Spettacolo

Esclusiva Pupo: rifarei tutto quello che ho fatto. Mi piace Renzi e per la prima volta voto a sinistra!

La nazionale cantanti è diventata un mezzo promozionale. I Talent non possono sostituire la gavetta.

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Dici Pupo e pensi subito ai gelati al cioccolato, ai cieli azzurri, alle canzoni spensierate degli anni 80, e forse un po’ è cosi, magari lo immagini sempre come un cantante con la faccia dell'eterno ragazzo che fa innamorare le ragazzine ma in realtà Enzo Ghinazzi, da Ponticino (AR), oggi è un uomo, un artista maturo che spazia con successo e disinvoltura dal canto alla conduzione di programmi di successo.
Pupo, è un uomo che oltre ad avere mille racconti, grazie ad una carriera quarantennale fatta di molti successi, è un attento osservatore della realtà sociale italiana ed internazionale, un appassionato esperto d'arte, un uomo dalle buone letture, ed un conoscitore del mondo che, unite a quella saggezza e quella arguzia toscana contadina fa si che ogni cena, ogni chiacchierata, ogni incontro con lui risulti un'esperienza piacevolissima.
Per tornare al Pupo cantante, sappiate che all'estero, soprattutto nei paesi dell'est che rappresentano il nuovo mercato, va fortissimo e riempie gli stadi ed è osannato come una rockstar. Sono stato testimone del suo successo a Napoli dove eravamo insieme per una trasmissione di Rai Uno, quando un gruppo di turisti russi, in visita alla città, appena lo ha riconosciuto ha smesso di ammirare il “Maschio Angioino” per dedicarsi al “Maschio Aretino” e lui li ha intrattenuti cantando a cappella delle canzoni russe.
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata per gli amici di “World Pass”, e ne è venuto fuori il ritratto di un uomo e di artista davvero interessante. Tutto da scoprire.

 

Innanzi tutto preferisci essere chiamato Enzo Ghinazzi o Pupo?

Nessuna preferenza. Visto che sono sempre gli altri a chiamarmi, lascio a loro la scelta. Le rare volte che mi chiamo da solo (naturalmente, per non suscitare sospetti o strane letture psicanalitiche lo faccio sempre di nascosto), mi chiamo o Enzino o Bischeraccio!!!

Chi è Pupo adesso, come uomo e come cantante?

Oggi, professionalmente parlando, mi sento un artista sereno. Uno che non ha più niente da nascondere e da dimostrare. E’ un bel momento che spero si prolunghi nel tempo. Questo vale anche per l’uomo. Sono da sempre stato, anche nei momenti più difficili della mia carriera, un punto di riferimento solido per la mia famiglia molto allargata e per le persone che ormai da molti anni mi stanno accanto e collaborano con me. Sono un padre e un nonno presente e disponibile. Anche se faccio un lavoro che mi porta sempre in giro per il mondo, cerco di non far mai mancare la mia presenza. In parole povere mi sento un uomo sereno e fortunato.

Tu hai attraversato periodi della vita anche molto travagliati: il gioco, il successo che diminuiva, le polemiche per la tua situazione famigliare, ecc. ma ne sei venuto fuori alla grande, come hai fatto? c'è qualcuno che devi ringraziare?

Sì è vero, la mia non è stata una vita “tranquilla” direi, citando l’amico Vasco, che è stata molto, a volte troppo: “spericolata”. Detto questo però, visto come sono andate le cose, direi che è stata una vita “meravigliosa”. Avere avuto la fortuna, la forza, forse sì, anche la capacità di combattere e sconfiggere tutti i demoni che ho incontrato, non è uno scherzo. E’ un bel regalo che ho ricevuto dal cielo. Il mio carattere, la grande capacità di reagire sempre positivamente di fronte alle difficoltà, di non arrendersi mai e di non esaltarsi mai più di tanto per i futili trionfi, sono doti che ho e che credo di avere sempre avuto, caratteristiche congenite. Perciò in primis dico grazie a me stesso per aver lottato e per ancora lottare e soffrire ogni giorno cercando di non cedere ai richiami, alle tentazioni e alle pericolose provocazioni del passato. Poi devo ringraziare tutta la mia famiglia, a partire da mia madre Irene, mia moglie Anna, la mia compagna Patricia, le mie figlie Ilaria, Clara e Valentina, mia sorella Emanuela con tutta la sua famiglia che non mi hanno mai lasciato solo e non mi hanno mai fatto sentire un fallito. Anche nei momenti più bui, mi hanno sempre spronato e hanno sempre creduto in me.

Sei uno dei pochi cantanti italiani, (si contano davvero sulle dita di una mano) che riesce a riempire teatri, palasport e addirittura stadi quando va all'estero soprattutto nell'est Europa. Quale è il segreto e perché la musica italiana non riesce più a "vendere" all'estero?

E’ vero, io lavoro tantissimo all’estero. Credo che il motivo principale del successo che alcuni cantanti italiani hanno all’estero sia soprattutto dovuto ad un genere musicale che negli anni si è imposto nel mondo come l’immagine della “Vera musica italiana”. I cantanti di oggi, a parte qualche caso raro, compongono e cantano canzoni che si concentrano di più sul significato del testo e un po’ meno sulla ricerca della melodia. Non c’è più quel lavoro di una volta in cui ricercavamo un suono capace di fondere musica e parole, facile, gradevole ed orecchiabile anche per chi non era italiano.

Hai davvero girato il mondo ci dici un paese che ti ha particolarmente colpito e perché?

Ogni paese è diverso e diverse sono le reazioni del pubblico. Quando per esempio vado in Nord America (Canada-Stati Uniti), il pubblico è in prevalenza di origine italiana e, anche se le nuove generazioni sono nate e vissute là, nel loro atteggiamento e nel loro modo di approcciarsi alla nostra musica e alla nostra cultura, c’è sempre un atteggiamento di grande calore e partecipazione. Reazioni che ancora oggi troviamo in alcune piazze del nostro meraviglioso sud. Ultimamente devo dire però che anche là, in mezzo agli italo-americani, stanno arrivando anche Russi e gente di altri paesi dell’est. A proposito di paesi del lontano est, un ricordo indelebile sono i tre concerti che qualche anno fa feci in Mongolia, nella capitale Ulaanbaatar. Nel nuovo auditorium della città, dodicimila persone ogni sera, cantarono per tutto il concerto insieme a me, in italiano, tutte le mie canzoni. Incredibile. Queste sono le cose che ti fanno riflettere e capire che la magia ed il miracolo della musica va oltre, riesce a superare qualsiasi ostacolo culturale e linguistico. I mongoli resteranno sempre nel mio cuore e anche nella mia mente. Anche perché credo di aver fatto in quei giorni, dopo ogni concerto, un totale di circa diecimila fotografie con la gente che faceva la coda come una volta quando si andava a comprare il pane. Un record.

 



Parliamo di gioco d'azzardo, giochi ancora?

Non gioco più. Ho smesso di giocare ed ho intrapreso una mia battaglia personale contro il proliferare del gioco d’azzardo. Confesso che è dura. Alcune passioni, anche quelle più pericolose, spesso sono una parte integrante di te. Nascono, vivono e vivranno sempre con te. Il lavoro da fare è quello di riconoscerle e imparare a dominarle, ma non è semplice come a dirlo. Io ogni giorno che Dio mette in terra, combatto, lotto e quindi soffro per dominare quelle che ho identificato come le mie “passioni pericolose”. E’ diventata una mia filosofia di vita. Mi sono dovuto convincere che per tutto quello che di bello la vita mi ha dato, il prezzo che io devo pagare è questo: “imparare a convivere con la sofferenza e con l’attesa”.


Io ho una mia teoria: la tua passione per il gioco, forse ti ha aiutato a rimetterti in gioco anche come personaggio TV e a trovare la strada che ti ha portato oggi ad essere uno che riesce a fare il conduttore, il giudice nei talent, l'inviato, insomma un artista a 360° tu che ne dici potrebbe essere cosi?

Sicuramente tutte le esperienze vissute hanno inevitabilmente fatto di me un uomo più solido, più forte e preparato ad affrontare un mondo, in particolare quello dello spettacolo, ricco di insidie, di ipocrisie e di continui stravolgimenti. Fatto di promesse non mantenute e di incertezze. Ho sempre pensato che la dote migliore di un uomo che oggi giorno fa il mio mestiere non sia il talento artistico, ma quello caratteriale. Ci vuole più forza di carattere che talento per mantenere il successo. Ed io, in questo senso, sono abbastanza “parato”.

Pochi lo sanno ma sei un grande esperto e appassionato di arte, che cosa vuol dire per te osservare un bel quadro o guardare una scultura? e chi sono gli artisti o il periodo artistico che ti da maggiori emozioni?

La mia passione per l’arte, in particolare per la pittura, nasce fin da ragazzo, quando a scuola, nell’ora di disegno, non sapevo davvero come occupare il tempo. Mentre tutti facevano il loro bel disegnino, io leggevo Topolino. La professoressa stessa, dopo una serie di tentativi vani, mollò la presa. In pratica, a disegno ero talmente negato che per me, riprodurre anche una semplice seggiola, risultava impossibile. E’ stata una reazione al mio handicap. E devo dire che ha funzionato. Non sono un esperto raffinato, ma uno che sa riconoscere le cose belle dalle “croste”. Sono molto attratto dalla pittura di fine ottocento, primi novecento. E’ quella che sento più vicina a me, alla mia anima. Gli impressionisti francesi, i macchiaioli e i post- macchiaioli toscani, riescono a farmi provare emozioni forti che probabilmente, almeno in qualche caso, si possono avvicinare a quelle che l’artista ha vissuto e provato nel realizzare la sua opera. Renoir, Monet, Degas e poi Fattori, Signorini, Lega, Cabianca e per finire Rosai, Soffici e Lorenzo Viani, sono alcuni degli artisti che preferisco, ma le mie passioni pittoriche spaziano tantissimo e ogni tanto cambiano in base al periodo che sto attraversando e anche al mio umore.

Per la tua anomala situazione famigliare hai avuto molti problemi, senza entrare troppo nel personale, cosa ti ha ferito fra quello che è stato detto nei tuoi confronti, quando ti indicavano come "poligamo"?

Non mi sono mai sentito ferito. Semmai, in relazione alla mia situazione sentimentale, sono state dette delle falsità. Per esempio, io non sono mai stato un poligamo, la poligamia è un reato ed io non ho mai avuto intenzione di non rispettare la legge. E’ vero, vivo da venticinque anni con due donne, lo faccio alla luce del sole. Ma non sono stato solo io a scegliere, abbiamo scelto in tre: io, mia moglie Anna e la mia compagna Patricia. Bastava solo che uno di queste tre elementi non fosse d’accordo e diciamo “il progetto” sarebbe saltato. Detto questo, non consiglierei mai a nessuno, nemmeno ad un nemico, di avventurarsi strategicamente in un’ avventura simile. Sono scelte difficili, ricche di insidie e di percorsi impervi e pieni di sofferenza. Possono resistere solo se, come nel mio caso, si sono evoluti naturalmente e sono portati avanti da persone disposte per amore a rinunciare a qualcosa.

 



Sei stato uno fra i costruttori di quella nazionale cantanti che nel corso di diversi anni ha raccolto moltissimi soldi e realizzato progetti per aiutare persone che avevano davvero bisogno. poi ti sei un pò defilato dal progetto, che cosa è successo? hai capito che la situazione stava cambiando o cosa?

La Nazionale Cantanti ha occupato una parte importante della mia vita, quasi trent’anni. Questa esperienza di volontariato mi ha dato, in termini umani, molto di più di quanto io ho dato all’associazione. Sono stato per anni un consigliere di riferimento e per due anni addirittura il Presidente. All’interno della Nazionale Cantanti, sono anche nate amicizie e legami personali che ancora oggi resistono. Penso all’amicizia che ancora mi lega a Gianni Morandi e a Mogol. Dopo trent’anni, complici la stanchezza e l’avanzare dell’età e per giunta di fronte ad alcuni stravolgimenti concettuali che stavano cambiando l’approccio che gli artisti avevano con La NIC, ho deciso di fermarmi. Quando parlo di “stravolgimenti concettuali” mi riferisco al fatto che, mentre all’inizio per fare parte della NIC bisognava essere cantanti amati e di chiara popolarità, da un certo punto in poi, soprattutto con l’ingresso di alcuni manager, è diventata sempre di più un mezzo promozionale per giovani sconosciuti o un appiglio estremo per vecchi cantanti in crisi professionale e di fama. Questo non toglie però che l’iniziativa è stata e resta lodevole e che, negli anni in cui la NIC ha operato, è riuscita a raccogliere e a donare oltre cento milioni di euro.

Torniamo ai viaggi c'è un posto dove vorresti andare, magari a cantare, dove ancora non ci sei stato? e perchè?

Mi piacerebbe fare un concerto nella spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro. Sono stato spesso in Brasile, ma mai per un bel concerto live all’aperto. Per quanto riguarda i viaggi, credimi, per uno che da più di quarant’anni gira il mondo per lavoro, l’unico desiderio che ho è stare a casa.

Dove senti più la nostalgia di casa e dove invece ti senti a casa quando vai all'estero per lavoro?

Non so cosa sia la nostalgia di casa. Credo, forse, ma non ricordo bene, di averne sofferto un po’, un paio di giorni, quando nel 1978 andai per la prima volta a New York. Ero da solo e la mia prima figlia aveva appena compiuto tre anni. Mi trattenni negli Stati Uniti per due mesi. All’epoca non c’erano i telefonini e così, i primi quattro giorni di permanenza in cui non ebbi nemmeno la possibilità di chiamare casa, provai un po’ di nostalgia. Poi più nulla.

Sei vicino ai 60 anni, sei nonno, hai fatto dei bilanci? che cosa è venuto fuori? hai rimpianti, rimorsi, rifaresti tutto quello che hai fatto?

Risposta brevissima, anche perché erano anni che non mi sottoponevo ad un’intervista così lunga ed impegnativa (cosa non si fa per amicizia), e comincio ad accusare un po’ di stanchezza che non vorrei si ripercuotesse nella qualità e nella sincerità della mie risposte. Visto come sono andate le cose e se qualcuno mi facesse un contratto scritto in cui mi garantisse che tutto andrebbe di nuovo come è andato, rifarei esattamente tutto ciò che ho fatto. Il bilancio della mia vita, alla soglia dei sessant’anni, è altamente positivo. Ho fatto quasi tutto ciò che ho voluto, non ho mai avuto padroni, ho amato molto e sono stato molto amato. Se dovessi scegliere un periodo della mia vita in cui poter fermare il tempo, sceglierei quello che sto vivendo adesso. Non ho più vent’anni, ma oggi possiedo tantissime altre cose per cui varrebbe veramente la pena di vivere per potersele godere.

 



Che cosa ne pensi dei cantanti di oggi? magari di quelli che sono usciti dai talent? ai tuoi tempi c'era quella che si definisce "gavetta" oggi pensi che un talent possa sostituirla?

I cantanti chiamiamoli “moderni” sono tecnicamente e vocalmente molto più dotati e preparati di noi, ma cantano canzoni meno forti delle nostre. Oggi gli autori scrivono canzoni pensando di più a come poterle adattare alle doti vocali dell’interprete che alla forza intrinseca dei brani stessi. E i talent in questo non aiutano molto. La televisione ha bisogno di bruciare i tempi e di dare emozioni forti ed immediate. Non c’è più tempo per lavorare sulle canzoni come si faceva una volta nelle vecchie scuole dei cantautori. Gente come De Gregori, De Andrè, Battisti e tanti altri, che prima di arrivare ad incidere un disco di successo dovevano prima inciderne dieci e passare attraverso flop ed umiliazioni, oggi non avrebbero avuto nessuna possibilità. I talent non possono sostituire la gavetta. Gavetta vuole dire fatica, miseria, anonimato e sofferenza. Non mi pare che queste siano caratteristiche tipiche dei talent.

Ti voglio fare una domanda politica dato che sei un attento osservatore delle vicende della politica italiana. Che ne pensi del tuo corregionale Matteo Renzi?

Renzi mi piace e se riuscirà a convincermi potrei, per la prima volta in vita mia, dare il mio voto alla sinistra.

Sei un uomo fortemente attaccato alle tradizioni ed alla famiglia di origine, spesso citi ad esempio tuo padre Fiorello, che cosa hanno rappresentato per te i tuoi genitori?

Sono fortemente attaccato ai miei genitori. Con mio padre avevo un rapporto straordinario, di grande amicizia. Quando ero piccolo mi portava a cantare alle battiture del grano. Lui era il postino di Ponticino e tutti lo conoscevano e gli volevano bene. Era un cantante di poesia estemporanea toscana. Lo faceva per hobby, ma era molto bravo. Ci ha lasciato nel 2000 e un paio di anni fa, per iniziativa del comune di Laterina, gli è stata dedicata una targa in marmo situata in un piccolo slargo stradale, proprio sotto la casa dove abita mia sorella Emanuela. Mia mamma Irene, per fortuna, è ancora in ottima forma, vive con me e canta nel coro parrocchiale di Ponticino.

Infine una domanda calcistica dato che sei uno sfegatato tifoso viola, chi vorresti nella fiorentina dei tuoi sogni, e visto che sei stato anche presidente della nazionale cantanti, dai un consiglio a Della Valle!

Mi va benissimo questa Fiorentina così com’è, la trovo fortissima. Se non avessimo avuto alcuni importanti infortuni, Giuseppe Rossi, Mario Gomez ecc., qualche soddisfazione in più ce la saremmo tolta. La famiglia Della Valle non ha certo bisogno dei miei consigli. L’unica cosa che chiedo ad Andrea e Diego è di continuare così e li ringrazio per quello che hanno fatto, che fanno e che faranno per la Fiorentina e per Firenze.

Walter Santillo

di Walter SantilloConduttore radio-televisivo/autore di tv, teatro e cinema.