Spettacolo

Lo chef Ernesto Iaccarino ci spiega il «prodotto» come futuro della cucina. Il caffè, la mozzarella non sono nati in Italia ma ci rappresentano nel mondo

La pasta « amatriciana » ha ammaliato tutti i 195 chef stelle Michelin, simbolo di un Italia imbattibile.

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Una volta, neanche tanto tempo fa, se volevi intervistare e fare due chiacchere con un grande cuoco bastava una telefonata e si combinava l’incontro, magari insieme a tavola per provare un nuovo piatto, o solo con un buon bicchiere di vino in mano, filosofeggiando sul costume o su come cambiano i tempi a tavola.
Ma ora che sono « chef » e « star » dei fornelli è diventato tutto più complicato. Per mancanza di tempo dicono…(anche se a volte alcuni se la tirano). I big, poi, sono sempre in giro per grandi eventi e congressi sul food e spesso all’opera, nelle cucine di grandi hotel, o di prestigiosi ristoranti per stupire i palati dei gourmet di tutto il mondo. Insomma, dei « glober trotter » che « giocano » con pentole e tecniche per esaltare un piatto, magari composto solo di verdure dai diversi colori, con una spruzzata di Aria d’aceto…

Con Ernesto Iaccarino però è stato semplice. L’ho placcato nella cucina del suo ristorante a Santagata dei due Golfi, appena rientrato da un importante raduno di chef stellati in Olanda.
A fine serata, verso mezzanotte, tolto la prestigiosa « Toque blanche » (cappello) e grembiule, mi raggiunge per l’intervista.


Amico mio rilassati hai una vita frenetica, senza un attimo di tregua.
Sei rientrato dall’Olanda per un incontro internazionale di chef, Di cosa si è trattato?


Si è tenuto il Congresso dei Giovani Ristoratori al quale hanno partecipato 280 membri provenienti da tutta Europa. Si tratta di un’associazione presente in 12 Paesi europei che comprende giovani tra 35 e 46 anni.
All’interno della nostra associazione abbiamo affrontato temi piuttosto interessanti per gettare le basi di quella che dovrebbe essere la ristorazione del futuro. Uno dei temi principali del convegno è stato quello degli ingredienti per capire da dove viene il prodotto e conoscere direttamente il produttore. Anche il Direttore generale della Guida Michelin, Michael Ellis, nel suo intervento, ha detto che per la Michelin diventa sempre più centrale il ruolo del prodotto e che maggiormente interessanti diventano quei cuochi che impiegano materie prime straordinarie fondendo tecniche diverse.


Il congresso ha prodotto novità interessanti da poter raccontare?

La novità è proprio quella della bontà del prodotto. Per la cucina italiana questo è sempre stato vero, ma è necessario farlo entrare anche nella testa di francesi, olandesi, tedeschi. E non è una cosa scontata. Oggi abbiamo messo al centro del progetto europeo - attenzione, non italiano ma europeo - il prodotto ed è stata una vittoria dell’Italia perché sui prodotti l’Italia è una delle nazioni più forti.

 

 

Per cui cambia anche la cucina degli altri Paesi se usano prodotti genuini?

Infatti, il tema era andare più in profondità sui prodotti che si usano di tutti i Paesi. E’ fondamentale capire chi produce, dove produce e come si produce e, adesso, questo requisito si sta imponendo in maniera forte anche in Europa.
Prima era una caratteristica quasi soltanto italiana e siamo orgogliosi di portare la nostra cultura del cibo in giro per l’Europa. Per esempio, nei grandi ristoranti europei la cucina molecolare aveva una grande influenza e le tecniche erano esasperate. Oggi, si comincia a dire che non è più così importante la tecnica ma lo è di più il prodotto. Per l’Italia questo è sempre stato vero ma non lo era in altre nazioni.


Ma la tua vita privata?

La mia vita privata è quella pubblica. I miei amici sono quelli che incontro al ristorante, perché vivo in modo totale la realtà aziendale.
D’altra parte se ogni lunedì e martedì, che sono i giorni di chiusura del locale, vai a fare un evento, sei in giro per il mondo a fare congressi e cose del genere, la tua vita privata si restringe ma la tua vita pubblica è talmente ampia che diventa la tua vita privata : a me non pesa. A volte vedi un Paese in un giorno e mezzo, fai tremila cose, vedi aeroporti, fai congressi, cucini, torni in Italia, e riparti in cucina.
Diciamo che è una vita interessante.


Cosa avresti voluto fare se non avessi fatto il cuoco?

Io sono uno sportivo e mi piace giocare a calcio, tennis e tanti altri sport. Così, se non avessi fatto il cuoco avrei fatto sicuramente uno sport professionale.

E’ stata l’influenza di tuo padre a farti scegliere questa professione?

No, anzi, il « Don Alfonso » è il posto della libertà. Mio fratello aveva fatto tutti gli studi per la cucina, scuola alberghiera e stage in giro per il mondo. Ha preferito passare in sala, proprio perché è stata una scelta libera. Io, che mi ero laureato in economia, ho scelto invece questa professione perché mi piace moltissimo il cibo.

 

Alfonso Iaccarino con i figli Mario ed Ernesto

Ci sono dei talenti che devono ancora uscire alla ribalta e ai quali affidare la cucina del futuro?

In Italia ci sono molti ragazzi sotto i trent’anni che stanno facendo molto bene. Ne conosco parecchi e mi sembra riduttivo fare un nome solo.

Su cosa puntano questi nuovi chef per diversificare il tracciato della cucina?

Sulla grande materia prima, su una tecnica e un design del piatto affascinante, su una precisione delle cotture. Un insieme di elementi. In Italia succede abbastanza spesso di esprimere la propria cultura nel piatto, la cultura di una zona, di una terra.

E in Europa?

In Europa c’è stata la forte influenza della cucina molecolare, soprattutto in Belgio e Olanda. Un po’ meno In Francia perché quella cucina ha la sua cultura e la sua storia. Ora, però, c’è una riscoperta delle identità locali senza l’esasperazione delle tecniche.
Al congresso c’erano 195 stelle Michelin e io dovevo fare un piatto di pasta per rappresentare la nostra storia e ho pensato che la pasta all’amatriciana poteva essere il piatto più facilmente comprensibile a livello europeo. Vi erano piatti di livello assoluto, considerato anche che loro giocavano in casa : erano in cucina da due giorni con tutte sfere, sferette, tagli perfetti, tremila cose nel piatto. Beh, sono impazziti su una amatriciana che, se fatta bene, diventa un piatto quasi imbattibile.


Tecniche, tecniche, tecniche. Cosa lascerà l’attuale cucina ai posteri?

La cucina italiana non si è mai fatta troppo influenzare da quello che è stato il fenomeno mondiale di tendenza. Sono contento perché anche l’Europa sta finalmente andando verso un maggior rigore senza l’esasperazione delle tecniche. Secondo me, il bello della cucina è la capacità di creare abbinamenti che lascino impresso nella memoria un sapore indimenticabile. Se esasperi troppo le tecniche per creare un design spettacolare, poi perdi di vista il gusto. Ecco, credo che oggi si stia andando verso un maggiore equilibrio.

 

 

A questa stessa domanda un grande chef francese, Yannick Alléno, mi ha risposto che il futuro deve ancora arrivare. Sei anche tu di questo parere?

Penso che la cucina del futuro sia già oggi. La questione è che la cucina è qualcosa di vivo, che non possiamo imbrigliare in regole come per esempio il chilometro zero o zero mais, o altro.
C’è una evoluzione e contaminazione in atto che, per fortuna, non si deve e non si può fermare e il risultato più grande che puoi avere da una contaminazione è quando questa diventa la tradizione di un posto.


Per cui sei d’accordo con le contaminazioni che arrivano dall’estero?

Sì, se c’è equilibrio. Ricordiamo che tre prodotti fondamentali della cucina italiana, il caffè espresso, la mozzarella e la pasta, sono frutto di contaminazioni e oggi sono tradizioni storiche. Prendiamo il caffè. La pianta originaria veniva dal centro Africa ; ha trovato la massima espressione produttiva in centro e sud America ; in Italia ha trovato mani sagge che hanno tostato il chicco in modo straordinario. Aggiungi la tecnologia per fare l’espresso e ottieni un prodotto diventato un simbolo dell’Italia. Il caffè è frutto di una contaminazione allucinante : noi non lo produciamo eppure è diventato un elemento imprescindibile della tradizione italiana.
La mozzarella di bufala in Campania non esisteva. La bufala è arrivata probabilmente attraverso la conquista di Annibale che poi nella ritirata ha lasciato il bestiame nella zona di Capua. Per non parlare del pomodoro che prima della scoperta dell’America non esisteva. Per non parlare della pasta che invece rappresenta forse un tipo di contaminazione esportata. Le prime testimonianze risalgono a due secoli prima di Cristo : la popolazione romana metteva nelle zuppe sfoglie di pasta secca poi, verso il mille, gli italiani che percorrevano la via della seta diffusero l’uso della pasta nei luoghi lungo il percorso.


Mi fai l’elenco delle cucine che, secondo te, sono le più importanti al mondo?

Le cucine cinese, giapponese, indiana, Italiana.
In particolare, la cucina indiana moderna esprime un’eleganza e una piacevolezza che rappresenta una interessante novità per noi.


Non hai citato la cucina francese

E’ scontato citarla perché la cucina francese ha fatto la storia degli ultimi due secoli.

 

 

Il successo di un tuo collega ti crea disagio, un po’ d’invidia, o ti fa piacere?

Mi fa piacere perché io adoro il bello e qualsiasi cosa di bello che c’è intorno mi mette gioia.

Voi siete dieci chef che rappresentate oggi un punto di riferimento della cucina italiana. Come vi confrontate e, se qualcuno lancia un’idea, come la percorrete?

All’interno di una associazione come i giovani ristoratori d’Europa il confronto è fondamentale perché ti fa crescere. A volte perfino su delle banalità il confronto aiuta a risolvere dei problemi, a far emergere delle intuizioni.
E la creatività e l’innovazione non si fermano al cucinare. Per esempio, il congresso di cui parliamo si è tenuto in una chiesa, la cena di gala in una industria che è stata recuperata e portata alla ristorazione, con un piano bar, musica dal vivo. La colazione si è svolta nel refettorio di una cattedrale : tanta energia e creatività che evidenziano quanta voglia c’è di ragionare sulle cose.


Una cosa molto interessante e bella perché non si ferma solo alla costruzione di un piatto ma riguarda anche la divulgazione della cultura di un piatto attraverso l’aggregazione.

Mi piacerebbe sentire una tua opinione sui giovani che si sentono arrivati. Magari conquistano una stella Michelin, ma poi non esprimono più diversità, né un’idea originale. Nella costruzione hanno qualcosa da dire ma nel momento in cui arrivano si omologano tutti quanti.


In effetti, è un po’ vero che c’è una omologazione sui prodotti e che si deve andare oltre. Anche Micheal Ellis, nel suo intervento al congresso, ha detto basta con il fois gras, con il caviale.
Se anche chi ha un ruolo giudicante dice cose come queste vuol dire che veramente è tempo di abbandonare questi prodotti « pregiati » che oggi trovi dappertutto (qui da noi sono banditi). Ci sono prodotti più poveri con i quali si possono fare grandi piatti da ricordare per tutta la vita.

 

 

Ben vengano quindi nuove idee, nuove culture, ma come dicevi tu, bisogna lavorare sul prodotto che fa bene. Mi sembra che l’ultima frontiera sia quella di far mangiare per far star bene la gente?

L’altro tema fondamentale del congresso è stato appunto mangiare bene per combattere l’obesità del mondo, che sta crescendo, per combattere malattie come i tumori e malattie cardiovascolari. La cucina dei grandi cuochi deve essere questo e fortunatamente in Italia c’è già una grande presa di coscienza su questi temi.


Di sicuro Ernesto Iaccarino avrebbe potuto avere altri ruoli e successo nella vita: bello, intelligente, un fisico da sportivo e un portamento da gentleman, ma con un’aria da « mascalzone latino » che piace tanto alle donne, e quella grande dote che è il contrario dell’arroganza: l’umiltà che gli hanno inculcato la mamma, Livia, e il padre, il grande e storico Don Alfonso uno dei padri della grande cucina italiana riconosciuto in tutto il globo.
E se Ernesto continua a fare grande la cucina, Mario, il fratello, è il grande comunicatore in sala. I suoi consigli sul percorso gastronomico da intraprendere, regalati con un gran sorriso e senso dell’humor, possono ammaliare e far felici anche i più coriacei clienti arrivati dal freddo.

Insomma, la « Don Alfonso Family » è una bellissima e orgogliosa realtà italiana.

Jerry Bortolan

di Jerry BortolanReporter, giornalista di viaggio ed enogastronomico.