Spettacolo

Confessioni di un inviato. Film e attori internazionali, il Festival di Cannes per i giornalisti

Cannes 2016: la battaglia della croisette.

di |

Da quando ho iniziato ad andare al festival di Cannes (ovvero dall' inizio degli anni '90) mi sono dovuto confrontare con questo scambio di battute: "Vai a Cannes? Che fortuna". Amici, parenti, conoscenti, animali di casa ti guardano con un misto di commozione e disprezzo pensando che mentre loro sono al loro lavoro, io sono a Cannes. Circondato da starlette, telecamere, ricchi magnati che, in bermuda, traguardano lentamente la passerella che unisce il loro yacht al molo del porticciolo sul quale incombe la mole imponente del Palais dove si svolge gran parte della kermesse: proiezioni ufficiali, sfilate del carpet, premiazioni e solennità.
Se credete che sfatare questa leggenda sia un' occupazione semplice e onesta, credo vi sbagliate.
Un fatto è avere guadagnato il diritto a frequentare un festival dove quest' anno un programma favoloso mette insieme film di Spielberg, Almodovar, Allen, Loach, Dolan, Sean Penn, Winding Refn, Jarmush, Jodie Foster, Rithy Pan, Park Chan-Wook, Kore-eda, Assayas, i fratelli Dardenne, Mungiu, Verhoeven, Brillante Mendoza, per citare solo i più famosi (come se qualcuno facesse un campionato di calcio prendendo i migliori calciatori spagnoli, tedeschi, inglesi, italiani, ecc, della chaampions league), un altro conquistarsi sul campo, giorno dopo giorno, la chance concreta di esercitare questo diritto. Di cosa parlo?

La sveglia è intorno alle 6 della mattina: la prima proiezione è alle 8.30 (a volte alle 8, se si tratta di film dalla durata eccessiva), e se si vuole arrivare in tempo (l' ultimo quarto d' ora è a rischio), prendendo almeno un caffè e coprendo la distanza tra la vostra sistemazione e il Palais (i prezzi proibitivi di Cannes possono costringere l' inviato a camere fuori Cannes), bisogna uscire di casa intorno alle 7 - 7.30. Soprattutto se non si possiede un accredito elevato (i più alti sono color rosa, i più bassi sono color giallo: la priorità è importantissima a Cannes: imbarazzante proiezione classista di una comunità, quella cinefila, che celebra da sempre uguaglianza e libertá nella mitologia d' autore sul grande schermo).

 

Insomma, è un po' come a scuola. Arrivare dopo la campanella significa perdere il film: ma si può rimanere fuori anche non arrivando molto per tempo, se non si possiede un accredito privilegiato. Perdere un film che ami dopo che ti sei alzato alle 6.30 per vederlo, è una esperienza sicuramente formativa. E anche molto frustrante. La giornata a Cannes è interamente scandita da questa premura: mettersi presto in fila, ritagliando anche il tempo di nutrirsi (qualcuno riesce anche ad andare alla toilette). È una impresa che richiede impegno e disciplina militari. Naturalmente, i giornalisti, devono anche scrivere e l' online con la sua pubblicazione immediata ha reso lo stress della notizia sorprendentemente più disumano rispetto a quello dei media scritti e stampati.

 

 

In ogni caso la quantità e qualità d' offerta di Cannes può spingere l' appassionato a mettersi in fila in una lunga fila di centinaia di metri per 5,6,7 volte al giorno. Dalle 8.30 fino a dopo mezzanotte. Non conosco nessuno, ma neanche una persona di quelle che per anni mi hanno detto "Vai a Cannes? Che fortuna", che sarebbe disposta a corvee del genere, ogni giorno, per piû di una settimana. Il fatto è che, chiunque si sottopone a una sfida del genere, lo fa per un motivo incomprensibile agli altri (quelli che non sanno cosa vuol dire seguire Cannes): lo fa perchè gli piace.

 

Non c' è niente di più bello che vedere grandi film la mattina (le sale sono grandi e comode, lo schermo immenso, le proiezioni sublimi), non c' è emozione più segreta del sentirsi spossati dal cinema (gli occhi pieni di luci, la testa piena di personaggi, le orecchie stracolme di suoni, vibrazioni, toni e accenti stranieri). Di più: non c' è niente di più dignitoso che essere stati lunghi minuti, a volte un' ora, in fila, in attesa di un film. Quando finalmente raggiungi il tuo posto, hai l' impressione di essertelo guadagnato il film: di esserti meritato il cinema.

 

Inoltre, Cannes, che in realtà sarebbe una cittadina costiera che di per sè non ha certo attrattive superiori (anzi) a qualsiasi località analoga delle Cinque Terre, o della costiera amalfitana, o della Puglia, o di tutto il meridione, con tutti gli accentuati e inevitabili caratteri di localismo e regionalitá, nel paesaggio e nei tratti della societá, nei giorni di Cannes si trasforma nel luogo più internazionale che c' è, un trailer sorprendente della molteplicità demografica del pianeta: asiatici e africani, orientali e sudamericani, coreani e giapponesi, egiziani e indiani, scandinavi e spagnoli. Tutti in fila per lo stesso motivo, tutti con negli occhi la stessa attesa, lo stesso sogno sotto i capelli.

 

 

Composti, tranquilli, sorridenti, con un panino, un quotidiano o una rivista in mano (rari i momenti di sfinimento, litigio, controversia: quasi sempre causati da italiani: siamo fatti così, abbiamo un' allergia genetica alle file, qualcuno sostiene che ciò sia compensato da altre qualità ma il tema è tuttora oggetto di appassionanti controversie), questa umanitá di persone - in crescita esponenziale, anno dopo anno - che dorme spesso per terra in appartamenti dalla densità di un barcone di migranti, mangia avventurosamente, si alza presto e va a dormire molto tardi, è in fila con il sole a picco e la pioggia battente (entrambi sono da sempre, per default, nel programma di Cannes), è la vera protagonista del festival più importante del mondo e farne parte è come indossare la stessa divisa o aver vissuto la stessa avventura o essere nati nello stesso posto. Ed è per questo che ormai da anni quando qualcuno mi dice "Vai a Cannes? Che fortuna", io penso dentro di me: sì, che fortuna. Ma non sapete perchè. 

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator