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Notre Dame bruciata: doloso o incidente, tante le accuse. Pochi conoscono i valori “non quelli Disney”

La ricostruzione del “centro simbolo” e centro cattolico francese.

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Come sempre più spesso accade in questa società dai sentimenti tanto potenti e perentori quanto fuggevoli e spesso vani, l’incendio di Notre Dame a Parigi costituisce, a distanza di pochi giorni, non più che un ricordo fumoso (e che fumo!) collocato in un vago recente passato.
Le immagini violente e spettacolari e più ancora le reazioni planetarie che si sono scatenate nelle ore successive, più furiose delle fiamme, meritano però qualche ragionamento a posteriori. Perché il mondo si è fermato davanti a una cattedrale in fiamme? Non pochi commentatori hanno provato a riflettere su questo fenomeno emotivo collettivo durato addirittura più di 24 ore. Qualcuno ha giustificato questa partecipazione riconoscendo a Notre Dame il merito di essere uno degli scenari più famosi di storie importanti e unanimemente conosciute: certo non quelle di Victor Hugo, forse probabilmente il Gobbo di Notre Dame targato Disney. Una lettura politica è stata utilizzata, nelle prime ore, per continuare ad alimentare il fuoco ben peggiore della paura del terrorismo e non importa se poi, alla fine dei fatti, la pista si è rilevata (fortunatamente) inconsistente: accuse e paure sono state seminate, concime per un odio distruttivo. Un certo mondo cattolico ha infine gridato alla fine della civiltà cristiana e al rogo delle radici cristiane dell’Europa, tentando di battezzare (di acqua ne è stata sparsa a iosa in quelle ore) persino un tragico corto circuito.


Probabilmente qualcuno davvero si è commosso per motivi come questi; forse però non la maggioranza, tra cui molti di quelli che Notre Dame l’hanno vista almeno qualche volta, addirittura anche all’interno malgrado le lunghe ore di coda. Perché quell’edificio, come pochi altri, ha una forza simbolica senza pari, capace di agire anche in forma tanto inconsapevole quanto efficace.
La forza di Notre Dame si comprende dal primo momento quando, non solo il turista giunto lì appositamente ma anche il passante distratto o il parigino che attraversa la piazza tutti i giorni, non appena incrocia i primi scorci della cattedrale alza inconsapevolmente lo sguardo seguendo le ardite linee di fuga marmoree che l’architettura mette in scena. È il miracolo dello stile gotico, che con l’invenzione degli archi rampanti e dell’arco a sesto acuto, scopre di non avere più bisogno di pareti costose e pesanti per sostenere l’edificio. L’austero stile romanico, al confronto buio e tozzo, è superato di slancio, la cattedrale si impenna e non c’è uomo e donna che passi e non guardi in alto, fino alla guglia (la cui caduta ha costituito l’apice dell’incendio dei giorni scorsi) e oltre. Il visitatore più attento gode di questo movimento generato da una pietra che appare stranamente leggera, il turista certamente fotografa torri e archi, il parigino affronta lapiatta fretta quotidiana tuffandosi nell’abisso dell’intricata metropolitana cittadina con questo sguardo distoltoche dona ampio respiro.


La seconda funzione che Notre Dame offre alla città è quella di marcare il centro, e non importa se, lungo i secoli, lo sviluppo urbanistico e sociale ha portato alla costituzione di ulteriori, doverosi e forse anche più efficaci centri. La trama geografica delle città contemporanee, con il loro estendersi a vista d’occhio di quartieri modulari e spesso insignificanti, chiede edifici che fungano da riferimenti e punti di orientamento, così come la vita dei milioni di uomini e donne che le abitano. Non necessariamente questi luoghi sono attraversati quotidianamente, accolti e apprezzati nelle loro risonanze storico simboliche, ma ci sono, anche solo per essere evitati o contestati. Una vita piatta e uniforme, una città senza centri, risulta ben presto invivibile e insopportabile: lo sfacelo sociale frutto di dissennati progetti urbanistici popolari è nella memoria di tutti e, purtroppo, anche nelle cronache nere dei telegiornali.

(Philippe LOPEZ/AFP/LaPresse)


La terza caratteristica di Notre Dame che vale la pena essere ricordata chiede uno sguardo più attento. Facciata, guglie e transetti sono arricchiti di una miriade di statue di simboli e personaggi, disposti in un ordine preciso, capace di ridire in uno spazio comunque contenuto la struttura del cosmo intero. Era il progetto degli uomini del tempo che vedevano nella cattedrale la forma più efficace per esibire e trasmettere una grande narrazione a una popolazione analfabeta ed esposta a una vita rischiosa e insicura: la storia non è priva di senso, c’è un ordine del cosmo e della società, per tutti c’è uno spazio che, nella prospettiva cristiana genuinamente rivoluzionaria, merita cura e dignità. L’epoca contemporanea non è più capace di grandi narrazioni, non è più in grado di offrire una visione sintetica, unitaria e ordinata dell’esistenza, e forse non è così male. Ne sente però, in fondo, una certa nostalgia e se c’è qualcosa che richiama in modo magnifico tale principio d’ordine esso è considerato in qualche modo oggetto prezioso da custodire anche se non più facilmente praticabile, statue di Notre Dame comprese.


Il vaccino a ogni prepotente narrazione totalitaria del reale, fosse anche di stampo religioso e quindi fondata sul Padreterno in persona, è custodito all’interno della cattedrale o, meglio, è visibile solo da dentro. È il miracolo delle vetrate per il cui destino uomini e donne di ogni nazione hanno sofferto durante le ore dell’incendio. La luce del sole, attraverso un artefatto, pezzi di vetro di diversi colori sapientemente montati su intelaiature di piombo, racconta in modo incredibile le vicende degli uomini. Notre Dame è lo scrigno prezioso che custodisce il particolare, gli infiniti particolari della storia. Il principio unitario (la luce del sole) chiede di essere rifratto e scomposto per divenire visibile e stupefacente. Senza un’unica storia, gli uomini e le donne di questo tempo sono giustamente attaccati, talvolta fin morbosamente, alle storie e alle loro bellezzeuniche e sublimi. Non un solo frammento di vetro, per quanto piccolo e di un colore fra i tanti, può venire meno.
Non poche polemiche,infine, sono nate sulla presunta antichità di Notre Dame e sulla necessità di ricostruire esattamente quanto il fuoco ha bruciato. Quale cattedrale dovrà essere rimessa in piedi? Quella del XIV secolo? Le decorazioni inserite nel Settecento? Le guglie dell’inventore del gotico moderno, il geniale e contestato Viollet-le-Duc che ridisegna l’immaginario di quello stile a fine Ottocento? Se il rischio di perdere Notre Dame ha colpito centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo è perché essa offre la possibilità di una riscrittura permanente: essa è viva e quindi in continuo mutamento, malgrado l’arrocco storico dogmatico di qualche architetto e prelato che vorrebbe congelarla in un restauro tanto filologico quanto sterile e, in fondo, anche impossibile. Questo enorme edificio di pietra che attraversa la storia di Parigi e del mondo da più di settecento anni continua a parlare alla testa e al cuore, alle riflessioni e ai sentimenti, all’immaginario e al reale di chi la guarda e la abita. È per la sua abilità di tenere insieme statue gotiche e altari contemporanei, madonne lignee antichissime e croci di design postmoderno, che appare tragico un suo possibile venire meno.
Uno sguardo verso l’alto, un punto di riferimento nella città, una nostalgia per una unità capace di custodire e valorizzare ogni differenza, il bisogno di luogo capace di sostenere i dinamismi della storia. Questa è Notre Dame nel cuore di Parigi; anche per il rischio serio di perdere tutto ciò il mondo si è fermato commosso per qualche minuto.

 

Foto Copertina (Bertrand GUAY/AFP via LaPresse)

Andrea Ciucci

di Andrea CiucciEsperto di cultura, educazione e gastronomia