Viaggi

Western Australia, Kimberley e luoghi inesplorati. Coccodrilli, ragni e serpenti velenosi nella regione grande una volta e mezza l’Italia

Un viaggio emozionante per chi crede ancora nella scoperta.

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Il Kimberley è una regione grande una volta e mezza l’Italia e si trova al nord di Perth distante 2300 Km. E’ un posto dalla bellezza spettacolare, uno dei luoghi più inesplorati del continente australiano.

In questo posto arriva solo chi crede che il viaggio significhi ancora scoperta, avventura, emozione. Non ci sono strade asfaltate, i punti di riferimento sono rari però è possibile fare la doccia sotto una cascata, bere l’acqua incontaminata dei fiumi e calpestare il suolo dove l’ecosistema è inalterato; prepararsi il lunch in compagnia di canguri che ci guardano con curiosità o coccodrilli che ‘sbadigliano’ annoiati. E’ un viaggio intrapreso per sperimentare e documentare se l’uomo del XXI secolo è ancora capace di sopportare disagi per scoprire un mondo ancora primitivo.

Noi partiamo dalla Contea di Derby, che è una delle quattro local Governament Areas di appena 9.000 abitanti. All’alba, dopo aver caricato le provviste che ci dovranno bastare per sette giorni, il bagaglio tecnico per le riprese e le nostre valigie, Jack e Iggy, le nostre guide, si dicono pronti a partire. Guardo la Toyota 4WD carica fino all’inverosimile e penso: ce la farà? Questi veicoli sono gli unici che possono viaggiare su percorsi fatti di piste accidentate, solchi appena tracciati, guadi di fiumi e praterie sassose.
Si parte « to discover the Kimberley ».
Dopo aver percorso faticosamente 350 chilometri, ci fermiamo davanti a una solida e maestosa barriera rocciosa per poterla ammirare nella sua imponenza. La guida ci informa che è di formazione corallina, risalente a 380 milioni di anni fa, e che attraversa il territorio del W.A. per mille chilometri.
E, come in un film, Jack ci conduce attraverso una spaccatura della barriera così stretta che dobbiamo passare in fila indiana e con molta difficoltà. Sulle pareti ci sono impressi i calchi di fossili esistiti milioni di anni addietro. Come per incanto, il lungo budello finisce in un’ampia ansa di un fiume coperto da una lussureggiante vegetazione « giurassica ». Ma attenzione: ci sono anche decine di coccodrilli che oziano al sole. A nostre spese constatiamo la velocità e pericolosità di questi rettili: un componente della spedizione si avvicina un po’ troppo a un branco per fotografarli molto da vicino. Un guizzo veloce di uno di questi esemplari lo assale e lui, terrorizzato, lascia cadere la camera e corre vie. Inutile dire che alcune migliaia di euro sono andate in frantumi tra le temibili fauci del coccodrillo. Recuperata la calma e restando a debita distanza, ritorniamo sui nostri passi.
Riprendiamo la marcia e, nel tardo pomeriggio, arriviamo in un punto di rifornimento gestito da una giovane coppia. La scena è di quelle che molte volte si sono viste nei film americani: una grande pianura, una casa messa su alla meglio, un’unica pompa di benzina, il cane (un classico) sotto la veranda animata da coloratissimi murales naif, due contenitori cilindrici per raccogliere l’acqua piovana e un gruppo di aborigeni appollaiati sul cassone di uno sgangherato camioncino. Ciò che più ci colpisce di questa scena è il silenzio: totale.
Fatto rifornimento di acqua e patatine, riprendiamo il nostro viaggio. Altri chilometri sul tracciato di terra rossa così fine che l’auto, pur procedendo lentamente, crea un polverone che oscura il cielo dietro di noi.

 



Dopo un girovagare tra termitai, foreste di eucaliptus e guadi, arriviamo davanti a un cancello bianco con una catena. Guardo perplesso il miei compagni: cosa ci fa un cancello in mezzo alla foresta? Non lo sapremo mai. Nel frattempo, Iggy è scesa e con una chiave apre il lucchetto. Da quel momento in poi non esiste più il tracciato. Si prosegue sulla folta erba del sottobosco. Jack si ferma ogni tanto per raccogliere rami secchi: chissà cosa ci dovrà fare (scoprirò poi che serviranno per il fuoco).
Noi ne approfittiamo per scattare foto, filmare e guardarci intorno. Neanche in uno zoo si vedono tante aquile tutte insieme che volteggiano sopra la testa e grandi pappagalli bianchi dalla testa rossa che mostrano il loro dissenso per la nostra invasione emettendo alte grida stridule e fastidiose.
Quelli che, invece, stanno tranquilli a osservarci incuriositi sono gruppi di piccoli canguri a pochi passi da noi.

Siamo arrivati al « bush camp », o zona selvaggia, come la vediamo noi.
Il sole sta tramontando dietro gli alberi e crea un’atmosfera particolarmente emozionante. Il campo è uno spiazzo circondato da alti alberi di eucaliptus. Dopo aver sistemato il fuoristrada, Jack ci conferma che passeremo la notte in questa località chiamata « Surprise hill ».
Guardandomi intorno non vedo niente di sorprendente e, mentre penso questo, Jack ci fa cenno di seguirlo in mezzo al bosco. Sul percorso, incontriamo un lucertolone lungo mezzo metro che tiene in bocca un grosso insetto verde e che non mostra alcuna intenzione di spostarsi.
Inoltrandoci, vedo Jack raccogliere foglie dai rami per strofinarle poi sulla pelle, bacche che apre e mangia, semi che ripone in tasca. Davanti a un cespuglio ci spiega che le sue foglie, dal colore marrone, a contatto con l’acqua possono sostituire il sapone. Ad un certo punto mi ferma per mostrarmi una grande foglia verde con sopra una grossa formica dalla testa verde che lui mangia con gusto: « very good », esclama porgendomene alcune. Indietreggio inorridito e non mi lascio convincere a mangiarle anche se mi spiega che sanno di menta.
Dopo qualche passo allungo una mano per prendere una foglia strana da un cespuglio. Jack mi si avvicina precipitosamente e me la toglie di mano facendo un gesto con l’indice che scorre orizzontalmente sulla gola: « it’s dangerous » esclama, spiegando che ingerire anche una sola foglia ci farebbe morire avvelenati.
Così, dopo un breve cammino, facendoci largo tra gli arbusti, attraversiamo un piccolo fiume e scopriamo Surprise Hill: una cascata incastonata tra le rocce con un piccolo laghetto. Adesso, penso, escono Tarzan e Jane e si tuffano per un bagno ristoratore. Molto suggestivo.

 



Quando torniamo al campo, troviamo che Iggy ha acceso il fuoco, spolverato le sedie, preparato il tavolo e l’aperitivo con tartine e crudité.
L’atmosfera che si è creata è quella di hemingwayana memoria, quella dei mitici safari africani. Con una buona bevuta il nostro entusiasmo cresce ed abbiamo l’impressione di vivere l’esperienza dei grandi esploratori, ma la mia euforia si raffredda di colpo quando capisco come avrei passato la notte. Jack, infatti, appende ad una corda tesa tra due alberi una rete che, una volta aperta, forma una campana a protezione di un materassino messo a terra. Un brivido di paura mi percorre al pensiero che non esisteranno ostacoli solidi tra me e gli abitanti della foresta: non tanto per i canguri, i dingo, ma per i serpenti, per i « magnifici » ragni grandi come mani e altri animali striscianti. Brrr ! « No – penso – io dormo in macchina. Vorrà dire che per me sarà come dormire ancora in aereo. »

Iggy, intanto, si dà da fare per approntare il « dinner », facendo anche il pane fresco con semplici ingredienti: farina, burro, aglio e birra. Poi, con la brace del fuoco e un contenitore di ghisa, in pratica, crea un forno. La cena offre cosce di pollo in casseruola con salsa di soia e vino rosso, patate e granturco cotti sotto la brace. Un plum cake al cioccolato per dessert. Ma nulla mi distrae dal pensiero che siamo all’inizio del nostro viaggio all’interno del bush.

 



Terminata la cena, programmato il percorso del giorno dopo, e non potendo andare a prendere il caffè al bar dell’angolo, non si può pensare di leggere perché anche la luce di una piccola torcia elettrica attira orde di farfalle e insetti di ogni genere.
Al buio, pardon, alla luce delle stelle più luminose (tantissime come non ricordo di averne mai viste), apriamo le nostre borse per recuperare un cambio: io, invece di spogliarmi, mi copro ancora di più, perché di notte, ai tropici, la temperatura scende di molti gradi. I miei compagni mi prendono in giro, ma durante la notte li sento gemere dal freddo.
Appena calato il sole tutti a nanna, ma si fa per dire… dopo due ore sono ancora sveglio a contemplare la Croce del Sud e le altre costellazioni: è impressionante quante sono. Il pessimismo e il disagio si attenuano e riesco a prendere sonno.
All’alba il canto stridulo e incessante di un gruppo di pappagalli mi sveglia (quando si dice che uno è dispettoso come un pappagallo). Li maledico, ma aprendo gli occhi, vedo il sole che con i primi raggi si insinua tra gli alberi, illumina le pareti di roccia rossa: uno spettacolo magnifico.
Guardo Giorgio, l’operatore, per fargli riprendere la scena ma lui russa beato e così anche le guide.
La doccia sotto la cascata è fredda, ma tonificante e piacevole. I denti li lavo nel fiume e pensando al grande rispetto che gli australiani hanno per l’ambiente, mi convinco che l’acqua la posso anche bere. Comincia così un altro giorno alla scoperta del Kimberley.

Jerry Bortolan

Tags: australia
di Jerry BortolanReporter, giornalista di viaggio ed enogastronomico.