Spettacolo

Fake Nun, lo spettacolo di quando l’abito fa la monaca

Suor Cristina, Frate Cionfoli, Sister act, ballando con le stelle, figli, amanti, Tv, gossip, divorzi e dischi.

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 “Sant’Agostino diceva che chi canta prega due volte. E io dico chi balla, allora, almeno tre!”. Così il prete ballerino interpretato da Adriano Celentano nel film Qua la mano spiegava la sua partecipazione ad una gara di ballo in diretta televisiva.Più o meno la stessa giustificazione ha cercato di dare suor Cristina Scuccia quando, quarant’anni dopo, la realtà ha superato la fantasia con il suo ingresso nel cast di Ballando con le stelle. Non deve stupire che una suora vera segua le orme di un prete immaginario: dopo tutto a renderla celebre in tutto il mondo è stato un tweet di Woopi Goldberg, la protagonista di Sister Act: un film del 1992 incentrato su una cantante che si spaccia per suora. Insomma tutto l’astro Cristina nasce e prolifera nel segno di religiosi finti; anche perché se l’orsolina dovesse prendere a modello quelli veri non troverebbe alcun incoraggiamento ma, al contrario, segnali profondamente inquietanti: chi l’ha preceduta sulla strada della musica, infatti, ha percorso sentieri completamente diversi o ha fatto una brutta fine. A volte entrambe le cose.

 

Il precedente più illustre rimane quello di suor Sorriso, al secolo Jeanne-Paule Marie Deckers, domenicana belga che nel 1963 divenne una cantante famosissima con il singolo Dominique, dedicato al suo fondatore.

La monaca trentenne era particolarmente dotata come cantante e chitarrista, così le consorelle l’avevano incoraggiata a registrare dischi per i fedeli della loro comunità. Quando nel 1963 la Philips aveva però intercettato le incisioni, l’aveva lanciata sul mercato ottenendo un incredibile successo.

Il convento, proprio per scongiurare il fenomeno che potremmo chiamare “cristinite”, aveva imposto regole rigidissime: la monaca non avrebbe incassato nemmeno un centesimo, non avrebbe messo piede fuori dal convento, non sarebbe mai apparsa in pubblico e – addirittura – sarebbe rimasta anonima, firmando le canzoni con lo pseudonimo di “Suor Sorriso”.

Il successo, però, è una valanga che travolge tutto: convento, vocazione ed esistenza. Nel 1964 su pressione del vescovo la madre superiora accetta di far entrare in convento le telecamere di Ed Sullivan, il più celebre presentatore americano, quello - per intenderci - che ha lanciato i Beatles, i Rolling Stones, i Doors e Michael Jackson.

Passano due anni e la suora – divenuta ormai la voce più celebre in America – si mette in viaggio e intraprende una tournée negli Stati Uniti. Ormai è una leggenda vivente, tanto che Hollywood le dedica persino un film interpretato da Debbie Reynolds, Orietta Berti e Sullivan nei panni di sé stesso.

 

Tornata in Belgio, Jeanne abbandona il convento e si mette a fare la cantante a tempo pieno. Da laica, però, non interessa più a nessuno: cade in depressione, sopravvive dando lezioni di chitarra e si innamora di un’altra ex suora con cui si fidanza e insieme alla quale – nel 1985 – si suicida.

Decisamente meno tragica ma altrettanto significativa è la storia di Giuseppe Cionfoli: frate cappuccino pugliese, classe 1952, vince un concorso per nuovi talenti a Domenica In nel 1981 e approda al Festival di Sanremo nel 1982 e nel 1983 presentando canzoni a tema religioso.

All’apice del successo lascia l’Ordine francescano, si sposa e fa tre figli. Nel 1985 canta la sigla di una telenovela, poi sparisce nel nulla. Ricompare a Sanremo nove anni dopo all’interno del gruppo “Squadra Italia” a fianco di vecchie glorie come Lando Fiorini, Nilla Pizzi, Jimmy Fontana, Mario Merola, Gianni Nazzaro e Rosanna Fratello, poi partecipa all’Isola dei famosi, si candida alle regionali in Puglia e finisce nel programma di Andrea Dipré.

Ben diversa è la storia della “Voce di Assisi”: Alessandro Brustenghi, anche lui francescano ma decisamente meno mondano.
Nato in Umbria nel 1978, entra tra i frati minori osservanti a 21 anni e vive a Santa Maria degli Angeli.
Nel 2012 viene segnalato dal suo Ordine a Mike Hedges (produttore, tra gli altri di Dido, Cure e U2) che è interessato a realizzare un disco di musica sacra.
Incide per la Decca nei celebri Abbey Road studios di Londra e raggiunge la fama internazionale cantando in tutto il mondo.

Per difendersi dalle tentazioni del successo, però, adotta alcune semplici ma rigorose regole: non prende soldi, nemmeno per devolverli in beneficenza, si esibisce solo per manifestazioni religiose o benefiche, e non dorme mai in albergo, scegliendo – e in qualche caso imponendo – un’ospitalità francescana in conventi o abitazioni private.

Altro caso emblematico è quello delle carmelitane di Terni: monache di clausura, a partire dal 2013 hanno iniziato a produrre dei dischi ispirati agli scritti di santa Teresa d’Avila registrati in monastero e interamente composti, eseguiti e mixati da loro. Inutile dire che di cantanti e musiciste non viene citato nemmeno il nome e l’unico modo per vederle dal vivo – rigorosamente dietro la grata – è andare nel Carmelo di Macchia di Bussone a Terni.

Quattro storie molto diverse tra loro, ma che hanno in comune proprio il fatto di “stonare” con quella della celebre orsolina: che più che una suora divenuta una cantante di successo, sembra una cantante divenuta suora per avere successo.

Cristina Scuccia, nata in Sicilia nel 1988, sin da piccola sognava di diventare una cantante famosa, e ben prima di mettere piede in convento aveva frequentato “Star Academy” e partecipato a talent show di ogni sorta, nella speranza di raggiungere le luci della ribalta; un obbiettivo raggiunto, non a caso, solo dopo aver indossato il velo. D’altra parte la stessa vocazione – racconta – le è arrivata su un palco, mentre interpretava la fondatrice delle Orsoline in un musical.

Tra un concorso e l’altro, suor Cristina approda nel 2014 a “The Voice”, dove trova come mentore J.Ax e centra una vittoria trascinata probabilmente più dalla notorietà raggiunta che dal talento.

Il suo percorso artistico non ha niente a che fare con la religione, se non in chiave pop-parodistica. Niente impegno civile o lodi del creato alla Jovanotti, niente musica sacra alla Branduardi: sin dal primo album è palese che ad interessare pubblico e produttori non sono né la sua fede né la sua voce, ma solo ed esclusivamente il suo ruolo di “suorina cantante”; non a caso il primo singolo che incide è una cover di Like a Virgin di Madonna.

Sin dalla sua uscita nel 1985 il brano giocava con la provocazione religiosa, richiamando la verginità della madre di Cristo e contrapponendola all’immagine provocatoria ed erotica della cantante americana che ne aveva scelto l’appellativo come nome e usato il crocifisso come orecchino (in seguito avrebbe esibito le stimmate in un videoclip, chiamato la figlia Lourdes Maria e la sua raccolta di successi “Immacolata Collezione”). Farlo cantare ad una suora rappresenta – evidentemente – una provocazione al quadrato.

Il sentiero di suor Cristina è ormai tracciato: il passo successivo non può che essere quello di entrare nel cast della versione teatrale di Sister Act. Una suora vera che fa finta di essere una suora in uno spettacolo incentrato su una finta suora: quale migliore capolavoro di provocazione religiosa post-moderna poteva architettare il manager di Scuccia?

Prima che la sua carriera di cantante affondi Cristina fa in tempo a prendere parte anche ad un musical sul Titanic; poi tra un disco e un altro talent in America, trova il suo naturale approdo a Ballando con le stelle, dove più che per le sue doti di danzatrice fa parlare di sé per le polemiche con i giudici.

Cristina, infatti, si rifiuta di “strusciarsi” con il compagno e per questo – sovvertendo le regole del gioco – coinvolge ogni settimana altre due ballerine, che hanno esattamente lo stesso ruolo degli amici che la Brava Ragazza Timorata di Dio invita a cena per non restare sola con il suo fidanzatino. E cioè: reggere il moccolo scongiurando le indecenze.

 

Al di là delle ridicole polemiche (evidentemente confezionate ad arte per giornali di gossip e telespettatori assetati di battibecchi) Ballando con le stelle segna il punto di non ritorno per suor Successo, lasciando cadere la maschera e cancellando tutti gli alibi con cui Scuccia aveva cercato di giustificare il già discutibile percorso artistico con cui ha voluto mettere a frutto i talenti ricevuti dal Signore: un percorso fatto più di talent e musical che di chiese e festival di arte sacra.

A differenza di suor Sorriso, di Cionfoli, Brustenghi e dello stesso prete interpretato da Celentano, infatti, Cristina nello spettacolo di Milly Carlucci non presenta ciò che sa fare “divinamente”, ma si mette in gioco – e in mostra – facendo qualcosa che non è capace di fare, e cioè ballare.

“Lo faccio per dimostrare che le suore sono persone normali” ha spiegato. Ma allora ha decisamente sbagliato programma: se voleva andare in prima serata su Rai Uno facendo la persona normale avrebbe dovuto iscriversi alla “Corrida”, perché “Ballando con le stelle” - come indica lo stesso titolo - è riservato alle “stelle”. E infatti Cristina non è affiancata certo da “persone normali”: quattro attori, uno youtuber, tre modelli, un ex calciatore, un politico, una giornalista, un ex ministro travolto da uno scandalo e una soubrette anch’essa coinvolta in uno scandalo. Dal talent show, dunque, suor Vedette è passata ai fenomeni da baraccone. A questo punto le prossime tappe non possono che essere L’Isola dei famosi e il Grande fratello vip.

L’affermazione di Cristina finisce per apparire quasi come una bestemmia: Scuccia non dimostra che le suore sono persone normali, ma che lei è una celebrità in quanto suora. Perché se le togli il velo non rimane nulla: proprio per questo se lo tiene ben stretto.

Nel mondo dello spettacolo l’apparenza conta più della sostanza: basti pensare ai Village People, i Kiss, i Daft Punk, Lady Gaga, o il caso recentissimo di Miss Keta, per rendersi conto di quanto vestire stravaganti e creare un personaggio sia fondamentale per raggiungere il successo.

In fondo Scuccia non è che l’altra faccia di Platinette, e paradossalmente, se restando suora rinunciasse ad esibirsi con il velo scomparirebbe in poche settimane, mentre se abbandonasse la vita religiosa ma continuasse ad indossare l’abito e a farsi chiamare suor Cristina potrebbe resistere ancora un po’ sulla cresta dell’onda.

“Quando cantavo in televisione o a Sanremo – ha commentato Cionfoli – io non indossavo il saio”. Nemmeno il prete di Celentano, nella commedia di Pasquale Festa Campanile, si esibiva con la talare, ed è la cosa più normale: se partecipi ad una gara di canto ci vai come cantante mica come suora, se partecipi ad una gara di ballo ti vesti da ballerina. Poi non lo nascondi mica, di essere sposata con Cristo; ma un conto è la testimonianza, un conto l’ostentazione. Alberto Tomba era un militare ma non andava certo a sciare con la divisa al posto della tuta, e pensate che il cardinale Krajewski, quando si è improvvisato elettricista per riattaccare la corrente del condominio occupato, si sia presentato in tonaca, pastorale, mitra e mantellina?

Bergoglio, proprio per dimostrare che lo stesso papa è un uomo come gli altri, è stato il primo a liberarsi di tutti i privilegi, gli orpelli e i segni distintivi e non a caso oggi la maggior parte delle suore di vita attiva ha abolito l’abito e veste in borghese; alcune congregazioni – come le Identes o l’Ordo Virginum – hanno eliminato persino il titolo di “suor” utilizzando semplicemente il proprio nome e cognome. Allo stesso modo i preti della Comunità di Sant’Egidio rifiutano il “don” e i paolini (come il direttore di Famiglia Cristiana) indossano giacca e cravatta.

 

L’uso che Cristina fa dell’abito, così come il suo richiedere condizioni particolari per “non strusciarsi”, vuole – al contrario - marcare la differenza rispetto agli altri, giustificando così la sua presenza in televisione.

Tutte le sue scelte vanno nella direzione opposta rispetto a quella delle sue affermazioni: non puntano a dimostrare che le suore sono persone normali, ma ad ostentare la loro diversità, a giocare con gli stereotipi per finalità squisitamente commerciali.
Suor Cristina rappresenta il trionfo dell’estetica cattolica contro il messaggio evangelico, cavalca un interesse per la figura religiosa squisitamente pittoresco e alieno da contenuti.
Tutto questo, paradossalmente (o forse non a caso) avviene in un’epoca in cui non manca autentica spiritualità nella musica profana.
Ma se si vuole sentir parlare davvero di Cristo, bisogna cercare altrove, certo non in casa di Milly Carlucci. Perché in programmi come Ballando con le stelle o The Voice non troverete mai un artista come Vinicio Capossela, che non è un uomo di Chiesa e nemmeno un uomo di fede, ma che pure scrive canzoni profondamente religiose: basta ascoltare il nuovo album Ballate per uomini e bestie per rendersi conto di che cosa possa offrire la musica cristiana contemporanea.

E’ grottesco e significativo pensare che durante la settimana santa, mentre la suora siciliana faceva la parodia del cattolicesimo in televisione, il cantante campano – “solidale con tutti i peccatori” - pubblicava un concentrato di Vangelo con la canzone Il povero Cristo, e mentre Cristina disertava la puntata del sabato santo per andare a messa (ma lasciava un frivolissimo contributo registrato) Capossela proponeva un brano sulla Resurrezione.

“I pubblicani e le prostituite vi passeranno avanti nel regno dei cieli” metteva in guardia Cristo duemila anni fa. Dovrebbe rifletterci il cattolico benpensante che da una parte si scandalizza perché il Papa predica l’accoglienza, e dall’altra si sollazza a vedere la celebrità vestita da suora che danza senza strusciarsi.
Non possono che tornare in mente le parole di Manuel Fantoni il pallonaro che in Borotalco di Verdone si inventava identità fasulle per risultare interessante: “Ma chi l’ha detto che l’abito non fa il monaco? L’abito fa il monaco! Lo fa!”.
 

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.