Spettacolo

La star della tv araba, Mohammad Assaf, mette in luce le contraddizioni dell’Islam che non cambierà mai

Il palestinese “futurista”, da reality e innovazione che blocca la sorella e lascia la fidanzata, (presentatrice del programma tv), quando si rifiuta di abbandonare il lavoro.

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Diciamoci la verità: che la vittoria a un talent show possa rappresentare la speranza e il riscatto di un intero popolo tanto da meritare di essere raccontata al cinema, è una cosa che in Italia è difficile da immaginare.
Ce lo vedete, voi, Nanni Moretti che gira un film su suor Cristina o Paolo Sorrentino che racconta le imprese di Marco Mengoni?
Nel mondo arabo, però, così lontano e così vicino, così uguale e così diverso, può accadere che il più grande regista palestinese, Hany Abu-Assad - due volte candidato all’Oscar - si precipiti nella piazza di Nazaret con la telecamera in mano per assistere insieme a centinaia di altri tifosi alla finale di Arab Idol vinta dal connazionale Mohammed Assaf. “Avevo appena vinto Un Certain Regard al Festival di Cannes - racconta il regista - ma ero più galvanizzato per la vincita di Assaf che per il mio premio”.
Il giovanissimo cantante arrivato da Gaza è diventato infatti una bandiera per la causa palestinese e il suo successo (ha battuto in finale un cantante egiziano e uno siriano) è servito a riportare sotto i riflettori il dramma di un popolo prigioniero tra i propri confini e ancora senza stato. Ma è anche – al tempo stesso – il manifesto del paradosso del mondo islamico: un mondo che mentre cavalca i prodotti più effimeri della cultura occidentale continua ad imporre dettami e principi nati in una società tribale 1500 anni fa.


E’ il paradosso, d’altra parte, dello stesso terrorismo islamico, che combatte la cultura degenerata dell’Occidente facendo uso dei suoi stessi degenerati mezzi tecnologici e mediatici.


Classe 1989, Mohammed Assaf è cresciuto in un campo profughi a Gaza - la zona di guerra più calda della Palestina - e nel 2012, tra mille peripezie e in due giorni di viaggio, è riuscito a passare il confine per l’Egitto, infilarsi senza biglietto tra gli aspiranti concorrenti del talent show musicale (versione araba del format britannico “Pop Idol” esportato in tutto il mondo) arrampicandosi sulle pareti dell’edificio dove si tenevano le audizioni e a farsi lasciare il posto da un connazionale, per poi entusiasmare con la sua voce l’intero mondo arabo trasformandosi in una pop star di fama mondiale.

 

Mohammed Assaf idol

 

Una star che - come sottolineano i titoli di coda - oggi ha un passaporto diplomatico con cui può viaggiare in tutto il mondo, tranne che a casa sua. La piccola attrice che interpreta la sorella, d’altra parte, non ha potuto partecipare alla prima mondiale del film al festival di Toronto perché non le è stato concesso il visto.


Paragonato a The Millonaire (a cui lo accomuna la storia di un ragazzo poverissimo che partecipa a un celebre programma televisivo), a differenza del kolossal hollywoodiano di Danny Boyle, Idol è un film di stampo neorealista, girato tra le macerie di Gaza da un regista che in quel mondo ci è cresciuto e che anziché ricostruire il set del programma televisivo preferisce utilizzare immagini di repertorio dove si vede il vero Assaf; che peraltro - per una volta - nella realtà è molto più bello dell’attore che lo impersona.

Forse non a caso Abu-Assad gli aveva chiesto di interpretare sé stesso. “Non me la sono sentita - ha dichiarato il cantante - ma dopo aver visto il film mi è venuta voglia di fare l’attore”.


Abu-Assad, che con Paradise now dieci anni fa aveva raccontato la storia di due aspiranti kamikaze, questa volta lascia la guerra sullo sfondo dando spazio alla vita quotidiana dei ragazzi di Gaza, e nella prima parte del film racconta la storia di quattro bambini che decidono di formare un gruppo rock, andando a vendere pesce per comprare gli strumenti da un contrabbandiere. Leader della band non è però il cantante Assaf ma la sorellina Nour, chitarrista determinata a conquistare il mondo. E’ lei – attesa al varco da un tragico destino - a convincere il fratello a inseguire il sogno di “cambiare il mondo con la musica”.

 

Abu-Assad - paradise now

 


Le cose, in realtà - almeno in questa parte del film - non sono andate proprio così: la famiglia di Assaf è molto più numerosa di quella rappresentata nella pellicola e la sua vera sorella non si chiama Nour ma Niven, è viva e vegeta, ha una splendida voce, ma è assai meno emancipata di quella cinematografica. Lo stesso Assaf ha infatti precisato in un’intervista che la cultura e le tradizioni palestinesi non le permetteranno di seguire i suoi passi, e per questo motivo lui stesso non ha alcuna intenzione di incoraggiare le aspirazioni artistiche della sorella.

D’altra parte l’attaccamento alle tradizioni del suo popolo Assaf lo ha dimostrato anche arrivando a lasciare la fidanzata - la presentatrice televisiva palestinese Lina Qishawi - quando lei si è rifiutata di abbandonare il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla famiglia.


Ecco dunque il paradosso, servito in tutta la sua gloria: il paradosso di un mondo arabo che si occidentalizza al punto da copiare uno dei simboli della cultura degli odiatissimi Stati Uniti continuando però a discriminare le donne. La contraddizione di un ragazzo cresciuto nell’assoluta povertà, che si immerge nel dorato mondo della televisione e si omologa ad esso fino al punto di fidanzarsi con una presentatrice, ma pretende poi che sia lei a rinunciare a quel mondo in nome dei principi più retrogradi di una cultura che lui, nei fatti, ha in realtà già tradito. Il paradosso di un ragazzo di cui viene celebrato il grande sogno divenuto realtà ma che è pronto a tarpare le ali a quello stesso sogno, se a sognare stavolta è sua sorella.

 

 


Da questo punto di vista la cosa più paradossale e al tempo stesso molto significativa, è proprio il modo in cui il film ha raccontato la storia di Assaf, arrivando addirittura a capovolgerne alcuni punti, pur di edulcorare il personaggio. E forse non ha caso il cantante palestinese ha in parte preso le distanze dal film affermando, proprio in un’intervista rilasciata ad Arab Idol che in realtà non rappresenta la sua vita. E in effetti ha ragione: il regista – è evidente - ha una visione dell’islam ben più critica e progressista del suo protagonista.

D'altra parte, a differenza di Assaf, Abu-Assad non è un ragazzino sprovveduto colto da improvvisa fama, ma un artista ultracinquantenne con grandi esperienze internazionali alle spalle. Non è un caso, allora, che l'antagonista – nel film – non sia incarnato da Israele, ma dal fondamentalismo islamico: a cercare di impedire a Mohammed di raggiungere il Cairo per fare il provino alla televisione è infatti un suo vecchio amico d’infanzia divenuto militare.


Secondo l'interpretazione più rigida del Corano il buon musulmano non deve ascoltare – né tantomeno cantare o suonare – musica profana. Per questo l’amico di Mohammed cerca in ogni modo di impedire che Assaf venga “traviato” dal talent show, salvo poi redimersi all’ultimo momento e aiutarlo a coronare il suo sogno.
Quanto alla sorellina immaginaria Nour, come detto è una bambina super-emancipata che sogna di diventare una rockstar e sfida la discriminazione sessuale arrivando a suonare la chitarra elettrica esibendosi nascosta tra le quinte o travestita da maschio.

E’ proprio lei, come si diceva, a incoraggiare Assaf ad inseguire il suo sogno mentre nella realtà è stato proprio Assaf a scoraggiare la sorella Niven da inseguire il suo sogno, in una grottesca quanto significativa inversione dei ruoli. 

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.