L'arte e l'astrattismo in Italia: il viaggio artistico di Attilio Taverna attraverso lo "spaziotempo"
Curiosità, nascita, viaggio ed espressione di un artista italiano che non teme di essere copiato: …se qualcuno è in grado di fare quello che faccio io non ha bisogno di copiarmi...

L’arte non è ferma, anche l’arte rappresenta un viaggio nel momento in cui si interroga utilizzando il proprio potenziale di espressione senza mai giungere ad un punto fermo. Un viaggio astratto che non ha confini geografici per quanto percorra paesi diversi. L’astrattismo di Attilio Taverna è una dinamica rappresentanza dell’arte italiana in Europa ed oltreoceano. Dalla città di Bassano del Grappa, dove nasce nel 1945 e ancora oggi vive, l’artista procede con la sua ricerca, dalle mostre in Italia agli scambi avuti con la Germania e la Francia, al lavoro svolto negli Stati Uniti, alla notorietà acquisita in Canada ed in Australia. Il suo operare alimenta studi condotti dai dipartimenti scientifici ed artistici delle principali Università del mondo. Sulla scia delle avanguardie, la sua arte si avvale del bagaglio della scienza e delle acquisizioni della fisica quantistica del’900. Allora arte e scienza sono chiamate in causa per interagire. L’arte ha una tendenza a spingersi oltre. L’innovazione artistica consiste proprio nell’esprimere la relazione tra le ricerche effettuate in ambito matematico, fisico e meccanico in linguaggio artistico. Realizza opere che propongono ricerche sperimentali. All’interno di questa continua “esplorazione”, l’artista ha voluto concentrarsi sulla percezione della luce e sulla sua oggettivazione formale. Tutto questo studio ha portato all’ultima mostra FORME, LUCE E QUANTI che si è svolta a Padova. La luce è colta nelle sue possibili visualizzazioni come «….danza cosmica in cui essa fruisce e gode di sé, contemplando se stessa come un libero gioco in uno slancio creativo che si esplica inebriato di sé quasi si fosse al primo giorno della Creazione.» (Tito Perlini - Estetica - Università di Venezia). Carpendo qualche rivelazione aggiuntiva riguardo al suo lavoro di continua sperimentazione, ci mettiamo in viaggio “verso lo spaziotempo” insieme a questo singolare astrattista.
Come e quando ha avuto inizio il suo percorso di artista?
All’età di 5 anni, durante il primo giorno di scuola sapevo già leggere e scrivere. Ho visto un’immagine della battaglia tra Orazi e Curiazi e l’ho riprodotta in un disegno sulla lavagna. Ho cominciato subito a usare le mani con i segni anche se l’astrazione nasce in me a 22 anni. Alla Fiera campionaria di Milano ero stato assunto per tracciare sul terreno i limiti degli stand degli orafi di Valenza Po. Dipingevo nudi per i bistrot dei Navigli dove facevo qualche mostra. Al bar “Jamaica” di Brera ho capito che Fontana era di gran lunga “più fondamentale” di ciò che facevo io a quel tempo, perché la mia ignoranza artistica non mi permetteva di colmare l’abisso visivo aperto da un’arte astratta come la sua rispetto ad un’arte figurativa come la mia. Dovevo assolutamente capire la differenza di significazione artistico-filosofica tra le due, ormai ineludibile. Ho trascorso più di due anni all’Accademia di Venezia legati ancora alla pittura figurativa. Mi sono recato a Padova dal più importante filosofo dell’estetica italiana, Dino Formaggio, che mi ha trattato come un figlio. Nell’89 è seguita la mostra a Padova dedicatami dalla mia città di Bassano del Grappa dal titolo “De-costruzione” che è stata presentata e curata dallo stesso Formaggio.
La luce è sempre stata al centro delle sue opere. Cosa lo ha spinto a concentrarsi su questo elemento?
Partiamo dal fondamento del neoplasticismo di Mondrian, fortemente influenzato da un matematico, Lee Brower, che ha aperto un campo infinito al formalismo matematico ancor prima della teoria dei quanti. L’operazione estetico-visiva di Mondrian è un “cristallo-more geometrico” esteticamente costruito che è il disegno dell’equivalenza interiore ed esteriore del neoplasticismo. L’arte assieme alla scienza ed alla filosofia è una figura di verità e non può non fare i conti con la scienza. L’arte rappresenta un’interrogazione estetica che vuole e deve interrogare il reale. La luce, la sua natura formale è oggetto di questa interrogazione.
Come avviene il processo di realizzazione di un’opera?
E’ molto complesso. Utilizzo smalti oleosi, densi e malleabili. Dipingo per orizzontale e per fare ciò è necessario avere guadagnato una grande manualità. Non c’è acrilico ed ogni colore non è sovrapposto, la luce batte su ogni colore in modo diverso. Modifico i colori all’istante. Quando mi chiedono se temo di essere copiato rispondo che non è un problema perché se qualcuno è in grado di fare quello che faccio io non ha bisogno di copiarmi.
Quanto tempo impiega per realizzare un’opera?
Lavoro dalle 8 alle10 ore al giorno. Per realizzare un’opera impiego in media 2 settimane, ma per un quadro di 2 metri mi occorrono all’incirca 40 giorni.
Quanto passa dalla realizzazione di un’opera ad una mostra?
E’ il frutto di una dialettica della pensabilità che porto avanti con intellettuali, matematici, fisici e soprattutto filosofi dell’estetica. Conosco diversi pensatori con i quali scambio le mie opinioni ed i miei studi. Quando questi scambi divengono forti, allora pensiamo a delle operazioni culturali. Perché questo è quello che per me sono le mostre, quello che mi interessa che siano.
Quanto conta l’elemento del viaggio e della scoperta di nuovi luoghi?
Il viaggio aveva nell’800 una valenza di sublime, dove l’uomo era schiacciato dinnanzi alla grandezza della natura. I sublimi fisici della natura hanno tutti avuto la loro espressione nel romanticismo. Ma lo spazio/tempo è l’unico sublime al quale l’uomo non ha accesso, l’unico ad essere rimasto inesplorato. In prossimità delle singolarità dei corpi vi sono i così detti buchi neri, intrattabili matematicamente. Eppure l’arte riesce a cogliere alcune visioni dello spazio/tempo con un’astrazione visiva prodotta dalla pittura in cui si raccordano tutti i contenuti formali della matematica. L’arte compie un viaggio che consiste nell’interrogare la natura formale della luce. Non esiste un viaggio più bello di questo.
Si reca ripetutamente all’estero: in Francia, in Germania e negli Stai Uniti. Quanto ha contribuito nella sua ricerca il confronto con le realtà diverse che ha conosciuto?
Lo scambio è stato molto importante. Ho lavorato negli Sati Uniti tra New York e San Francisco, sono stato a Parigi per 7-8 mesi e poi a Milano per 10 anni. La curiosità che ora ho, partendo da quanto so e da quanto ho acquisito, è quella di capire fino in fondo la metafisica della luce dei sufi. Henry Corbin aveva affermato che l’Occidente è diventato tale quando è arrivata la luce dell’Oriente. I suoi libri trattano la metafisica della luce. E’ qualcosa pieno di una fantasia infinitamente magica, porta il pensiero della luce alla follia che c’è nella purezza della creazione, a quello che definiamo dionisiaco.
C’è un paese al quale si sente maggiormente legato, dove vorrebbe vivere?
Conosco bene la Francia e mi interessa molto come vita esistenziale. La mia arte riflette il concetto di viaggio senza riferirsi ad un singolo paese. Ho avuto tanti riconoscimenti ma sento il bisogno di continuare a viaggiare. Il mio viaggio non è legato alla “tèchne” ossia alla volontà di potenza, all’acquisizione di profitto ma alla ricerca. “La bellezza salverà il mondo” ha affermato Dostoevskij. Solo lei riesce a condurre l’uomo al ringraziamento del dono ricevuto: il mondo appunto.
Cosa ama di più dell’Italia e cosa vorrebbe vedere cambiato?
Amo la sua storia, il suo “giardino”, il suo essere patria di condottieri, navigatori, poeti, santi ed artisti. Tralascio i politici ed il Vaticano… Vorrei vedere cambiata la retribuzione della ricchezza e che si rafforzasse il senso civico della costituzione della “polis” come suggerito da Platone in “Res-publica” (cosa pubblica).
Può raccontarci le sue impressioni sulla sua ultima mostra?
Quando faccio una mostra il mio interesse non è commerciale. Ho detto ai miei due curatori che la pittura è del tutto inavvicinabile come oggetto di acquisto. Le mie esposizioni sono operazioni culturali e basta. Questo vuole dire che sto attento agli esiti culturali che ne derivano. Curo la didattica, misuro e cerco di capire quale sia la percezione e l’accettabilità della gente. Questa mostra ha portato allo sviluppo di contatti con Torino e con la Società della Fisica italiana.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Una mostra che si terrà a Torino e per il prossimo anno una serie di progetti su Roma.
Quale sarà la sua prossima “meta”?
Realizzare tanti brani pittorici di spaziotempo. Lasciare una traccia del sublime dello spaziotempo.
Visto che cerca la luce, da cosa viene “illuminato”?
La tensione nei confronti della verità alla quale più ci avviciniamo e più si fa distante. Lessing ha scritto di avere sognato di essere morto e di trovarsi davanti al Signore che era seduto dietro ad un tavolo con i due pugni chiusi. Nel pugno di destra teneva la verità, in quello di sinistra la tensione ad essa. Quando il Signore gli chiese che cosa preferisse, Lessing rispose di scegliere “la tensione per la verità” anziché il sicuro possesso di essa. Questo vuole dire che esiste una differenza profonda tra l’infinita ricerca libera della verità ed il dichiarato possesso di essa come dogma. »
Elena Rossi