Viaggi

Brasile, Rio de Janeiro ed i muri che evitano il contatto, preservano la sicurezza, custodiscono “identita’ e bellezza turistica”

Ricchezza e favelas: le baraccopoli recensite sono 1019, 155 omicidi al giorno, 6 all’ora, 1 ogni 10 minuti.

di |
600-700 metri, non di più. La lunghezza di una galleria urbana. Nel giro di due minuti (perché naturalmente la strada è iper-trafficata) si passa da un panorama urbano gravemente degradato a una delle spiagge più belle del mondo. Favelas e Copacabana, ecco cosa offre, una accanto all’altra, rinomate entrambe, la splendida baia di Rio de Janeiro.
Copacabana: il solo nome scalda cuori e fantasie; con la sua vicina Ipanema costituisce uno dei più efficaci immaginari collettivi in materia di vacanza. Sei chilometri di spiaggia sabbiosa, bellissima; sole e mare, relax e sport, spettacoli ed eventi. Tre milioni e mezzo di spettatori per il concerto di Rod Stuart che festeggia il capodanno 1994; più di un milione per l’esibizione gratuita dei Rolling Stones nel 2006 (costata all’organizzazione più di cinque milioni di dollari); tre milioni di giovani alla messa di Papa Francesco nel 2013 in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. E poi, ogni giorno, decine di migliaia di turisti e abitanti tutti felici di lasciarsi lambire dalle onde dell’oceano o passeggiare sulle medesime onde riprodotte nel magnifico cammino pedonale che la costeggia. Bella, bellissima, non può non piacere, non puoi non desiderarla. Alberghi e ristoranti fanno da contrappunto lussuoso alla natura lussureggiante. Una notte al Copacabana Palace Hotel costa quanto lo stipendio medio mensile di un operario brasiliano; una cena al ristorante stellato Mee non è da meno, ma la collezione di sake dicono essere superba.
Cantagalo, Pavão e Pavãozinho sono tre favelas poste esattamente tra le spiagge di Ipanema e Copacabana. Slums in inglese, villas miserias in spagnolo, bidonville in francese, baraccopoli in italiano, ovunque nel mondo esistono quartieri sovraffollati, senza alcun disegno urbano, caratterizzati da inadeguatezza di servizi igienico sanitari, acqua potabile e infrastrutture sociali (così le caratteristiche urbanistiche codificate dagli studi delle Nazioni Unite). A Rio de Janeiro però i numeri rendono il fenomeno delle favelas unico: le baraccopoli recensite dalla Prefettura sono 1019, abitate da più di un milione e mezzo di persone (circa il 20% della popolazione totale della città). Qui si consumano la maggior parte degli omicidi perpetrati in città: 56804 nel 2015, anno record di questa triste classifica, 155 al giorno, 6 all’ora, 1 ogni 10 minuti. I cartelli della droga sono i veri grandi padroni di questi quartieri, dove solo raramente una struttura sociale legale riesce ad affiancarsi a una violentissima gestione criminale del territorio. Talvolta anche le forze dell’ordine si adeguano e le retate compiute periodicamente nei quartieri raramente si concludono con l’arresto dei criminali; il numero di vittime tra i delinquenti ricercati dalla polizia è impressionante, spesso quanto la loro giovanissima età.

Le favelas di Rio spesso sono circondate da alti muri che ne delimitano il territorio; pochi sono i punti di accesso al quartiere, visibilmente sorvegliati da uomini armati di tutto punto, pagati dalle milizie interne della favela. Non si può entrare liberamente in una favela, e sono pochi gli autisti che accettano di accompagnare qualcuno. Anche molti dei quartieri residenziali di lusso di Rio sono circondati da alte mura e gli accessi sono presidiati da servizi di sicurezza privati. Si entra solo se accompagnati, invitati, identificati. Sono proprio questi muri, veri e propri elementi accomunanti realtà così diverse, che colpiscono più di tutto, più della bellezza lussuosa delle spiagge, più dell’infinita povertà delle favelas. Muri: elementi architettonici che evitano il contatto, delimitano un territorio, impediscono la vista, negano i passaggi, custodiscono l’identità, preservano la sicurezza.

A 700-800 metri di distanza, talvolta molto meno, a Rio de Janeiro si incontrano realtà assolutamente diverse, custodite da alti muri che preservano e mantengono questa diversità; uno stridente e stordente contrasto pervade anche il visitatore più avvertito che ha la fortuna, o sfortuna a seconda di come la si vuole vedere, di poterli visitare in sequenza. Perché se tutti sanno che ci sono i ricchi e i poveri, i molto ricchi e i molto poveri, non è però facile pensare questa distanza sociale assoluta collocata in una vicinanza fisica impressionante, nel medesimo posto, nello stesso luogo, a qualche centinaio di metri l’una dall’altra.
I muri che distinguono e separano sono l’elemento davvero incomprensibile. Come sorseggiare sulla spiaggia un ottimo drink al tramonto sapendo che a meno di 500 metri stanno ammazzando un ragazzino? Al contempo e sull’altro versante: come decidere di rimanere a vivere in un contesto degradato e non desiderare di superare quel muro, fosse anche con un atto violento, rivoluzionario?
La domanda sull’incomunicabilità di mondi tanto diversi quanto vicini nasce spontanea ma non trova facile risposta, e il fastidio cresce vertiginosamente. A emergere per primo è il fatalismo, con la sua stordente capacità di disinnescare la tensione, o per lo meno di rinviarla all’infinito: è così, punto e basta, non ci si può fare niente; la mobilità sociale è solo una teoria sociologica, priva di qualunque possibilità reale. Ci vuole poco a capire che il fatalismo è come la droga: elude il problema e in cambio di una breve pace dona solo la morte. Scavando più profondamente si scopre che in realtà molte associazioni e istituzioni lavorano per connettere mondi così lontani, mediante percorsi culturali e occasioni di scambio e confronto: colpisce, ad esempio, il fiorire di un turismo consapevole all’interno delle favelas. La sensazione è però quella di una goccia del mare, capace di cambiare la vita di qualche persona, certo non di plasmare una intera società, almeno qualche importante settore.

Le risposte degli analisti più avveduti amplificano la percezione del contrasto e la sua apparente insuperabilità. La società brasiliana si sta sempre più polarizzando: ricchissimi e poverissimi, gli uni di fianco agli altri. E non bastano a consolare i dati che testimoniano l’uscita da una condizione di povertà assoluta di alcuni strati della popolazione dovuti a un complessivo miglioramento della situazione economica. Gli uni accanto agli altri, con un solo muro di separazione; in altri tempi si sarebbe scritto gli uni contro gli altri, i ricchi contro i poveri, ma anche lo schema della lotta di classe ha mostrato i suoi limiti, ha fatto il suo tempo e non è capace di scaldare cuori e di sostenere progetti.
Pare che uno dei movimenti (virtuosi?) tra i due mondi così vicini e così lontani sia costituito dalle molte persone che ogni giorno si muovono dalle favelas per andare a lavorare nei quartieri ricchi come donne delle pulizie o venditori ambulanti. L’incomprensibile accostamento si trasferisce all’incrocio di una strada o in una cucina signorile, dove, perlomeno, non ci sono muri fisici a separare le persone; la vita quotidiana talvolta crea occasioni di incontro e di scontro, genera tensioni e supera schemi sociologici; forse basterebbe uno sguardo diverso, una parola attenta…
 

Andrea Ciucci

di Andrea CiucciEsperto di cultura, educazione e gastronomia