Spettacolo

"1992" La criticata serie di Sky, Grandi difficoltà se i protagonisti fossero stati Craxi o Di Pietro... In Italia non si può fare

Intervista esclusiva alla sceneggiatrice. Come in un laboratorio abbiamo cercato di studiare il Big Bang della politica.

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Molti i Paesi che chiedono il progetto televisivo su Mani Pulite. Il mix tra realtà e personaggi di fantasia, la sfida lanciata da Sky a Rai, le reazioni dei politici dopo la messa in onda.

Sceneggiatrice per il cinema e la televisione, Ludovica Rampoldi per il grande schermo ha firmato soggetto e sceneggiatura de Il ragazzo invisibile (G. Salvatores 2014), La kryptonite nella borsa (I. Cotroneo 2011), Il gioiellino (A. Molaioli 2011), La doppia ora (G. Capotondi 2009) e ha collaborato al copione de La ragazza del lago.
Per la televisione ha lavorato all’adattamento italiano di In Treatment e a Gomorra – La serie.

Con Alessandro Fabbri e Stefano Sardo ha creato 1992, 10 puntate prodotte per Sky da Wildside con la collaborazione di La7. La prima fiction italiana sui 10 mesi cruciali di un anno simbolo nella nostra storia contemporanea.


Com’è nata l’idea di una serie sul 1992 e quando avete cominciato a lavorarci?

Siamo stati contattati da Lorenzo Mieli, il produttore di Wildside, che ci ha parlato di uno spunto che avevano avuto con Stefano Accorsi: raccontare una sorta di “peggio gioventù”, cioè vent’anni di cambiamenti nella politica, nel costume e nella società italiani dal punto di vista dei vincitori, gli uomini che dal nulla sono diventati i protagonisti della Seconda Repubblica.
A partire da questo input abbiamo capito che, per conciliare il racconto con il passo delle serie contemporanee, bisognava restringere il campo. Altrimenti si sarebbe fatta una saga. Quindi abbiamo scelto di concentrarci sul 1992, l’anno del Big Bang, la scintilla che ha fatto deflagrare la Prima Repubblica. Lo abbiamo affrontato come fosse un fenomeno da studiare in laboratorio: quei 10 mesi che poi hanno determinato il futuro, i vent’anni successivi, quello che siamo adesso. E abbiamo deciso di prendere in considerazione il periodo dal 17 febbraio 1992, cioè l’arresto di Mario Chiesa, al 15 dicembre dello stesso anno, giorno del primo avviso di garanzia a Craxi. Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2011.

 

Stefano Accorsi tra i protagonisti di 1992

Stefano Accorsi tra i protagonisti di 1992


Come avete gestito il lavoro di documentazione storica? Avete avuto dei consulenti?


Prima di scrivere abbiamo fatto un ampio lavoro di documentazione, coadiuvati da un giovane assistente, preziosissimo, che ha passato intere giornate murato in emeroteca a sfogliare i quotidiani e le riviste dell’epoca. Per poter ricostruire non solo i fatti storici ma anche le note di colore più strane, che magari sono entrati lateralmente nelle vicende.

 

Il pool investigativo della serie 1992

Il pool investigativo della serie 1992


Parallelamente abbiamo incontrato molti dei protagonisti dell’epoca, chiedendo loro, più che una cronistoria, una ricostruzione sentimentale del periodo. Era curioso perché negli occhi di tutti loro, qualunque fosse la loro fazione o arena politica, c’era lo scintillio di chi ricorda il periodo più bello della propria vita, del tipo “formidabili quegli anni”. Avevano vissuto un momento esaltante, c’era nell’aria la promessa di una rivoluzione, tutto sembrava sul punto di cambiare. Nuove energie si stavano sprigionando, il blocco di potere che per 50 anni aveva tenuto immobile il Paese stava lentamente sgretolandosi…


Chi sono i protagonisti che avete incontrato?

Per tutte le arene che abbiamo lambito con la nostra narrazione abbiamo incontrato dei protagonisti che ci hanno raccontato come funzionava. Per farti un esempio, abbiamo parlato con Giancarlo Pagliarini, Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica del primo governo Berlusconi tra il 1994 e il 1995, che ci ha raccontato come lui, solo pochissimi anni prima, faceva i bilanci di una fabbrichetta. Erano momenti in cui, se imbroccavi la corrente giusta, da persona esterna ai palazzi del potere ti ritrovavi improvvisamente nella stanza dei bottoni.

Vista la materia molto complessa e la mole di documenti che avete dovuto affrontare, che tipo di approccio narrativo ai fatti storici avete deciso di adottare?

Abbiamo cercato un equilibrio tra il rispetto filologico dei fatti storici e il necessario tradimento per romanzarli. La formula è stata quella del romanzo storico, dove a personaggi reali si affiancano personaggi di finzione. Quindi da una parte abbiamo mantenuto un rigore filologico rispetto a date ed eventi, dall’altra invece ci siamo concessi un po’ di libertà per far entrare i nostri personaggi di fantasia in quelle vicende.

 

Miriam Leone in una scena di 1992
 

A proposito di questo mix tra realtà e personaggi di fantasia, sembra abbiate operato un ribaltamento tra protagonisti e coprotagonisti, rendendo protagonisti della serie coloro che in quegli anni erano stati personaggi secondari: un Di Pietro c’è ma non nella veste di superstar dell’inchiesta; Dell’Utri, Berlusconi e Bossi sembrano quasi delle comparse.

Abbiamo ribaltato il punto di vista. Non raccontiamo quello dei protagonisti realmente esistiti, ma quello di personaggi di finzione che si trovano ad agire a fianco di quelli storici. Abbiamo spostato il fuoco mettendo in primo piano le comparse della Storia. Questo anche perché raccontare il vissuto di personaggi reali ti priva inevitabilmente di molta libertà. Volevamo dei personaggi che fossero appassionanti perché ambigui, e abbiamo pensato perciò di far emergere i personaggi di finzione.

 


Fotogramma iniziale della serie 1992
 

Oltre a motivi narrativi ci sono stati anche motivi legali?

No, è stata una scelta narrativa, non è nata da un’esigenza legale. Sapendo comunque da subito che qualora avessimo fatto una storia in cui protagonista fosse Di Pietro o Craxi avremmo avuto grandi difficoltà a raccontarne il vissuto, il privato, perché in Italia non si può fare.

Quali sono state le maggiori difficoltà nelle quali vi siete imbattuti durante la lavorazione?

Innanzitutto è stato un processo lungo, perché ha richiesto un grande lavoro di documentazione. Poi è una serie corale senza un’arena precisa – l’arena è la politica italiana. Inoltre l’incastro tra le storie di finzione e la Storia, in cui quest’ultima non fosse soltanto un fondale neutro ma in qualche modo vibrasse tematicamente con le vicende dei protagonisti, ha richiesto un lavoro di scrittura molto complesso.

 

Tea Falco e Stefano Accorsi in una scena di 1992
 

Con Alessandro Fabbri e Stefano Sardo avete lavorato nel tempo a diversi progetti e siete ormai un terzetto di sceneggiatori molto affiatato. In 1992 però non vi siete limitati alla scrittura dei copioni, ma siete stati dei veri e propri creatori di serie, quasi degli showrunner, come si direbbe negli Stati Uniti. Che tipo di esperienza è stata?

“Creatori” è un termine che contrattualmente in Italia non vuole dire molto. Quello che è il “created by” altrove, in Italia è poco riconosciuto. Però diciamo che, nell’emulazione di quel processo che mette il creatore della serie al centro del processo produttivo, questo è stato un bel passo avanti. Non so se siamo stati il primo caso, forse no, ma sicuramente uno dei primi.
Abbiamo partecipato attivamente alla scelta del regista: abbiamo suggerito Giuseppe Gagliardi che aveva lavorato con Stefano e di cui conoscevamo il lavoro. E così anche il regista di seconda unità, Gianluca Jodice. Abbiamo partecipato con loro e con la produzione ai casting degli attori ed eravamo sempre presenti sul set.
Lo showrunner di una serie americana ha molti più poteri rispetto a quelli che abbiamo avuto noi: decide come allocare il budget e ha il final cut (la scelta della versione definitiva del film nda). In Italia è più facile che sia un regista ad avere un trattamento simile a quello dello showrunner, usare questo termine nel nostro caso sarebbe ancora improprio.

 

(da sinistra) Stefano Sardo, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Giuseppe Gagliardi
 

Come mai avete fatto questa scelta, che comporta delle grandi responsabilità in più, e come avete fatto a ottenere questo ruolo?

L’abbiamo chiesto e dall’altra parte non abbiamo trovato un’opposizione. Sia Sky sia Wildside si sono dimostrati da subito soggetti molto aperti a intraprendere questo tipo di percorso: hanno convenuto sul fatto che lo sceneggiatore sul set, o che partecipa al processo produttivo, è una risorsa e non un peso.

Che tipo di esperienza è stata quella di avere anche l’onere di far funzionare una serie e di curarla in modo così approfondito?

È stato sicuramente molto faticoso, ma anche esaltante, perché quello che era il nostro sguardo sulla serie è stato mantenuto. C’era grande sintonia con il regista, che non ci vedeva come degli invasori. Abbiamo lavorato insieme molto bene, permettendo anche a lui di potersi dedicare di più al proprio ruolo.

 

Dal set della serie 1992
 

E il rapporto con gli altri membri della troupe, che immagino non fossero abituati a vedervi in sala di montaggio oppure sul set, com’è stato?

È stato ottimo. Lo so che possono sembrare le solite cose dette e ridette, “c’era un bellissimo rapporto sul set, eravamo una squadra, è stato fantastico”… però è stato così. Tutti gli elementi della troupe, dal direttore della fotografia alla scenografa al costumista, sono professionisti giovani e motivati, allineati su un’unica visione. La nostra presenza sul set consentiva anche ai reparti di rivolgersi a noi per le questioni più noiose, in modo da sollevare il regista. Il montaggio, curato da Francesca Calvelli, è stato seguito più che altro da Gagliardi e Claudio Corbucci, produttore creativo Wildside.

1992 in Italia ha avuto un esordio molto forte, un boom di ascolti, superiori anche a quelli di Gomorra – la serie. Nonostante si parli di storie e mondi profondamente italiani, ha debuttato contemporaneamente anche in Gran Bretagna, Germania, Irlanda e Austria. Com’è stato accolto all’estero?

Abbiamo avuto ottime critiche dal Guardian, dall’Hollywood Reporter, dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung. È stato acquistato da HBO Nordic per i paesi scandinavi, uscirà anche in Spagna e in Francia … direi quindi che sta andando più che bene. All’inizio pensavamo che l’eccessiva italianità della vicenda potesse essere un ostacolo alla comprensione estera, invece già l’accoglienza ricevuta al Festival di Berlino ci ha dimostrato come il nostro fosse un falso problema.

In Italia quali sono state le reazioni di chi si è visto rappresentato nella serie?

Ci sono state un po’ di reazioni incattivite di craxiani, com’era comprensibile. Anche se la serie non è assolutamente manichea. Insomma giudicare una serie dopo due episodi è un po’ come giudicare un film dopo 10 minuti: sarebbe meglio aspettare come va a finire prima di farsi un’opinione sul suo eventuale taglio politico o ideologico.
Sicuramente se n’è parlato tanto e questo ci ha fatto molto piacere. Di Pietro so che ha detto che aspetta di vedere il seguito, e che sulla Milano da bere siamo stati fedeli: “ora andiamo avanti per vedere come se la sono bevuta”, ha detto usando il suo linguaggio efficace.

 

Miriam Leone e Stefano Accorsi in 1992
 

Cosa puoi dirmi del fatto che Mario Chiesa aveva sporto denuncia per diffamazione e diffida a Sky dal non mandare in onda 1992, in particolare a causa della scena iniziale in cui le banconote di una tangente vengono gettate nel wc?

So solo che poi ha cambiato idea. Quella immagine l’abbiamo trovata nelle dichiarazioni dello stesso Chiesa a Di Pietro, non ce la siamo inventata.

Parlando di futuro della serialità italiana, si sente dire sempre più spesso che “dopo Gomorra le serie italiane non saranno più lo stesso”. 1992 sembra confermarlo. Tu hai lavorato alla scrittura di entrambe le serie, secondo te quali sono stati i principali elementi d’innovazione?

Credo che Sky abbia sparigliato le carte e abbia portato una ventata d’aria fresca, che chiama ora alla sfida anche gli altri player. Mi sembra che la Rai abbia recepito questa sfida, e che stia cercando di giocare su prodotti anche più sperimentali e linee editoriali diverse. L’avvento di Sky potrebbe aver spezzato quell’immobilismo che c’è stato per tanti anni nella fiction italiana, che nel momento in cui doveva solo inseguire grandi numeri si è adagiata un po’ su formule già viste. Ora si cominceranno forse a produrre anche progetti per pubblici diversi.

Secondo te ci stiamo avvicinando a un tipo di “macchina produttiva” più intelligente rispetto al passato?

Questo è da vedere, però sicuramente ce lo auguriamo tutti. Poi è come la ricerca scientifica: devi finanziare 100 per avere qualcosa di buono, anche solo 1 o 2. Bisogna cominciare a investire sulle idee.

Prima di avvicinarti alla serialità televisiva hai lavorato a film per il grande schermo. Quali sono secondo te le principali differenze tra scrivere un film per il cinema e scrivere una serie per la tv?

Credo che scrivere una serie per la tv sia uno sforzo atletico molto più impegnativo. Ti costringe a pensare soprattutto personaggi che abbiano benzina narrativa per produrre storie replicabili tendenzialmente all’infinito. Per il resto, il tipo di scrittura, di approccio, di lavoro che noi facciamo è assolutamente identico.
Sicuramente abbiamo come trio l’ambizione di rifarci a generi che forse non sono molto praticati in Italia, ma che noi amiamo e che ci piace esplorare.


Avete delle serie o degli autori di riferimento?

Una serie che per esempio ci è stata molto utile per 1992, più che la tanto citata House of Cards - che quando abbiamo iniziato a scrivere non avevamo visto perché era il 2011 - è stata Boss creata da Farhad Safinia, i cui primi due episodi sono stati diretti da Gus Van Sant che ne è il produttore creativo. È una serie su un sindaco di Boston, cattivissimo, shakespeariano, che fa qualunque cosa per rimanere al potere. È stato per noi un punto di riferimento sia da un punto di vista narrativo che di messa in scena.

 



È vero che siete già al lavoro su “1993”?

Abbiamo pensato la serie come qualcosa che possa andare avanti, che non si esaurisca. Quindi nella nostra testa esiste. Poi ci sono talmente tante variabili che… chi può dirlo.

Stai lavorando anche ad altri progetti?

Diciamo che adesso sono sulla scia dei sequel. Sto lavorando con gli altri miei colleghi a Gomorra 2 e a Il ragazzo invisibile 2. E poi al cinema ho scritto con Francesco Bruni il nuovo film di Andrea Molaioli, tratto da “Tutto per una ragazza” di Nick Hornby, che si girerà dopo l’estate.

Quasi tutto quello che hai realizzato finora sembra portare con sé una vena noir. Cosa ti spinge verso questo genere e finora come sei riuscita a inserirlo nei vari progetti?

Credo che il noir sia il genere capace di veicolare più di tanti altri inquietudini che animano noi e il contemporaneo. E anche quello più adatto a raccontare personaggi tormentati, divisi in due, con forti conflitti interiori.

Un altro elemento comune a molti film che hai scritto sembra essere l’attenzione all’attualità.

Mi piacciono le storie che in qualche modo si rifanno alla cronaca perché spesso superano qualsiasi fantasia. Mi ricordo ad esempio che, quando abbiamo scritto Il gioiellino sul caso Parmalat, ci siamo imbattuti in personaggi e vicende che nascondevano doppi fondi e ritratti di un’umanità affascinantissima, che immaginare a tavolino sarebbe stato impossibile.

È anche un modo per avvicinare il grande pubblico all’attualità giudiziaria?


Ma no, perché in realtà la maggior parte delle persone è morbosamente attratta dalla cronaca. E io sono una di queste.

Valentina Leotta

di Valentina LeottaSceneggiatrice, ha svolto un dottorato di ricerca in film studies presso l’Università di Roma “Sapienza”.