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India, Puzza e Inquinamento. La gente non ha il bagno ma tutti hanno lo Smartphone. Il pene si tocca solo con la sinistra

Cristianesimo e induismo sono due religioni opposte sul piano teologico, praticamente identiche nella pratica

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L’India non è un paese: è un immaginario.
L’India è oriente per antonomasia, è il luogo esotico per eccellenza: è mistero, avventura, spiritualità; è l’orizzonte dell’anima in cerca di sé stessa.
Non a caso da Cristoforo Colombo a Emilio Salgari, di India ne ha parlato soprattutto chi non c’è mai stato.
Poi chi ci va davvero, quando torna ti dice che la prima cosa che trovi è una gran puzza. E allora anziché sentirsela raccontare bisogna andarci, a toccare con mano una terra che ha tanti colori quante contraddizioni, e razze, e lingue, popoli e religioni. Un paese pieno di ricchezza e straripante di povertà, dove la tecnologia è all’avanguardia e i barbieri lavorano sul marciapiede in mezzo al traffico; dove il 75% della popolazione non ha un bagno ma il 90% ha lo smartphone.
D’altra parte non è poi così strano: qui vive un quinto dell’umanità, ed è l’unico paese dove convivono persone di tante razze e colori diversi, ma tutte native.
Dopo qualche giorno impari a riconoscerli: quelli con la pelle più chiara vengono dal nord ovest, verso il Pakistan. Quelli che sembrano cinesi arrivano dal nord est, verso il Nepal, mentre al sud sono più bassi e hanno la pelle più scura.
In India si arriva sempre perché si è in cerca di risposte, di ispirazione, di vocazione: i Beatles ci hanno trovato la musica, Madre Teresa la povertà, Siddharta l’illuminazione; qualcuno sostiene che lo stesso Gesù Cristo ci sia passato, prima di iniziare la sua vita pubblica.

 

E’ vero, appena scendi dall’aereo la prima cosa che ti colpisce è l’odore. Che poi non è proprio puzza: diciamo piuttosto un suggestivo aroma misto di fritto, urina, sedano, incenso e gas di scarico; un odore che ti accompagna in ogni luogo: dalle baraccopoli ai quartieri borghesi.
Quello che rende l’aria davvero irrespirabile, invece, è l’inquinamento.

Ti guardi intorno e ti chiedi come fanno loro, a stare in mezzo al traffico senza maschera antigas. Per ore. Inquinamento che è anche, e soprattutto, acustico. Quando torni da Delhi anche Napoli ti sembra una cittadina silenziosa: perché gli indiani, a differenza degli italiani, non usano il clacson per avvertire di un pericolo o per protestare: no, loro lo fanno per segnalare la propria presenza. E quindi il concerto è continuo, ininterrotto, in ogni angolo di strada, in ogni ora del giorno e della notte.

 

 

 


La cosa curiosa è che il Taxi classico, a Nuova Delhi, praticamente non esiste. Si utilizzano quasi esclusivamente applicazioni come Uber e Ola, chiamando e pagando tramite cellulare. La maggior parte della gente, però, usa il Tuc Tuc: un’ape-taxi, aperta e molto più economica.
Quando lo prendi però, devi subire una sorta di razzismo al contrario: se sei bianco l’autista si rifiuta di mettere il tassametro e ti chiede almeno il doppio di quello che paga un indiano. E questo succede ovunque: il prezzo che trovi scritto è sempre tre volte inferiore a quello che pagherai. E così ti ritrovi a contrattare anche solo per prendere un caffè. Sei bianco, quindi sei ricco, quindi devi tirare fuori i soldi. E’ non è che abbiano tutti i torti, se pensi che una guardia di sicurezza guadagna mediamente 100 euro al mese.

 

Al parco puoi trovare molti fidanzati appartati dentro i resti di una moschea, o fare i romantici seduti sul prato. Pochi di essi però, hanno un futuro insieme. Ancora oggi in India tutti i matrimoni sono combinati, e la maggior parte di quelle coppie saranno costrette a separarsi al momento del matrimonio di uno dei due.
Ovviamente non può mancare una visita al Taj Mahal, che è il simbolo stesso dell’India. La cosa curiosa, è che il più celebre monumento religioso dell’Islam, inserito nel 2007 tra le nuove sette meraviglie del mondo, è dedicato a una donna: è infatti la tomba della regina Mumtaz Mahal fatta costruire nel 1632 dall’imperatore mogul Shah Jahan. Peraltro è significativo che l’imperatore, da parte sua, una tomba monumentale non ce l’ha perché i figli la consideravano uno spreco di soldi.

 

La cosa singolare è che stai tutto il tempo con la camera in mano, a fotografare, cercando di non farti notare, la gente che ti sembra “strana” ed esotica. Poi ti accorgi che proprio quelli che stai riprendendo incuriosito, ti stanno fotografando, altrettanto incuriositi. Perché tu sei ancora più strano ed esotico ai loro occhi. Capita spesso, girando per Delhi, di essere fermati per strada da gente che vuole farsi la foto con te, che ti chiede il selfie. Ti senti una celebrità. In realtà sei semplicemente bianco, quindi un’attrazione.
L’India è un vero concentrato di religioni: per secoli qui musulmani, sikh, buddisti, cristiani e induisti hanno convissuto pacificamente. I conflitti sono iniziati settant’anni fa quando gli inglesi, al momento di concedere l’indipendenza, hanno diviso il Pakistan dal resto dell’India separando gli indù dai musulmani. Gandhi si era opposto con ogni forza alla divisione, e con ragione: da allora è scoppiata una guerra che va ancora avanti dopo 70 anni.

 

 

A differenza della Nuova York o la Nuova Orléans, Nuova Delhi non prende il nome di una città europea rifondata nelle colonie. Forse più che Nuova Delhi bisognerebbe chiamarla Delhi scalo, perché in realtà non è altro che la parte moderna della città che gli inglesi trovarono, e che è oggi la più povera ma anche la più caratteristica.
Nella vecchia Delhi per poche rupie puoi prendere il risciò che ti porta dentro le viuzze intasate dal traffico; ed è impressionante vedere intere famiglie, di tre quattro persone su un motorino, con le donne sedute sempre all’amazzone, o gente che trasporta le bombole del gas in bicicletta. Nelle strette viuzze puoi imbatterti in piccoli templi induisti, ma anche nel tempio sikh, al quale è annessa una grande mensa che ogni giorno dà da mangiare ai poveri della città.

 

Alla moschea, invece, puoi trovare chi è disposto a farti un corso accelerato di religione islamica, spiegandoti per filo e per segno come si fanno le abluzioni nella grande vasca al centro della struttura, e scoprire che il Corano prescrive anche la posizione con cui si devono espletare i bisogni e che – per esempio - devi toccare il pene solo con la sinistra perché è la mano del diavolo, mentre quando cammini devi partire sempre con il piede destro, che è quello di Dio.
Tornando a Nuova Delhi, uno dei luoghi più suggestivi è il memoriale di Mahatma Gandhi. Non esistendo tombe, nell’induismo, loro venerano il luogo dove è stato bruciato il corpo della Grande Anima, dove ancora adesso arde una fiamma permanente. E’ un luogo di preghiera e contemplazione. Ma soprattutto di selfie, che più di ogni altra cosa uniscono popoli e religioni.
Il museo Gandhi, invece, si trova all’interno di quella che è stata la sua ultima abitazione, in pieno centro. Ed è anche il luogo dove è stato ucciso. Un sentiero tracciato con le orme permette di ripercorrere i suoi ultimi passi: quelli che ha fatto uscendo di casa per partecipare, nel grande piazzale antistante l’abitazione, alla preghiera ecumenica quotidiana. Proprio quando si trovava a pochi metri dalla sua postazione, circondato da una folla di fedeli, il 30 gennaio 1948 alle cinque di pomeriggio, Gandhi è stato ucciso da un fanatico indù con tre colpi di pistola.

 

 

Con la “nonviolenza” Gandhi aveva combattuto la segregazione razziale in Sudafrica e aveva ottenuto l’indipendenza dell’India, si era opposto al sistema delle caste, e alla divisione con il Pakistan; si tesseva da solo i suoi vestiti ed era riuscito a fermare la guerra con lo sciopero della fame.
Di fronte alla sua abitazione oggi c’è il gong della pace universale, che raccoglie le bandiere di tutti i paesi del mondo e i simboli di tutte le religioni.

Colpisce la svastica, riprodotta ovunque. Ma niente paura: il nazismo non c’entra, la svastica è uno dei simboli più diffusi della religione indù ed è un segno propiziatorio e simbolo divino.
Uno delle figure preferite da Gandhi, è quella delle tre scimmiette che si chiudono gli occhi, la bocca e gli orecchi. Alle quali lui attribuiva un significato decisamente diverso da quello che gli diamo noi: se in Italia è diventato un simbolo di omertà, per Gandhi era un invito a non far entrare e a non far uscire dalla propria testa cattiverie e malignità.
Quello colpisce di più, in questo viaggio in una cultura così lontana, è scoprire un grande paradosso religioso: e cioè la straordinaria somiglianza tra cattolicesimo e induismo.
Il cristianesimo sotto il profilo teologico è una religione sorella dell’Islam, mentre è quanto di più lontano dall’induismo, religione pagana e addirittura “satanica” secondo gli esorcisti.
Eppure nella pratica religiosa non sembra esserci differenza tra la nostra religione e questi culti così lontani e antichi.

 

Gli indù, come i cattolici, tengono immaginette in macchina, a casa, nella bottega, hanno edicole sacre per strada: al posto di padre Pio hanno Ganesha, il dio con la faccia di elefante, e al posto di Sant’Antonio hanno o Hanuman, che ha le sembianze di scimmia, mentre piuttosto che santa Rita venerano Khali (che è molto meno malvagia di come l’ha descritta Spielberg in Indiana Jones e il tempio maledetto). Ma alla fine il rapporto con i santi è lo stesso: chiedono loro forza e protezione anche se poi - di fondo - credono in un unico Dio. Gandhi, per dire, parla sempre e solo di Dio, così come Sai Baba, un mistico talmente monoteista che nessuno ha mai capito se fosse musulmano o induista (tanto che, nel dubbio, quando è morto è stato seppellito, anziché cremato).

 

 

Nelle divinità indù c’è poi - anche formalmente - una gerarchia, a capo della quale c’è Trimurti, una vera e propria “Trinità”.
Come i cattolici gli induisti hanno i guru, i santoni: figure molto discusse che attirano grandi folle e altrettanti soldi per il loro carisma ma anche per i presunti miracoli che compiono e che sono capaci di manipolare migliaia di devoti.
Insomma, se l’Islam e l’ebraismo sono religioni che praticano solo ed esclusivamente l’adorazione di Dio e l’obbedienza alla legge, nell’induismo e nel cristianesimo c’è molta più libertà e si spazia da una teologia raffinata a forme di superstizione e miracolismo.

 

Tutto questo con una differenza storica molto profonda: e cioè che l’induismo è la religione più antica del mondo, quindi tutte queste caratteristiche sono un portato di migliaia di anni di storia e di tradizioni che hanno incontrato molte riforme religiose come il buddismo, il sikhismo e gli Hare Krishna, mentre il cristianesimo ha fatto il percorso opposto: è una religione moderna, fondata “appena” 2000 anni fa, ma che poi si è lasciata contaminare dai culti e tradizioni proprie del paganesimo occidentale.
Cristianesimo e induismo sono due religioni opposte sul piano teologico, praticamente identiche nella pratica religiosa. E ci parlano entrambe, nello stesso modo, del rapporto dell’uomo con il divino. Forse anche per questo l’India riesce ad essere così unica e così universale, meta obbligata per le anime inquiete in cerca di risposte.

 

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.