Spettacolo

IL VIRUS “CORONA” E GLI ITALIANI. UNA TRAGEDIA CONDITA DA STRATEGIE DI MARKETING. IN GERMANIA ANZIANI SOLI E NON VIVONO CON I GIOVANI

Gli italiani che stanno a casa non hanno bisogno di solidarietà, semmai ce l’hanno quelli che stanno in ospedale.

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“Non mi avete fatto niente, non mi avete tolto niente. Questa è la mia vita che va avanti, oltre tutto, oltre la gente”. Ve la ricordate, la canzone di Fabrizio Moro ed Ermal Meta che ha vinto a Sanremo due anni fa? No, non ve la ricordate. Perché nonostante il clamore suscitato allora, decisamente non è entrata nella storia della musica italiana. Ed è un peccato, perché nelle sue parole c’è la chiave per capire la reazione del popolo italiano di fronte all’emergenza del Coronavirus. Ancora all’inizio di febbraio era una notizia marginale, un morbo che stava creando dei problemi dall’altra parte del mondo: ci si preoccupava per gli italiani in Cina, si facevano piccoli esercizi di razzismo, si oscillava tra la psicosi modaiola e le teorie del complotto, ma all’ordine del giorno c’erano ancora le liti tra Bugo e Morgan e i battibecchi politici. In appena due mesi il Covid-19 si è trasformato nella più grande tragedia del pianeta dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, capace di stravolgerne la vita di ogni cittadino ben più dell’11 settembre. Capace di stravolgere anche la vita degli stessi terroristi, visto che persino l’Isis - nonostante sia convinto che il Corona sia una piaga mandata da Dio per punire le nazioni idolatre - è dovuto correre ai ripari invitando i suoi, attraverso il settimanale Al Naba, a “stare lontano dalle persone malate ed evitare viaggi nelle zone colpite dall’epidemia”, oltre che “coprirsi la bocca quando si tossisce o si sbadiglia e lavarsi le mani prima di mangiare e bere”.
Per la prima volta nella storia delle Olimpiadi i giochi sono stati rinviati, per la prima volta nella storia della Chiesa sono stati sospesi tutti i sacramenti. Tutto il mondo si è fermato: non solo scuole, palestre, cinema, ristoranti e teatri, ma sono state bloccate anche tutte le produzioni cinematografiche e televisive, con un divo come Tom Hanks infettato mentre lavorava a un film su Elvis Presley. 
 
Sono stati vietati persino i funerali, creando scenari apocalittici e surreali. A Spinea, nel veneziano, un parroco è stato denunciato per averne celebrato uno, e un’agenzia di pompe funebri rivale di quella che l’ha organizzato si è presa un’altra denuncia, perché ha cercato di bloccarlo mettendo una sua auto di traverso durante il corteo; a Porto Empedocle sono stati denunciati tutti quelli che avevano partecipato a un altro funerale, ben 48 persone. Casi analoghi sono  avvenuti a Bussolengo, in provincia di Verona e a Torre Annunziata. 
La carenza di loculi e l’impossibilità di inumare i corpi sotto terra per questioni igieniche ha portato poi ad un vero e proprio boom di cremazioni. Trovando, anche in questo caso, strutture del tutto impreparate: a Copparo, in provincia di Ferrara, il sindaco ha ordinato che l’impianto di cremazione fosse in funzione giorno e notte per far fronte alle richieste. A Milano, invece, dal 29 marzo possono essere cremati solo i residenti, mentre a Tortona – in provincia di Alessandria – non c’è rimasto più spazio né nell’obitorio né nella cappella del cimitero, tanto che è stato fatto arrivare un container frigorifero per stoccare le salme in attesa. 
 
A Bergamo capita addirittura che i congiunti non sappiano dove viene sepolto il defunto, tanto più se essi stessi si trovano in quarantena, per questo il Comune ha dovuto attivare una linea telefonica per dare informazioni ai parenti che non sanno che fine abbiano fatto i corpi dei loro cari. Basti pensare che oltre 350 bare in quindici giorni sono state caricate su camion dell’esercito e trasportate altrove per essere cremate. Nell’epicentro della tragedia i numeri sono particolarmente impressionanti: da 45 decessi al mese si è passati a 300 a settimana, da 1300 morti all’anno a mille in un solo mese. E le pompe funebri hanno indetto uno sciopero per protestare contro “l’assenza di un monitoraggio sanitario sugli operatori da parte delle autorità e la difficoltà nell’approvvigionamento di dispositivi di protezione, che continuano ad esporre la collettività, soprattutto anziani, malati e disabili ad un enorme rischio di contagio”.
Gli unici a cui questo inaspettato coprifuoco non ha cambiato la vita sono le monache di clausura. E, ovviamente, i concorrenti del Grande Fratello.
 
La scienza, da parte sua, è impazzita: gli stessi virologi da tre mesi sostengono tutto e il contrario di tutto; sul Corona e i suoi mille nomi diversi, è stata detta qualsiasi cosa: che era una banale influenza, che si attacca alle scarpe, al telefono e alle maniglie, che può restare nell’aria o forse no, che si vince bevendo tisane calde, che le mascherine non servono a niente oppure sì, ma solo quelle di un certo tipo, ma non si è mai capito quale è il tipo giusto, che uccide solo gli anziani ma muoiono anche tanti giovani, che l’incubazione dura quindici giorni eppure ci si ammala anche dopo, e chi muore di Coronavirus e chi muore col Coronavirus. Si naviga a vista perché di chiaro non c’è nulla. E come accade ogni volta che nessuno ci capisce niente, tutti pensano di aver capito tutto e si adoperano per spiegarlo agli altri e qualsiasi bufala letta su internet diventa materia di insegnamento sui social.
 
Intanto si aspetta l’agognato picco come fosse Godot e l’album della Panini per raccogliere tutti i modelli di autocertificazioni usciti in due mesi, le conferenze stampa del Presidente del Consiglio sono diventate il talk show più seguito del momento; il famigerato “Popolo del web” è equamente diviso tra chi pensa che il Governo italiano sia il migliore al mondo e un modello per tutti gli altri paesi e chi ritiene al contrario che sia il peggiore e il responsabile di questa tragedia. Quel che è certo è che il presidente del consiglio più deriso e umiliato della storia repubblicana, è diventato improvvisamente popolare e addirittura un sex symbol da quando si è fatto figura autoritaria per antonomasia (tra i meme più divertenti che circolano c’è quello con la donna che dice al gatto “Scendi dal tavolo!”, e il felino risponde: “Tu non sei Giuseppe Conte!”). 
Perché in Italia si muore per il virus e in Germania no? Perché i tedeschi hanno un sistema sanitario migliore, con quattro volte più posti di terapia intensiva. Ma anche perché in Germania gli anziani stanno da soli, e non vivono con i giovani come accade da noi, e quindi non vengono contagiati. Ed ecco l’ennesimo paradosso: i vecchi tedeschi vivono soli e abbandonati, i nostri muoiono felici e in famiglia.  
 
Per la prima volta nella storia dell’umanità è stato proibito qualsiasi contatto umano, è diventato illegale anche solo mettere il piede fuori casa, a invitare un amico per un caffè ci sente dei cospiratori e ci stiamo abituando a vedere in giro per strada (e persino dentro le automobili) persone che con indosso guanti e mascherine come nei film di fantascienza. Ormai – per citare una vecchia canzone di Francesco Salvi – resta solo di bollire l’aria prima di respirarla.
Paradossalmente, però, mentre nella popolazione cresce l’ansia e la paura per un nemico invisibile e implacabile, crollano l’inquinamento, ma anche i furti e le rapine e starsene tutto il giorno stravaccati sul divano non significa più essere pigri e inconcludenti ma cittadini responsabili.
Stiamo facendo i conti con una parola di cui solo i nostri nonni potevano conoscere il significato reale e che per 75 anni è rimasta solo una metafora: Coprifuoco.
La differenza è che quando nel 1943 a Terni suonava la sirena, mia nonna mentre correva al rifugio non sentiva l’oste lamentarsi degli affari che andavano male. E quando, là sotto, aspettava che fuori finisse l’inferno chiedendosi chi sarebbe morto e quali case avrebbero trovato ancora in piedi, non doveva sorbirsi i pipponi di gente che ripeteva che la guerra era tutta una farsa, che le misure del governo erano assurde ed eccessive perché poi alla fine le bombe erano poco più che fuochi d’artificio e non è che ci morissero poi tutte queste persone, eccetera, eccetera, eccetera.
 
Il problema è che in questi 75 anni siamo diventati del tutto incapaci di riconoscere una emergenza come qualcosa che ci riguarda e con cui dobbiamo fare i conti.
Ogni tragedia avvenuta nel mondo negli ultimi anni l’abbiamo affrontata esorcizzandola con un po’ di retorica, slogan, luoghi comuni, adesivi sul profilo facebook, catene di sant’Antonio, una canzone e una magnata: ve la ricordate, sì, l’amatriciana per Amatrice?
Chi glielo spiega, adesso, a questo popolo così generoso e godereccio, che il coronavirus non si combatte andando a mangiare fuori o partecipando a un concerto, ma al contrario, stando a casa e non partecipando proprio a niente?
Dentro la canzone di Moro & Meta c’è tutta questa logica: nessuna tragedia riuscirà a scalfire il nostro stile di vita. Niente e nessuno ci impedirà di continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto, come se niente fosse.

 

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.