Inchieste

Chiesa a pedofilia: dal peccato al reato. Se il 6% dei preti è pedofilo, c’è una relazione, tra sacerdozio e pedofilia, che va compresa a fondo

La chiesa trova il coraggio di un mea culpa radicale e incondizionato su uno dei suoi lati più oscuri.

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Il caso spotlightIl vero scandalo, stavolta, è che non si è scandalizzato nessuno. E paradossalmente, c’è chi ha avuto da ridire sul fatto che l’Osservatore Romano non abbia avuto da ridire su Il caso Spotlight e sul caso creato da Il caso Spotlight, il film che denuncia i silenzi del Vaticano sui crimini di pedofilia, vincitore del premio Oscar come miglior film.
Per una curiosa quanto significativa coincidenza, proprio mentre i produttori della pellicola – che racconta l’inchiesta del quotidiano Boston Globe sui crimini coperti dal cardinale Bernard Law – andavano a ritirare la più celebre statuetta del mondo, il cardinale George Pell testimoniava di fronte alla Commissione nazionale di inchiesta australiana sui casi di abusi sessuali avvenuti quando lui era vescovo di Melburne.
Pell, uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco (fa parte del gruppo dei cardinali che affiancano Bergoglio nel governo della Chiesa ed è a capo dell’economato vaticano) è accusato di aver insabbiato i casi di violenze sessuali, di non aver collaborato con le forze dell’ordine e di aver promosso una serie di risarcimenti molto bassi per mettere a tacere le vittime. Nulla di nuovo, in questo: sono le stesse accuse che venivano mosse al cardinale Law nel 2001, le stesse rivolte a vescovi di tutto il mondo dopo che il caso Boston ha scoperchiato il pentolone che la Chiesa aveva tenuto serrato per decenni, lasciando emergere una drammatica quanto disgustosa realtà.
La novità, si diceva, è nell’atteggiamento assunto dalla Chiesa di papa Francesco che, per la prima volta, non sta più sulla difensiva ma trova finalmente il coraggio di un mea culpa radicale e incondizionato su uno dei suoi lati più oscuri.


Così, se c’è chi accusa di faziosità e anticlericalismo Spotlight, colpevole di aver raccontato i silenzi della Chiesa facendo passare sotto silenzio i suoi meriti, il quotidiano della Santa Sede lo difende assicurando che “non si tratta di un film anti cattolico, perché dà voce al dolore profondo dei fedeli di fronte alla scoperta di casi di pedofilia” e si attira dal Foglio accuse di masochismo, giacobinismo e giustizialismo. Pell, da parte sua, rispondendo ai magistrati riconosce le colpe della Chiesa, più occupata a difendere sé stessa che non le vittime e di conseguenza orientata a “non ritenere credibili le accuse di abusi riguardanti circostanze assolutamente scandalose”. Pur cercando - con non poco imbarazzo - di giustificare il suo personale operato, il cardinale ha ribadito di non voler “difendere l’indifendibile”.


“Nessuno di noi cerca vendetta, solo verità – hanno detto un gruppo di vittime arrivate per assistere alla deposizione – quello che è capitato a noi quando eravamo piccoli non deve più accadere”. “La Chiesa ha commesso enormi errori – ha detto ancora Pell – e causato gravi danni in molti luoghi deludendo i fedeli, e ora si sta lavorando per porvi rimedio”.


La verità è che la responsabilità di ciò che è accaduto negli Stati Uniti e in Australia, così come in Irlanda, in Belgio (mille vittime in quattro anni) in Germania, in Italia e nel resto del mondo, non può essere addebitata solo a qualche vescovo che per non creare scandalo ha preferito trasferire da una parrocchia all’altra i preti pedofili piuttosto che affrontare un processo pubblico. La strategia di nascondere la polvere sotto al tappeto arrivava infatti direttamente dal Vaticano, con direttive che riservano esclusivamente alla Chiesa la giurisdizione sui reati.


I documenti più celebri che regolamentano la gestione dei casi di pedofilia sono il Crimen Sollicitationis redatto dal cardinale Ottaviani e approvato da Giovanni XXIII nel 1962 e il De delictis gravioribus firmato da Ratzinger e promulgato da Giovanni Paolo II nel 2001. In realtà, però, è almeno dal 1917 che il Vaticano si è posto il problema di come affrontare casi in cui i preti, approfittando del sacramento della confessione, adescano i fedeli costringendoli ad atti sessuali.

 

 


I regolamenti sono stati aggiornati più volte nel corso dei decenni, ma la linea è sempre rimasta la stessa: quando un sacerdote viene accusato di violenza sessuale, il vescovo deve prima procedere a tutte le verifiche che accertino il crimine, poi sottoporlo ad un processo canonico nell’assoluta segretezza. L’unica autorità competente in materia è la Congregazione per la dottrina della fede e la pena massima prevista per il prete pedofilo è la sospensione dai sacramenti, mentre chi viola il segreto processuale incorre addirittura nella scomunica.


Insomma i panni sporchi si lavano in chiesa, e i vescovi che hanno coperto i casi di pedofilia – anche centinaia, come accaduto a Boston – non hanno dunque fatto altro che applicare la legge imposta dal Vaticano. Niente di strano, quindi, se il famigerato cardinale Law quando deve essere rimosso da Boston non viene punito ma “promosso” arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.


“A mio parere non ha fondamento la pretesa che un vescovo sia obbligato a rivolgersi alla magistratura civile per denunciare il sacerdote che gli ha confidato di aver commesso il delitto di pedofilia – dice nel 2001 in un’intervista il futuro segretario di Stato Tarcisio Bertone, allora vice di Ratzinger nella Congregazione vaticana - naturalmente la società civile ha l’obbligo di difendere i propri cittadini. Ma deve rispettare anche il ‘segreto professionale’ dei sacerdoti”.


Il cardinale Castrillón Hoyos, prefetto della congregazione per il clero, invece, ad un vescovo francese condannato a tre mesi di carcere per non aver denunciato un sacerdote pedofilo scrive: “Mi rallegro di fronte a un confratello che agli occhi della storia e degli altri vescovi avrà preferito la prigione piuttosto che denunciare un suo confratello”.


“Anche quei vescovi da un certo punto di vista sono vittime – commenta la teologa Lilia Sebastiani - nel loro ingiusto silenzio non facevano altro che agire nel modo che per lungo tempo era stato loro istillato come giusto, prudente, caritatevole, mettendo davanti a tutto il sacro dovere di tener la chiesa al riparo dagli scandali. Dunque ammonire in privato, cercare qualche soluzione che facesse poco rumore, evitare il più possibile il coinvolgimento dell’autorità laica, addirittura (è successo) esortando le vittime a tacere e perdonare, ovvero non denunciare, per amore della chiesa. Non certo per rispetto delle vittime. Nemmeno per pietà dei colpevoli, lasciati allo sbaraglio con la loro malattia ed esposti al rischio di ripetere più e più volte quello che avevano già fatto: solo nell’interesse dell’istituzione”.


Nell’interesse dell’istituzione si lascia che un prete violenti un bambino dicendogli che non deve avere paura perché quelle che lo toccano “sono le mani di Dio” e che una volta scoperto venga trasferito in un’altra parrocchia dove può continuare impunemente le sue aberrazioni.


Bisogna aspettare il 2010 perché per la prima volta un cardinale, l’amico di Bergoglio e suo grande elettore Hummes, riconosca che “i preti pedofili vanno giudicati dalla giustizia ordinaria, non solo da quella ecclesiastica” e che infine un papa - lo stesso Ratzinger - inviti apertamente i vescovi ad uscire allo scoperto cooperando con le autorità civili: “Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, ma anche davanti ai tribunali costituiti” scrive ai cattolici di Irlanda.


Papa Francesco dal 2013 si spinge oltre: parla di un sacrilegio pari a una messa nera, incontra le vittime e dopo secoli di intimidazioni assicura “la nostra gratitudine per il loro immenso coraggio nel denunciare gli abusi subiti”, istituisce una Commissione per la tutela dei minori presieduta dal frate francescano Sean Patrick O’Malley che ha sostituito Law a Boston, e a farne parte chiama anche due vittime di abusi. Finalmente la commissione chiude a ogni ambiguità affermando la “responsabilità morale ed etica di denunciare gli abusi presunti compiuti dai sacerdoti sui minori alle autorità civili”.

 

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Nel frattempo, però, si aprono altre dolorosissime ferite, come quella che riguarda Jesùs Delgado, vicario della diocesi di San Salvador e segretario personale dell’arcivescovo Oscar Romero.


Ucciso nel 1980 dagli “squadroni della morte” para militari, Romero è il simbolo della Chiesa latino americana che tra gli anni ’70 e ’80 ha rifiutato la complicità con le “cattolicissime” e devote dittature sanguinarie, schierandosi apertamente dalla parte del popolo.


Osteggiato e guardato con diffidenza dal Vaticano per la sua lotta al regime tanto in vita quanto in morte, Romero è stato finalmente beatificato – e non a caso – dal primo papa latinoamericano; dal vescovo di Roma che ha fatto sua l’opzione preferenziale per i poveri di quella Teologia della Liberazione tanto condannata da Ratzinger e Wojtyla.


Ora, a pochi mesi dalla sospirata beatificazione di Romero, è arrivata – a novembre 2015 - la denuncia di una donna (che oggi ha 42 anni) abusata per anni, da minorenne, dal segretario e custode della memoria dell’arcivescovo martire. Il sacerdote, da parte sua, ha ammesso la colpa e chiesto perdono, venendo immediatamente sospeso da ogni incarico.


Il caso di Delgado è particolarmente significativo e impone una seria riflessione: perché stavolta non ci troviamo in presenza di un mostro che si nasconde dietro una talare, dell’orco che violenta una bambina approfittando della sua autorità spirituale. Ci troviamo in presenza di un prete importante e autorevole, protagonista di una fase eroica della vita della Chiesa latinoamericana, che ha rischiato la vita per difendere i poveri ed è da tutti considerato un uomo buono e irreprensibile. Un uomo che però si è innamorato di una minorenne, intrattenendo con lei per anni una relazione sentimentale. Un caso analogo è quello – ispirato a una storia vera – raccontato da Antonio Capuano nel film Pianese Nunzio 14 anni a maggio, dove il protagonista (interpretato da Fabrizio Bentivoglio) è un prete anticamorra che ha una relazione amorosa con un ragazzino di 13 anni: per farlo fuori i mafiosi non hanno nemmeno bisogno di ucciderlo, possono limitarsi a denunciarlo.


Questi casi – come anche quello di don Domenico Pezzini, per decenni attivo nella pastorale dei gay e nell’aiuto ai senzatetto, arrestato nel 2010 per abusi su un minorenne – fanno capire come se non si possono distogliere gli occhi dai crimini di pedofilia, non si possa nemmeno liquidare sbrigativamente i pedofili come “mostri” da emarginare, sopprimere, secondo qualcuno addirittura torturare e castrare. Il fenomeno va invece affrontato seriamente, non limitandosi a condannarlo ma cercando di comprenderne le cause.

 

 


Se – come sostiene Spotlight – addirittura il 6% dei preti è pedofilo, c’è evidentemente una relazione, tra sacerdozio e pedofilia, che va compresa a fondo.


“Le voci ufficiali ripetono quasi affannosamente che il celibato non c’entra. Sarebbe più sincero dire: il celibato non si tocca, e vogliamo che non se ne parli - spiega Lilia Sebastiani - La formazione al celibato, però, c’entra moltissimo. Una formazione in cui le donne reali sono programmaticamente escluse, in cui non sussiste alcuna prospettiva di una normale e positiva vita di coppia e la possibilità stessa dell’innamoramento è presentata come un incidente di percorso e una tentazione; che non aiuta a realizzare un rapporto sano e sereno con il proprio corpo sessuato, né rapporti adulti (paritari, quindi) né un’affettività svincolata dai dinamismi perversi del tipo dominio-sottomissione”.


In seminario, almeno fino a una ventina di anni fa, si entrava a 14 anni, prima quindi che potesse sviluppare una sessualità matura. Per certi versi, quindi, il prete ha un approccio alle relazioni sessuali che è rimasto bloccato alla preadolescenza. Inoltre la sua dimensione di “persona sacra” lo porta ad impostare con fatica rapporti alla pari. Insomma il prete tende ad avere un “complesso di superiorità” nei confronti degli altri, ha difficoltà a scendere dal pulpito anche nella vita intima ed è quindi comprensibile che anche in amore cerchi istintivamente una relazione con soggetti che sono per natura in una posizione subordinata come i minori.


“L’autentica disponibilità a indagare in modo serio, e dunque libero, sugli episodi di abusi che continuano ad affiorare – commenta Sebastiani - non può essere separata dalla disponibilità a riparare, e a ricercare le vere cause: quindi anche a riformare profondamente le strutture della chiesa. In questo modo lo scandalo e la peggiore crisi che la chiesa abbia attraversato negli ultimi secoli potranno rovesciarsi nell’occasione per una crescita condivisa e per un bene più grande”.
 

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.