Inchieste

La tecnologia non ci rende stupidi, ma attenzione alle notizie false

Qualche anno fa il medium era il messaggio, Oggi è la gente. Trending Topics per evitare danni

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La tecnologia non ci rende stupidi, anche se qualcuno pensa che sui social si parla come al bar. Ma come sempre il risultato dipende dall’utilizzo dei mezzi. Oggi siamo immersi nei social, ci raduniamo su Facebook o su Twitter, postiamo foto a valanga su Instagram. Siamo come un popolo che ha invaso un pianeta, occupandone ampi spazi. Anzi, di più. Da qualche milione siamo diventati miliardi. Non è una semplice comunità, non è uno Stato. E’ un vero e proprio mondo. Semmai un mondo a parte, che si manifesta nelle più svariate forme.
Per questo c’è chi sostiene con forza una regolamentazione. A partire dalle notizie fasulle, le cosiddette fake news. Si tratta di notizie alternative, realizzate su misura per attirare l’attenzione e generare contatti. Fanno presa, certo, incuriosiscono e spesso raggiungono una vasta area di utenti creduloni che leggono, condividono e contribuiscono a far diventare virali le più incredibili bufale. Un fenomeno che chiama in causa esperti, sociologi, giornalisti, editori. Una reazione inevitabile, per fare ordine nel mare magnum di internet.


Qualcuno è corso subito ai ripari, per evitare danni. Facebook e Twitter, ad esempio, hanno lanciato da tempo i Trending Topics, segnalati anche con l’abbreviazione TT. Si tratta delle informazioni che riguardano i temi più trattati in un determinato momento sul web. Una sorta di agenda setting, quella utilizzata dai giornalisti professionisti per formare la scaletta delle notizie più importanti, che fanno opinione. Con i Trending Topics, catalogati da un algoritmo, si cerca di individuare gli argomenti di cui si parla di più, gli avvenimenti più recenti. Per farlo sono nati diversi servizi come TrendsMap e What the trend, che monitorano a livello mondiale e nazionale post e tweet. In questo modo è più facile scartare le fake news e tenere a bada i divulgatori di bufale.
Ma non basta. Secondo Hossein Derakhshan, considerato il padre dei blogger iraniani, sei anni in cella per la sua attività di contestatore del regime, se oggi proliferano le notizie false è perché su internet vengono condivisi post dettati più dalle emozioni, dalle sensazioni, dal divertimento, piuttosto che dai pensieri. L’emotività prevale sulla ragione, e tutto diventa reality show. Che come sappiamo non rappresenta la realtà bensì la finzione. Questo tipo d’informazione non ha nessun filtro, come invece avviene nei giornali, dove i professionisti acquisiscono le notizie, cercano di capirle e di interpretarle, le verificano e poi le diffondono. Insomma, i social governano tutto quello che riguarda l’emotività. E in nessuna parte del mondo c’è uno Stato che educa i propri cittadini all’uso dei media. E’ successo anche con la televisione. Questo è un problema che andrebbe affrontato subito, dice Hossein Derakhshan, a livello internazionale, coinvolgendo anche le Nazioni Unite.

 

 


Sui social oggi quello che conta è la condivisione, è la possibilità di cliccare sull’icona like. Manca la percezione necessaria per capire la vera informazione. Manca anche il tempo per approfondire quello che si legge, tutto è improntato sulla immediatezza. Col passare del tempo nascono nuove piattaforme che consentono conversazioni veloci, immediate, ma non sempre vere.
Qualche anno fa il medium era il messaggio, per dirla alla McLuhan. Oggi il messaggio è la gente. Non è un aspetto negativo in assoluto, ma occorre fare molta attenzione ed essere preparati all’eccessivo flusso d’informazioni cui viene sottoposto il nostro cervello.
Bisogna usare bene la libertà o presunta tale a cui siamo stati abituati in rete. Nell’agorà digitale è facile perdersi o farsi condizionare. Come con le opinioni. L’opinione pubblica è diventata l’opinione del pubblico, ma questo non significa che tutti hanno la capacità di comprendere appieno per esprimere giudizi. Basta leggere i commenti spesso sconsiderati pubblicati negli spazi alla fine di un articolo, o quelli a margine dei video su YouTube. E’ giusto che ci siano. Ma occorre migliorarne l’uso.


La rete è libertà di espressione, certo. Ma la mamma dei cretini è sempre incinta, e loro non mancano mai. Sono quelli citati da Umberto Eco, secondo cui i social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli. In questo panorama è semplice rilanciare le bufale. Come si evince dal risultato di un’indagine dell’Osservatorio giovani dell’Istituto G.Toniolo su “Diffusione, uso, insidie dei social network”. Tra i giovani dai 20 ai 34 anni del campione intervistato il 28,5 per cento ammette di aver condiviso una notizia rivelatasi successivamente falsa.

 

 


Per combattere le fake news non servono bavagli o sofisticati software. Quello che ci può aiutare a distinguere il vero dal falso è un utilizzo consapevole del mezzo. La disinformazione è sempre esistita, ma oggi c’è la rete che moltiplica ogni cosa.
E se la false notizie riguardano la vita di una persona l’effetto è devastante. In questo caso occorre rendere sempre più efficaci le norme contro la diffamazione e punire i colpevoli. Diventa più complicato, invece, frenare il fenomeno delle bugie in rete quando ad essere colpiti non sono i singoli individui. E l’idea di limitare la libertà di espressione può addirittura essere controproducente. Per questo motivo, lo sosteniamo da tempo, diventa sempre più centrale il ruolo di chi fa il comunicatore per professione, come i giornalisti, capaci di separare le notizie vere da quelle inventate.


Occhio all’evoluzione della specie, dunque. Perché i social destinati a favorire l’aggregazione rischiano viceversa di alimentare la superficialità e di limitare la propensione al pensiero. E ogni conversazione, già ridotta a un semplice scambio di battute, può contribuire ad aumentare le distanze tra soggetti invece che ad avvicinarle. E non c’è modo migliore per diffondere le bufale. 

Antonio Pascotto

di Antonio PascottoGiornalista Caporedattore All news Mediaset, Tgcom 24.