ad arrivare alla censura di grandi classici del cinema come Via col vento (colpevole di sposare il punto di vista dei sudisti durante la guerra di secessione) e atti  vandalici ai danni di statue di personaggi razzisti, o anche semplicemente discutibili per le più disparate ragioni: si va dal grande eroe antinazista ma razzista Winston Churchill al padre di una fratellanza universale come quella dei Boy-Scout - Robert Baden-Powell - sospettato di simpatie naziste.

 

Se vent'anni fa tutto il mondo si era indignato di fronte alla distruzione delle statue di Buddha da parte dei musulmani talebani, oggi la furia iconoclasta dei talebani dell'antirazzismo infuria in tutto il mondo: i belgi hanno preso di mira le statue di Leopoldo II (responsabile di immani atrocità in Congo), gli inglesi vogliono fare fuori non solo quelle dei commercianti di schiavi ma anche quelle del più celebre primo ministro e del fondatore dello scoutismo, mentre gli americani – che devono spararla sempre più grossa di tutti - se la prendono addirittura con Cristoforo Colombo; che sicuramente non era uno stinco di santo ma col razzismo non c'entra proprio niente.  Se questi invasati conoscessero un po' di storia, peraltro, saprebbero che la deportazione degli schiavi africani era nata – paradossalmente – per motivi umanitari. Già, perché il suo promotore, Bartolomeo de Las Casas, aveva proposto di importare i più robusti schiavi dall'Africa per proteggere gli indigeni di cui era in atto lo sterminio.

Certo non ricordiamo questo per giustificare lo schiavismo (che peraltro per millenni nessuno ha messo in discussione) ma solo per ricordare che la storia è complessa e l'umanità non si può dividere in buoni e cattivi. E che – come cantava Michael Jackson, primo cantante nero ad uscire dall'ambito della black music e ad essere idolatrato anche dai bianchi – non si può cambiare il mondo senza partire dall'uomo nello specchio. Se peraltro avessero un briciolo di coerenza, i nemici di Colombo, dopo aver decapitato le sue statue farebbero bene a fare le valigie e a tornarsene in Europa, lasciando il continente ai nativi a cui i loro antenati invasori lo hanno strappato. L'America si libererebbe così – d'un colpo – di tutti gli Wasp, ovvero i bianchi, anglosassoni e protestanti tra i quali – secondo Benigni e Troisi in Non ci resta che piangere – non se ne trova uno abbastanza buono da giustificare l'impresa del navigatore genovese. 

In Italia, invece, i benpensanti della sinistra non hanno trovato di meglio da fare che concentrarsi sulla statua di Indro Montanelli, additato come fascista, razzista e pedofilo. “E' del 2006 ed è anche brutta” commenta Francesca Melandri sul suo profilo facebook, giustificando gli atti vandalici subiti dal monumento e la proposta di rimuoverlo avanzata da un'associazione. La voce della scrittrice e regista, sorella dell'ex ministro non è certo l'unica a chiedere la testa postuma del fondatore del Giornale. D'altra parte adesso che Berlusconi è diventato inoffensivo, Montanelli è tornato ad essere un maledetto fascista come negli anni di piombo, mentre quando è morto era l'eroe della sinistra italiana, martire - con Biagi e Santoro – della libera informazione.

Così, queste anime belle, sembrano aver scoperto solo oggi che il paladino dell'antiberlusconismo a venticinque anni aveva comprato, sposato e stuprato una ragazzina eritrea di dodici anni; e che di questa cosa (che rientrava negli usi e costumi del tempo e del luogo) non si era mai pentito. I profeti del conformismo radical chic si sono affrettati a tirare fuori anche altri documenti (come una lettera a Priebke) per dimostrare, a quasi vent'anni dalla morte, quanto fosse brutto e cattivo quello che viene invece considerato – chissà perché – uno dei più grandi giornalisti italiani, rivendicando una trasformazione del monumento a Montanelli in un monumento contro Montanelli, di cui vengano preservati anche gli insulti lasciati dai vandali.  

 

“Dei mille motivi per cui imbrattare la statua di Indro Montanelli è solo un gesto da vigliacchi – ha scritto invece Enrico Mentana - ce n'è uno che non andrebbe mai dimenticato:  quel monumento sorge nel luogo in cui Montanelli fu colpito da un commando delle Brigate Rosse nel 1977”. “Ci sono stati anni in cui andare col Giornale di Montanelli in tasca significava rischiare un'aggressione o peggio – aggiunge Giuseppe Magroni – Qualcuno vorrebbe che tornassero”. 

Marco Travaglio – che del grande giornalista è una creatura – nella difesa del suo ex direttore chiama invece in causa il contesto storico, spingendosi a sostenere che accoppiarsi con una bambina africana era addirittura un atto anti-razzista. Ignorando, evidentemente, che essere razzisti non significa solo schifare gli africani, ma anche considerarli una razza inferiore da dominare. O pensa forse – Travaglio – che i clienti delle prostitute nigeriane siano cittadini impegnati nell'integrazione sociale di queste nuove schiave?

No, il contesto storico non assolve Montanelli. E nemmeno Colombo, Churchill, Leopoldo II o Baden-Powell. Il punto è un altro: il punto è che non si può ridurre una persona ad un  singolo gesto o un aspetto della sua vita e giudicarlo – in base a quello – indegno di rispetto e memoria. Abbattere una statua è lecito solo quando ci si libera da una dittatura, perché in quel caso la statua stessa è parte integrante del regime: il Colosso di Nerone di fronte all'Anfiteatro Flavio non lo celebrava certo in quanto attore o poeta, né le statue di Lenin o Saddam Hussein erano state collocate per ricordare un filosofo o un condottiero, ma erano solo ed esclusivamente espressione della tirannia.

Ma Cristoforo Colombo non è commemorato certo come schiavista, né a Indro Montanelli sono stati dedicati dei giardini in qualità di razzista e stupratore. E se si processa e condanna ogni personaggio storico in base ai propri peccati, chi si salverà?

Certo non Giuseppe Garibaldi, che di massacri sulla coscienza ne ha più di Colombo, né tantomeno  Pierpaolo Pasolini – anche lui pedofilo e violento – per non parlare dei crimini efferati commessi dalle brigate partigiane che dovrebbero portare, secondo questa logica, a riscrivere l'intera storia della Resistenza. Roma, poi, dovrebbe essere completamente rasa al suolo, visto che non c'è monumento che non sia riconducibile all'impero romano, al fascismo o a papi corrotti. 

Quanto ai film, il rogo delle pellicole politicamente scorrette dovrebbe inghiottire tre quarti  della storia del cinema, a cominciare da Nascita di una nazione di David W. Griffith, capolavoro imprescindibile e al tempo stesso pellicola così razzista da aver ispirato la rinascita del Ku Klux Klan e costretto il regista a scusarsi girando un altro grande capolavoro dedicato all'intolleranza: Intolerance, appunto. 

Ancora più alte dovrebbero salire le fiamme dei vinili di canzoncine esotico-parodistiche come Civization - diventata in italiano Bongo Bongo:                                                                                                                                                                        
Ma il vecchio negro disse allor: “Oh... bongo bongo bongo / Stare bene solo al Congo /

Non mi muovo no no / Bingo bango bengo / Molte scuse ma non vengo / Io rimango qui / 

No bono scarpe strette / Saponette treni e tassì / Ma con questa sveglia al collo / Star bene qui”. 

Damnatio memoriae dunque, per Nilla Pizzi ed esilio per Renzo Arbore e Sofia Loren?

 

Che dire poi di Il pianto di Zambo: Quando io vedere buccia di banana, io pensare  sempre ad Africa lontana / pensare a giungla nera con la tigre e la pantera e pensare ancor di più al mio coso nel Tucul / il Tucul è una capanna dove Zambo fare nanna, il Tucul è un antro tetro dove entrare nel di dietro”. 

Né potrebbero salvarsi i Watussi di Edoardo Vianello - parodia dei Tutsi, “altissimi negri” del Ruanda – la padanissima Wacaputanga (“gh’era la tribù dei Wahha Put-hanga. L’era ona tribù de negher del menga”) e nemmeno Negro di Marcella Bella o King of Bongo dei Mano  Negra. Per non parlare di El negro Zumbon cantata da Silvana Mangano in una scena di Anna di Alberto Lattuada, citata addirittura da Nanni Moretti in Caro Diario, che – vedendo il film in televisione, anziché indignarsi e chiedere il rogo per la pellicola si mette addirittura a fischiettare e ballare!

“Impostare un risciacquo in lavatrice della Storia e della coscienza eliminando film, ritirando dolci dai supermercati o abbattendo statue è ridicolo” ha scritto il critico cinematografico Enrico Magrelli: “La storia va studiata e insegnata. Cancellarla è ipocrita e inutile”. Non a caso studiare e insegnare la storia è proprio ciò che invita a fare Franco Cardini,  in un intervento pubblicato su Avvenire: “Il vero problema non è l’iconoclastia quanto semmai il fatto che di questi crimini non si legga sui libri di scuola, che si continui a considerarli 'minori' rispetto ad altri. Troppo comodo sarebbe continuare a condannare genericamente il colonialismo senza conoscerlo, fingendo di non sapere che esso fu parte della marcia verso il 'progresso' e l’arricchimento dell’Europa liberista. Finché non faremo tutto ciò, il lavoro di 'purificazione della memoria' indirizzato a stigmatizzare i crimini nazisti e stalinisti sarà un esercizio ipocritamente lasciato a metà strada”.

Resta il dubbio che possa avere un qualche interesse a studiare la storia chi è in cerca solo semplificazioni e di un nemico da attaccare per sentirsi dalla parte dei buoni, senza fare la fatica nemmeno di accendere il cervello.  Quel che è certo, invece, è che se dovessimo distruggere tutte le statue di personaggi che hanno scheletri nell'armadio, in Italia resterebbe - forse - solo quella di “Prezzemolo”, la statua di un famoso parco giochi.

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.