Spettacolo

Tutte le curiosità su Sherlock Holmes, il mistero di Baker Street e Chaplin

“Elementare, Watson” in realtà non è mai stato pronunciato

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221 baker streetL’indirizzo più celebre della storia della letteratura è sbagliato.
Londra, via del Panettiere 221B. In effetti tradotto in italiano suona decisamente poco intrigante, ma in originale è inconfondibile: 221B Baker Street. L’indirizzo di Sherlock Holmes.
O per lo meno, della sua casa più celebre: quella dove all’inizio del romanzo Uno studio in rosso il giovane consulente investigativo (all’epoca ha 26 anni) va a vivere con il suo coinquilino John Watson, medico di guerra reduce dall’Afghanistan. Qui i due resteranno, in realtà, appena un altro romanzo: alla fine del secondo – Il segno dei quattro – John si sposa infatti con la protagonista dell’avventura Mary Mortsan e per buona parte della sua carriera Holmes vivrà da solo nel celebre appartamento, anche se Watson ci tornerà dopo essere rimasto vedovo.
Nel 1904, tuttavia, il padre di tutti i detective si ritira nel Sussex a coltivare le api e successivamente in una fattoria a Eastbourne dedicandosi alla filosofia e all’agricoltura. Il suo autore non ne poteva più di lui: “L’ho accompagnato per quasi quarant’anni – scrive nella prefazione all’ultimo libro – ma trovo eccessivo incontrare gente più anziana di me che mi dice di essere cresciuta con i suoi racconti!”.

Quell’appartamento, però, insieme al fidato Watson e alla padrona di casa signora Hudson, diventerà una delle icone più celebri di Sherlock Holmes.
Tra le poche, peraltro, filologicamente corrette: gran parte degli stereotipi legati alla figura dell’investigatore non trovano infatti riscontro nei nove libri pubblicati da Conan Doyle tra il 1887 e il 1927.
Watson, per dire, è tutt’altro rispetto alla figura tarda e impacciata tanto spesso vista al cinema: trasfigurazione dello stesso Conan Doyle, è un uomo d’azione, passionale e coraggioso, contraltare dell’amico freddo, razionale e distaccato. Anche il celebre “Elementare, Watson” in realtà non è mai pronunciato nei libri: la frase è stata coniata, infatti, dall’attore americano William Gillette – il più celebre Sherlock Holmes del teatro – per la commedia scritta nel 1899, replicata oltre 1000 volte e portata anche al cinema e in radio. Allo stesso modo Sherlock Holmes non ha mai indossato un cappellino da cacciatore (glielo ha messo in testa il primo illustratore Sidney Paget, morto nel 1908 che – al contrario – amava molto indossare quel tipo di berretto); d’altra parte Sherlock non ha mai nemmeno fumato una pipa calabash preferendo sigari e sigarette.

 

 

 
E che dire del Mastino di Baskerville, che non è un mastino e non è di Baskerville?
Il cane più spaventoso della storia della letteratura è infatti un segugio (in originale è “hound”, che tradotto in italiano richiamerebbe però l’immagine di un cagnolone inoffensivo). Quanto a Baskerville, l’equivoco ha dato luogo al più clamoroso errore rintracciabile nel dottissimo Il nome della rosa. Volendo omaggiare il suo modello, infatti, Umberto Eco ha chiamato il protagonista del romanzo Guglielmo da Baskerville; peccato che Baskerville sia in realtà un cognome e una città con questo nome non è mai esistita, quantunque la parola tragga in inganno dal momento che “ville” in francese significa “città” e per questo motivo molti centri anglosassoni la presentano come suffisso (basti pensare a Shelbyville, nome portato da ben 8 città americane di cui una immaginaria nei Simpson o a Jacksonville, di cui ne esistono addirittura 11 negli Stati Uniti).

 

 

Ma torniamo a casa: a quella celebre casa al 221B di Baker Street, perfetta sintesi dell'immaginario di Conan Doyle in grado di fondere abilmente e amabilmente finzione e realtà. Lo stesso Holmes, d’altra parte, è ispirato a un personaggio reale e contemporaneo: Joseph Bell (nato nel 1837 e morto nel 1911), medico e inventore della “scienza della deduzione” di cui lo scrittore era stato allievo. Bell era in grado di ricostruire l’identità di uno sconosciuto e le azioni compiute semplicemente osservandolo. Consulente investigativo, aveva collaborato anche alle indagini sugli assassini di Jack lo Squaratore, commessi – peraltro – appena un anno dopo l’uscita di Uno studio in rosso.


Lo stesso nome Sherlock esiste davvero ma è rarissimo: l’unico altro ad averlo portato risulta essere stato un politico della Rivoluzione francese. E così anche l’appartamento si trova in una strada reale ma in un civico immaginario: ai tempi di Conan Doyle, infatti, Baker Street si concludeva al numero 85. Negli anni ’30, però, c’è stato un radicale riordino dei numeri civici di Londra, che ha visto anche l’ampliamento di Baker Street. La fantasia è così diventata realtà, e oggi il numero 221 esiste, anche se è tecnicamente impossibile da raggiungere.

 

 


Se passeggiate per Baker Street passerete infatti dal civico 220 (occupato dal ristorante chiamato non a caso “Holmes Grill”) al London Beatles Store, negozio specializzato in prodotti riguardanti il leggendario quartetto, che occupa i numeri 231 e 233 di un edificio vittoriano architettonicamente quasi identico alla casa di Sherlock.
All’indirizzo di Holmes non troverete dunque alcuna porta, ma solo una targa verde con l’inconfondibile sagoma con pipa e berretto, affissa sul muro che divide il ristorante YuMe Sushi dalla lavanderia London Quality Dry Cleaner.
Questo perché i numeri dal 221 al 230 rientrano in un blocco di edifici che apparteneva alla Abbey Road Building Society. La quale, ritrovatasi all’improvviso a occupare l’indirizzo del detective, iniziò a ricevere lettere da tutto il mondo indirizzate all’investigatore.


Le società ne aveva approfittato aprendo una “Segreteria di Sherlock Holmes” con un addetto occupato a tempo pieno a rispondere alle molte richieste (in genere spiegando che Holmes si era ormai ritirato ad allevare api nel Sussex e non era più in attività). Nel 1990, però, la Sherlock Holmes International Society ha aperto, proprio in Baker Street, il Museo di Sherlock Holmes. La casa divisa dal detective e da Watson è stata ricostruita nell’edificio più simile a quello descritto nei racconti: si tratta di una casa in stile georgiano risalente al 1815 e che – come quella di Holmes – è stata una pensione dal 1860 al 1936.
Strutturato su tre piani, il museo vede al primo lo studio di Holmes, che si affaccia su Baker Street, arredato con le poltrone di fronte al caminetto e oggetti come la lente di ingrandimento, la pipa, il violino, le attrezzature chimiche, il quaderno degli appunti e il bastone da passeggio.


Al secondo piano ci sono la camera della signora Hudson e quella di Watson, mentre nelle stanze del terzo piano sono state allestite delle scene tratte dai romanzi con modelli in cera. Al piano terra, a fianco al portone di ingresso c’è un negozio con gadget e souvenir a tema, in cui si può prendere gratuitamente anche il biglietto da visita del consulente investigativo.

 

La casa, in realtà, si trova al numero 237 di Baker Street mentre il negozio è al 239. Sin dall’inaugurazione si è aperta una polemica tra la Casa Museo e la Abbey Road Building Society su chi dovesse gestire la corrispondenza indirizzata all’investigatore: la società di costruzioni non aveva infatti alcun interesse a cederla al nuovo museo e la contesa si è risolta solo nel 2002, quando la Abbey Road si è trasferita altrove lasciando libero l’indirizzo di Sherlock. A quel punto la Casa Museo è riuscita a ottenere non solo di ricevere la posta di Holmes ma addirittura di cambiare virtualmente indirizzo apponendo sul portone del 237 di Baker Street il numero 221B.

 

 

 

Riassumendo: un appartamento immaginario in una via reale è stato realizzato realmente in un indirizzo fittizio vicino all’indirizzo fiscale dell’appartamento immaginario. Tutto chiaro no?

 

E non è finita: c’è poi l’appartamento reale nell’indirizzo fittizio utilizzato per il telefilm Sherlock, dove peraltro, nell’Ottocento, in luogo del personaggio fittizio ha vissuto realmente un personaggio reale.

 

Autentico fenomeno di culto, la produzione televisiva di Mark Gatiss con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman trasmessa a partire dal 2010 (e che ha visto finora 4 serie e un film), paradossalmente, è la più fedele ai caratteri creati da Conan Doyle pur essendo una rilettura moderna ambientata nella Londra contemporanea.

 

Nel telefilm l’aspetto della casa di Holmes ricalca alla perfezione quello del Museo di Baker Street con cancellata, portone scuro e negozio a fianco. Negozio che, in questo caso, non è ovviamente la bottega di souvenir ma il bar ristorante “Speedy’s”.
Per ricostruire l’appartamento, però, i produttori si sono dovuti allontanare da Baker Street e hanno scelto il numero 187 di North Gower Street. Indirizzo, peraltro, anch’esso denso di storia: proprio qui infatti – come ricorda una lapide a fianco al portone – nel 1837 aveva abitato Giuseppe Mazzini. L’aspetto dell’edificio, peraltro, non è stato minimamente ritoccato per il telefilm, fatta eccezione ovviamente per il numero civico; anche “Speedy’s” non è una finzione televisiva ma esiste realmente.



Tutto vero è poi il St. Bartholomew’s Hospital, fondato nel 1123: qui Holmes ha conosciuto Watson, qui viene girato Sherlock e qui vengono ricoverati ogni giorno decine di verissimi pazienti. Altre dimore di Holmes sono state ricostruite invece nei luoghi più disparati: dallo Sherlock Pub di Londra (il primo museo dedicato al detective, che risale al 1951) allo Sherlock Holmes Museum di Meiringen in Svizzera, vicino alle cascate Reichenbach, teatro del celebre scontro con Moriarty e della presunta morte di Holmes. Un’altra casa museo si può visitare sempre in Svizzera a Lucens, un’altra di là dell’oceano nell’Università del Minnesota.
Una casa delle bambole – quella fatta realizzare da re Giorgio V per la moglie Mary nel 1924 – contiene invece uno dei pochissimi racconti scritti da Conan Doyle ma non compresi nelle raccolte ufficiali di Sherlock Holmes: How Watson Learned the Trick è una mini storia contenuta in un micro libro realizzato per la libreria in miniatura del grande giocattolo donato dal sovrano alla consorte.

 

 

Tornando alla Casa Museo di Baker Street, un inquietante mistero aleggia su quell’appartamento immaginario divenuto reale e oggi meta di pellegrinaggio di migliaia di fan. Indagando sulla proprietà dello stabile, infatti, si precipita in una storia di fantasmi, omicidi e cospirazioni internazionali degna di un racconto di Conan Doyle.

 

Un’inchiesta condotta da Global Witness, un gruppo che si batte contro il riciclaggio di denaro sporco e riportata un paio di anni fa da Repubblica, ha rivelato che il l’edificio sarebbe intestato al politico e criminale kazako Rakhat Aliyev, prima genero e poi oppositore del presidente del Kazakhstan Nursultan Nazarbajev, al potere dal 1984.
Alieyev, classe 1962, era stato ambasciatore in Austria, viceministro degli esteri, capo della polizia e dei servizi segreti kazaki. Oltre ad aver ammassato una fortuna in banche, petrolio e mezzi di comunicazione, il politico kazako – che aveva sposato la moglie del presidente salvo poi divorziare - si era macchiato di ogni genere di crimine: omicidi, torture e rapimenti nei confronti di soldati, oppositori politici e giornalisti, il più clamoroso dei quali quello nel 2004 della giovane conduttrice televisiva Anastasiya Novikova.
Nel 2014 Alieyev è stato arrestato dalla polizia austriaca per l’omicidio di due banchieri kazaki i cui corpi erano stati rinvenuti dentro alcune valige in un deposito di spazzatura. Nel 2015, però, mentre era in attesa del processo Alieyvev è stato trovato morto nella sua cella. La versione ufficiale parla di suicidio ma il suo avvocato non ci crede e ha chiesto di aprire un’indagine.

 

Certo per capire come è morto il proprietario della casa di Sherlock Holmes, chi ha ucciso i due banchieri e cosa c’entra in tutto questo il presidente del Kazakhstan ci vorrebbe proprio il celebre inquilino. Di cui però si sono perse le tracce dopo il 1947, anno in cui è ambientato il film Mr. Holmes diretto nel 2015 da Bill Condon e in cui Ian McKellen interpreta uno Sherlock di 93 anni che, tra l’altro, si ritrova a vedere al cinema un film su di lui interpretato da un attore interpretato dall’attore Nicholas Rowe, lo stesso che aveva vestito i panni di uno Sherlock adolescente in Piramide di paura prodotto da Spielberg nel 1987.
Curioso destino anche quello che lega l’inquilino di Baker Street a Charlie Chaplin, che debuttò in teatro interpretando per due anni – dal 1903 al 1905 - proprio lo spettacolo teatrale di William Gillette nel ruolo del fattorino Billy. Dieci anni dopo Chaplin sarebbe diventato una star mondiale sotto la guida dell’attore e regista Mack Sennett che aveva a sua volta appena interpretato Sherlock in un cortometraggio del 1913. In Luci della ribalta, il suo ultimo grande capolavoro girato nel 1952 e ambientato a Londra agli inizi del Novecento, Chaplin è affiancato da Nigel Bruce, il più celebre Watson cinematografico. Infine, a suggellare definitivamente il binomio Chaplin-Holmes è stato Robert Downey Junior, vestendo i panni di Chaplin nella biografia diretta da Richard Attembourough del 1992 e quelli di Holmes nei due film di Guy Ritchie del 2009 e 2011.
Elementare, ma non troppo.

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.