Spettacolo

Attività, passività e nuovi linguaggi comunicativi sul web

Il testo scritto sopravvive, il timore degli editori era ed è quello di perdere il ruolo centrale avuto in questi anni all'interno della società.

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A margine di un convegno, durante il quale si discuteva dei pericoli della Rete, mi hanno fatto una domanda: è più pericolosa la televisione, con la sua fruizione passiva, o Internet, con la sua interattività? Ho atteso qualche secondo prima di rispondere. Nonostante io sia un autentico sostenitore delle nuove tecnologie, credo che anche la Rete debba essere usata con cautela, facendo attenzione alle insidie che si nascondono tra bit e algoritmi. Ma la riflessione su quello che viene definito il lato oscuro del Web ripropone un’altra questione dibattuta, quella sulla partecipazione del pubblico ai processi informativi.

Attività o passività sono termini che possono assumere diversi significati. Per qualcuno leggere il giornale o guardare la televisione è già un’attività. Basta leggere un articolo o guardare un video, alla televisione o su Internet, per diventare automaticamente un produttore di cultura. In pratica l’attività non riguarda solo l’interazione con i mezzi, come la possibilità di passare da un canale televisivo all’altro aprendo più finestre informative, o sfogliare un giornale digitale con il semplice tocco delle dita. Attività vuol dire partecipazione, collaborazione, manipolazione del messaggio a seconda di quale mezzo viene utilizzato.

Le forme di espressione cambiano rispetto agli strumenti. Redigere una lettera o un articolo con la penna o con il computer, o con la vecchia macchina per scrivere, non è la stessa cosa. Addirittura esiste un software con il quale è possibile tradurre il pensiero in scrittura, e anche in questo caso il risultato è diverso. Cambia il mezzo e cambia il testo. Provare per credere.

Per non parlare delle polemiche sollevate da più di uno studioso a proposito della scrittura elettronica, capace di influenzare, secondo le tesi più negative, sia la qualità della letteratura sia i contenuti ipertestuali che rimandano da una parte all’altra del web, disorientando chi legge. Ma è una questione di punti di vista, di cultura e di esperienza. Oggi, senza temere smentite, è possibile dire che c’è una generazione in grado di controllare i metalinguaggi delle macchine. E anche gli scrittori di una certa età possono esprimersi con criteri più vicini alla saggistica o, viceversa, al romanzo. Dipende da ciò che scrivono e con quale mezzo lo scrivono.

 



In un mondo digitale e crossmediale la scrittura continua a fare la sua parte. Il testo scritto sopravvive, perché gli strumenti influiscono sulla sua natura. E anche l’ipertesto contiene una serie di elementi che mettono l’individuo in relazione con altri mondi e culture. Attraverso il Web può affermarsi un nuovo tipo di editoria a uso individuale o di massa, ma con caratteristiche innovative e culturalmente diverse, forse più efficaci di quelle del passato.

È una questione di organizzazione, sul piano culturale e su quello pratico. Certo si corrono dei rischi, come quelli legati a un’eccessiva frammentazione delle informazioni, diventate un vero e proprio fiume in piena. L’eccesso di dati rischia di essere assorbito al di là della consapevolezza del singolo individuo, influendo sul senso del tempo e della storia.

Una delle novità nel cambiamento dei rapporti tra media e pubblico sono i pareri espressi alla fine di un articolo o di un filmato pubblicati sul web. Ad aprire la strada sono stati i blog: oggi i software prevedono in automatico lo spazio destinato agli eventuali commenti, catalogati per data e ora di pubblicazione.

I cosiddetti post sono diventati nel tempo più corposi, lunghi, veri e propri editoriali che da soli possono riempire un giornale digitale autoprodotto, facile da realizzare e da diffondere, grazie a tag, motori di ricerca e così via.

La tecnologia sviluppa l’individualismo, la creatività, l’informazione personalizzata. E’ tutto più semplice: in poco tempo si possono realizzare siti e blog per esprimere idee e concetti. Sembra questa la chiave d’interpretazione per spiegare il successo delle nuove piattaforme. Eppure l’esigenza di esprimersi attraverso i media non è uguale per tutti. E’ anche una questione di tempo. L’attività richiede concentrazione, creatività, ingegno, impiego di risorse. Ci sarà sempre chi, già stanco dopo una giornata di lavoro, non avrà nessuna voglia di interagire con pc o tablet e si siederà sul divano davanti alla tv, per vedere cosa passano i palinsesti. In questo caso l’unica attività è digitare i tasti del telecomando per andare da un canale all’altro o, ancora meglio, andare avanti e indietro con il tasto più e meno per fare zapping.

Attività o passività sono concetti relativi. Ci sarà sempre chi medierà al servizio degli altri per professione. Chiunque può comunicare, ma questo è un altro discorso. Indubbiamente la nascita del web favorisce una circolazione più libera delle informazioni, che sono a disposizione di un pubblico potenzialmente molto vasto. La stessa condivisione dei contenuti offre diverse opportunità, come quella di mettere a diretto contatto gli utenti, con passaggi istantanei, apparentemente senza nessun filtro. In realtà l’accesso alla rete e ai suoi servizi comporta una serie di operazioni: l’abbonamento a una compagnia telefonica, l’iscrizione con tanto di nome, cognome e indirizzo, l’installazione di programmi, l’aggiornamento continuo dei software, tariffe, licenze, diritti e molto altro.

Alla fine c’è sempre un controllo. La cosiddetta democratizzazione della rete passa attraverso le grandi aziende di telecomunicazione e quelle che producono software, computer, monitor, quelle che gestiscono i servizi online e quelle che si occupano della registrazione dei domini e dei server.

Detto questo, i vantaggi rispetto alla comunicazione di massa sono sotto gli occhi di tutti. Il timore degli editori era ed è quello di perdere il ruolo centrale avuto in questi anni all’interno della società, in un panorama dove ognuno è libero di scrivere articoli o realizzare servizi filmati. È una paura che nasconde la vera questione, quella della ridefinizione dei modelli informativi. Gli editori devono sapersi relazionare con le nuove culture. Poi ci sono i pericoli del Web, ma è un altro discorso.

Antonio Pascotto

Tags: web, tv, editoria
di Antonio PascottoGiornalista Caporedattore All news Mediaset, Tgcom 24.