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Putin il “virile” batte Obama “l’ elegante”, destini incrociati sulla supremazia mondiale

Presidenti sospettosi verso una nuova “Guerra Fredda”. Russia vicina a Brasile e Cina mentre Obama lava i panni sporchi “CIA” davanti al mondo intero e scatena ondate di anti-americanismo.

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Strani destini, incrociati ma opposti, per il roccioso ex colonnello del KGB Vladimir Putin, accanito amante – e praticante – delle più virili discipline sportive, pugno di ferro in un guanto di velluto, parlata diretta e popolaresca, e per il ‘liberal’ Barack Obama, primo afroamericano a salire alla Casa Bianca, uomo dall’eloquio elegante e trascinante, il leader venuto dal nulla che – sei anni fa - entusiasmò l’America con il suo storico ‘we can’, accendendo miracolistiche speranze di un cambiamento, molte delle quali rimaste confinate nel libro dei sogni.

 



I due presidenti non si sono mai amati, né capiti, né si sono sforzati di avvicinarsi: si tollerano, niente di più. Putin è l’unico capo di un paese che pesa a non nutrire timori reverenziali di fronte alle continue rivendicazioni della supremazia mondiale USA, anzi a contrastarle. Obama è perennemente sospettoso, considera Mosca una mina vagante per gli equilibri planetari, vorrebbe ridurne il ruolo a quello di potenza regionale. Logico che da una miscela di questa natura sia scaturita una nuova, strisciante, ‘guerra fredda’, che sta allontanando sempre di più la Russia dall’Occidente spingendola verso la Cina, l’India, il Brasile, il Sudafrica.
Bizzarro, in realtà perfettamente spiegabile, che dalla crisi russa Putin non venga intaccato nella sua credibilità e nel suo potere, mentre dalla ripresa americana Obama non tragga il minimo giovamento ai fini della sua popolarità. Una differenza vistosa nelle sorti dei due avversari, spesso intolleranti uno nei confronti dell’ altro, sempre – comunque – diffidenti.

La Russia attraversa una fase economica difficile. Consistenti capitali trasferiti all’ estero, dure sanzioni di UE e USA come ritorsione alla sua linea intransigente nel ‘caso Ucraina’, crollo del prezzo del petrolio, conseguente inabissarsi del rublo, moneta – del resto – usa alle fluttuazioni. Eppure la nazione dalle centodiciannove etnie regge. La sfiducia e il timore di un futuro buio restano abbondantemente sotto il livello di guardia. E, soprattutto, la fede nel ‘nuovo zar’ e nel suo operato resta alta. Un po' perchè – dopo settant’ anni di comunismo – questo paese può affrontare qualsiasi congiuntura e sa tirare la cinghia e stringere i denti, un po' perché Vladimir Vladimirovich ha saputo abilmente fare leva sui sentimenti viscerali del suo popolo - orgoglio nazionale e capacità di rimboccarsi le maniche - dipingendo gli americani come il demone che vuole annientare e umiliare la Russia, premendo ai suoi confini europei, come dimostra l’impegno USA a favore di Kiev e il suo soffiare sul fuoco della repressione della rivolta dei filo-russi nell’ Est dell’ Ucraina, fratelli da non abbandonare al proprio destino per Mosca.
Così si spiega il fortissimo consenso popolare di Putin, che supera l’ottanta per cento, e la sua inamovibilità come leader dei leader nell’immaginario collettivo. Chi se non lui? Chi con le stesse credenziali? Poco credito riscuotono le ‘profezie’ di buona parte dei media occidentali, secondo i quali la variopinta opposizione di piazza ricomincerà presto a mordere dopo un silenzio assordante che dura da un anno e mezzo. Non c’è alle viste nessuna rivoluzione ‘bianca’, che possa mettere in ansia l’inquilino del Cremlino.

 



Di una diversità stridente la situazione negli Stati Uniti, dove la crisi economica non c’è affatto, tutt’altro. La locomotiva ‘a stelle e strisce’ ha ripreso a volare - un lontano ricordo la recessione del 2008 - riacquisendo di forza il suo primato. Sale il prodotto interno lordo, cresce l’occupazione, stipendi e salari battono l’inflazione. Ma i conti non tornano lo stesso: l’americano medio soffre uno stato di incertezza e di perdita d’identità, i successi in politica economica non vengono troppo avvertiti, Obama non riesce a ridisegnare il volto dell’America fuori dei suoi confini. ‘Chi siamo? Dove andiamo?’.
Viene accusato di essere ondivago, il presidente del ‘new dream’. Confusa la sua visione internazionale, ritengono in molti, e non solo gli elettori tradizionalmente repubblicani. Poteva fare di più, o diversamente: in Siria, in Iraq, in Afghanistan, in Medio Oriente, nella trattativa sul nucleare iraniano, nella stessa Ucraina. ‘Ha indebolito gli Stati Uniti’, è la percezione della ‘pancia profonda’ del paese. Percezione, più che fredda analisi. Obama viene umiliato alle elezioni di ‘medio termine’, i democratici in ritirata. Anche la sua decisione di rendere pubbliche le clamorose deviazioni della CIA negli interrogatori dei terroristi, lo scottante rapporto del Senato sulla tortura, non suscita un applauso incontrastato. E’ sensato lavare i propri panni sporchi davanti al mondo intero e scatenare un’ altra ondata di anti-americanismo? Non è una rischiosa auto-fustigazione?

Due anni aspri attendono lo stanco Obama, da qui alla fine del mandato. Il suo avversario numero uno, invece, tiene in mano le redini della nazione. Putin batte Obama, almeno all’ interno delle mura amiche. Solo una devastante recessione potrebbe provocare una reazione popolare, di cui – oggi – non esistono segnali.

Giovanni Masotti

di Giovanni MasottiGiornalista Rai Inviato da Mosca.