La scimmia in redazione. Arrivano i robot “al posto” dei giornalisti, in Giappone i robot industriali sono già 310.000
Articoli “robot” migliori di altri scritti da giornalisti uomini. Le informazioni di cui la macchina viene dotata, tra algoritmi e dati, consentono al software di realizzare articoli godibili.
Ci risiamo. Ancora una volta si parla di robot, di macchine che sostituiscono l’uomo. Oggi l’intelligenza artificiale sembra prevalere anche in quei settori dove l’impresa risulta più difficile. Il giornalismo, ad esempio. L’ultimo software in ordine di tempo si chiama Wordsmith. E’ stato messo a punto da una compagnia, quella sì formata da uomini, che si chiama Automated Insights. Le sue applicazioni sono molteplici. Si passa dagli articoli economici, veri e propri report con tanto di dati, statistiche, previsioni e grafica, ai servizi sportivi. Anche quelli molto dettagliati. Il commento di una partita di calcio, ad esempio, comprende gli autori dei goal, i relativi minuti, le azioni salienti, i migliori in campo e via dicendo.
Si tratta di una tecnologia sofisticata, già utilizzata in tempi non recentissimi per la realizzazione di archivi e data base. Oggi si è ulteriormente evoluta, e grazie al lavoro di una cinquantina di persone, ingegneri e sviluppatori in particolare, ha raggiunto livelli apprezzabili. In questi mesi il programma viene testato da redazioni collaudate come quella di Associated Press e di Yahoo.
Sarà la fine del giornalismo come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi? Un interrogativo sul quale torneremo tra poco.
Wordsmith è un software potente. Basta caricare una serie di dati e subito il programma li analizza e li trasforma in articolo. Ad una prima lettura non ci sono molte differenze tra un pezzo “scritto” dal robot e quello scritto da un vero giornalista. Anche la grammatica viene in qualche modo rispettata. Tuttavia c’è bisogno dell’apporto umano per personalizzare il servizio. E’ più semplice, invece, l’utilizzo per report sportivi e finanziari o per descrivere le previsioni del tempo e la situazione del traffico, con relative informazioni su rallentamenti, ingorghi e percorsi alternativi.
Wordsmith non è il primo robot giornalista di cui si sente parlare. Qualche tempo fa un altro veloce programma seminò il panico in tutte le redazioni. Il suo nome è Stats Monkey, che significa Scimmia delle statistiche.
Statistiche, appunto. Perché anche in questo caso il software viene impiegato soprattutto per la realizzazione di articoli sportivi, dove la presenza di numeri e statistiche è numerosa. Stats Monkey è stato ben descritto da Nicola Bruno e Raffaele Mastrolonardo in un libro intitolato proprio La scimmia che vinse il pulitzer. Nel lavoro attento e puntiglioso dei due giornalisti, cronisti in carne e ossa, la redazione della Scimmia viene paragonata a un luogo disumano dove bisogna addentrarsi per capire se davvero un giorno i robot prenderanno il posto dei giornalisti nelle stanze dove si preparano giornali, telegiornali e siti d’informazione. Insomma, un luogo che non ha proprio nulla a che fare con le redazioni, piuttosto un susseguirsi di laboratori e server con megacomputer e monitor su cui scorrono codici e formule matematiche.
Nel volume vengono messi a confronto una serie di articoli scritti da giornalisti veri con alcuni realizzati da Stats Monkey. Ad una prima lettura le differenze non si notano. Bisogna rileggere più volte i testi per capire che la macchina è perfetta ma fino a un certo punto. Scrive bene la Scimmia, certo. Addirittura molti dei suoi articoli sono migliori di altri scritti da giornalisti uomini. E il risultato finale è anche soddisfacente. Le informazioni di cui la macchina viene dotata, tra algoritmi e dati, consentono al software di realizzare articoli godibili. Ma l’insieme di algoritmi non riuscirà mai a fornire quei dettagli che rendono emozionante un racconto, quei particolari che arricchiscono il testo e che sono la parte più emotiva, e per questo interessante, della cronaca di un avvenimento. Prendiamo ad esempio una partita di calcio o comunque una gara sportiva. L’occhio del reporter è indispensabile per cogliere lo sguardo dell’atleta, la sua voglia di vincere, gli umori della platea.
Certo, i maghi dell’intelligenza artificiale fanno il possibile per rendere le macchine, i robot, identici a noi. Sono stati fatti molti passi avanti dai primi personal computer. Oggi abbiamo a disposizione apparecchi mobili che ci seguono ovunque. Siamo connessi 24 ore su 24. Smartphone e tablet offrono molteplici opportunità. Entro breve tempo robot umanoidi assisteranno gli uomini e faranno per loro cose un tempo impensabili. In Giappone i robot industriali sono già 310mila. Negli Stati Uniti poco meno della metà. Dobbiamo abituarci all’idea.
Ma torniamo all’interrogativo posto poco prima. Riusciranno le macchine, i robot, a sostituire i giornalisti nelle redazioni? Il dibattito è aperto da tempo.
Uno dei primi a parlare della fine del giornalismo tradizionale è stato Philip Meyer, studioso dell’editoria americana. Secondo le sue previsioni l’ultima copia del New York Times su carta sarà acquistata nel 2043. In effetti qualche problema lo storico quotidiano lo ha già avuto, tra calo di vendite ed esuberi. Poi le difficoltà per sostenere i costi della imponente sede di Times Square e la necessità di trasferire a Londra molti dei suoi collaboratori. Tuttavia negli ultimi tempi le cose vanno un po’ meglio, e il quotidiano ha aumentato il numero di copie vendute. Naturalmente tutti gli sforzi sono ora concentrati sulla versione online del giornale, con articoli, approfondimenti e aggiornamenti in tempo reale.
E’ proprio questo il punto. Il giornalismo si salverà con il giornalismo stesso, ma adeguandosi ai tempi. Nell’epoca dei tweet c’è ancora spazio per fare buona informazione attraverso inchieste, report, interviste e servizi speciali. In diretta o in differita l’informazione non morirà mai. Si tratta solo di sfruttare le nuove tecnologie e metterle al servizio delle redazioni. Prendendo spunto da un lavoro non troppo recente ma sempre attuale di Massimo Gaggi e Marco Baldazzi, autori del volume L’ultima notizia.
Dalla crisi degli imperi di carta al paradosso dell’era di vetro, la domanda è: stiamo costruendo l’informazione senza carta o il giornalismo senza informazione? Quello dei giornali è un valore aggiunto rispetto al flusso d’informazione che ci sommerge a tutte le ore. E’ difficile stabilire con certezza, come ha fatto Philip Meyer, quando uscirà l’ultima copia del New York Times su carta stampata. Di sicuro per molti anni ancora i giornali continueranno a essere un punto di riferimento.
Stiamo migrando verso un nuovo modo di essere e di agire, piegando regole e coltivando speranze. Ci lasciamo alle spalle un contesto più lento, generalizzato, dove il governo delle cose era monopolizzato da un sistema statico, dove gli strumenti a disposizione per comunicare non potevano essere utilizzati da tutti. Oggi il sistema dell’informazione sta cambiando, e siamo solo agli inizi. Ma in un’epoca di grandi trasformazioni non è possibile credere che le cose succedano da sole. Cambiano i media, si trasformano, si moltiplicano le piattaforme, ma quello che chiedono lettori e telespettatori sono sempre le notizie. Il giornalismo deve ripartire da sé stesso.
Magari sostenuto dalla tecnologia e da una Scimmia in redazione. Brava, diligente, ma con un limite, quello di non saper pensare. E non è poco.
Antonio Pascotto