Spettacolo

"E' arrivata la felicità", dettagli della serie e del mestiere da un giovane attore emergente

Angelo Monacelli si racconta con la fiction di Rai 1. In tv neomelodico, dal vero appassionato di rock. La felicità non è una condizione statica ma dinamica.

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E' un giovane attore affascinante Angelo Monacelli, ma non ha fatto della bellezza la sua cifra artistica e stilistica, anzi: si può dire che nel  debutto nella lunga serialità targata Raiuno, E’ arrivata la felicità, è partito da dove molti attori giovani come lui sono arrivati come punto d’approdo interpretativo: dal talento declinato all’originalità della performance; dalla simpatia che accattiva decisamente di più della bellezza; dalla versatilità che rende un personaggio del piccolo schermo decisamente più plastico e poliedrico e, soprattutto, dall’autoironia che avvicina al pubblico e lo conquista. E’ un talento emergente, certo, ma in quanto a sicurezza davanti alla macchina da presa e peculiarità d’approccio non ha nulla da invidiare a diversi colleghi appena più maturi e incontrati, appunto, sul set della fortunata fiction di Raiuno: di questo, e di altro, dunque, abbiamo parlato proprio con lui, Angelo Monacelli, il divertente Tony Baby di “E’ arrivata la felicità”.

 

Finora ci siamo azzardati in descrizioni e commenti, ma lei, che con il suo personaggio nella fiction ha conquistato il pubblico delle famiglie – e delle ragazze – fedeli alla rete ammiraglia Rai, come si descriverebbe?


Come un ragazzo semplice, profondamente attaccato alla famiglia e alle mie radici partenopee, e con un grande sogno nel cuore, da sempre: la recitazione. Un sogno a cui ho cominciato a provare a dare forma a partire dalla fine della scuola, quando ho capito che dovevo cominciare a lavorare con concretezza alla sua realizzazione. Per questo ho deciso di iniziare a studiare recitazione e di trasferirmi a Roma, dove attualmente vivo e lavoro. Per il resto, posso dire di essere un ragazzo che ha sempre avuto voglia di esprimersi, di dire la sua, ma che ha anche sempre voluto ascoltare, imparare dagli altri, scoprire e curiosare, aprirsi e immedesimarsi in vita, morte e miracoli degli altri. Tutto questo mi ha portato a recitare e a portare in scena prima di tutto me stesso e ad avere la possibilità di vivere anche altre vite ed esperienze che non potrei mai conoscere da vicino altrimenti.

 

Scontato chiederle dei ruoli che le piacerebbe interpretare nell’immediato futuro: vorremmo semmai strapparle un parere sul suo personaggio in questa fiction di Raiuno, e una rapida considerazione su quelli che sono stati i “tipi” che ha fin qui portato a teatro o in tv che l’hanno accompagnata – e preparata -  in “E’ arrivata la felicità”.


Quando dovevo fare il provino per questo ruolo ho avuto subito un bel presentimento e una bella sensazione. Prepararmi per affrontarlo  è stato molto emozionante. E quando ci si approccia in questo modo a un lavoro/provino, per scelta o per caso, il risultato è sempre positivo ed entusiasmante. Per me portare in scena un personaggio che fosse profondamente napoletano e radicato nella cultura della mia città è stato un grande stimolo, una bellissima opportunità, e una importante occasione per approfondire alcuni aspetti popolari, musicali e folcloristici, della magica Napoli.  Naturalmente, il personaggio di Tony è molto distante da Angelo: parliamo di un altro ceto sociale, di frequentazioni e amicizie diverse, di zone e frazioni di Napoli lontane da quelle nelle quali sono nato e vissuto, eppure, al tempo stesso, sono realtà a cui ho sempre guardato con curiosità e rispetto: sono scorci umani, finestre sul sociale a cui ho sempre guardato con interesse e che al momento giusto hanno rappresentato per me un prezioso materiale a cui attingere per dare vita e corpo al mio personaggio. Inoltre sono anche un musicista appassionato alla ricerca e alla sperimentazione, anche per questo mi sono trovato a mio agio nel ruolo della fiction poiché la cultura neomelodica – come del resto la canzone napoletana classica e la sceneggiata ­- mi ha sempre affascinato e incuriosito. Quindi Tony, e il mondo a cui rimanda, mi hanno dato l’opportunità di portare sul piccolo schermo un’immagine di Napoli e dei napoletani diversa da quella solita e conosciuta ultimamente. Tony Baby, a parte una piccola esperienza di riformatorio per via di cattive frequentazioni e ragazzate, è un appassionato cantante e musicista napoletano, che dedica tutto se stesso all’arte e all’amore. Vive ogni momento con il desiderio di esprimere se stesso e i suoi sentimenti con gioia e amore: è grazie a lui che spero di aver dato un seppur minimo contributo a svecchiare e screditare i soliti cliché gomorriani o grotteschi sui napoletani…
 

Scopriamo una cosa in più su di lei: la passione per la musica…


La musica è forse la mia passione più grande, insieme al cinema. Quando ascolto e studio musica mi faccio trasportare completamente. Ogni genere diverso evoca in me differenti sensazioni, atmosfere e paesaggi, e risveglia emozioni forti, raccontando al tempo stesso le più disparate storie e rivisitando le culture più remote.

 

 


E come si sposano queste due passioni, la musica e la recitazione, nella sua vita di tutti i giorni?


Dico sempre che per me la musica e la recitazione sono due binari paralleli e continui che seguo ogni giorno. Sono importanti punti di riferimento e di guida per il mio percorso di crescita, non solo professionale. Trovo che la musica sia per me, come credo per molti, un potentissimo  mezzo di espressione e comunicazione, di condivisione e contatto. Suono la chitarra, canto e scrivo brani originali per il mio progetto musicale. Ho una band formata da 5 elementi,  “The General Brothers”, nata dal duo formato da me e mio fratello Andrea. Compongo musica e parole in inglese. Finora ho prodotto il mio primo album che contiene sette brani originali, realizzato 5 video musicali, e fatto concerti in Italia, soprattutto Milano e Roma. Con il gruppo portiamo la nostra musica e il nostro messaggio in giro per il mondo ogni volta che ne abbiamo l’occasione. I nostri pezzi sono sul nostro canale YouTube, su Soundcloud; a loro abbiamo dedicato una nostra pagina Facebook su cui vengono regolarmente postate le date dei nostri concerti. Per quanto riguarda la recitazione, invece, gli altri ruoli teatrali e televisivi a cui ho avuto modo di lavorare fin qui durante la mia esperienza accademica e teatrale, variano da William Shakespeare ad Arthur Miller, da Moliere a Brecht, da Carlo Gozzi a Eduardo De Filippo; su tutti devo dire che ricordo con grande amore la personalità multipla di Billy Milligan nello spettacolo “24 volte Billy” scritto da Cinzia Tani e messo in scena da Luigi di Maio.  In televisione poi ho interpretato sia ruoli da “buono” che da “cattivo”. Sono state tutte esperienze significative.

 

Un lungo seriale, con tutti i rischi annessi  e connessi  a un impegno che comporta un intenso periodo di riprese e un altrettanto importante calendario di messa in onda: 24 episodi per 12 prime serate,  e nel palinsesto autunnale di Raiuno: una scommessa vinta anche dal suo personaggio e grazie al suo contribuito istrionico. Ci avrebbe puntato sopra qualche mese fa?


Come dicevo, dal primo momento in cui ho approcciato questo personaggio per i provini, e poi per la preparazione stessa alle riprese, ho sentito un flusso di energia positiva. Un’ondata di pura felicità che credo tutti abbiano respirato sul set, nonostante il lungo periodo di lavorazione e la ovvia stanchezza di troupe e cast. La scrittura è piena di innovazione, freschezza; i personaggi, poi, specialmente quelli di Tony Baby e Nunzia, rappresentano un tassello indispensabile per il conseguimento della tanto agognata felicità a cui il titolo rimanda, per la loro ingenuità, brillantezza e capacità di accettazione, senza però arrendersi mai. Sono tutti “eroi del quotidiano”, latori di messaggi molto positivi, e in una fase di negatività e di pessimismo come quella da cui sta provando a uscire il Paese, direi che non guasta ogni tanto infilare un paio di occhiali rosa…

 

 

“E’ arrivata la felicità”: una commedia, meglio ancora, una saga socio-sentimentale, che prova a raccontare l’amore declinato alla contemporaneità, con tutte le sue difficili realtà - compreso l’universo omosessuale - e le sue coraggiose sfide. Una  narrazione che ammicca al surreale e vira sul politically correct, senza dimenticare di strizzare l’occhio alle fiction storiche di viale Mazzini, e con Claudia Pandolfi e Lunetta Savino a fare da simbolico anello di congiunzione. Come è stato lavorare in questo contesto per lei?


Per me è stato un sogno lavorare con questa produzione. E’ stata la prima volta che ho partecipato a una lunga serie con molti episodi e con un personaggio da portare avanti dall’entrata all’uscita di scena; un personaggio che doveva essere credibile nonostante gli aspetti naif che lo caratterizzano. In questo mi hanno aiutato sicuramente tutti, e in particolar modo la giovanissima e bravissima Simona Tabasco, che interpreta la mia Nunzia, così come recitare con Claudio Santamaria, Massimo Wertmuller, Edwige Fenech, Alessandro Roja, è stata per me una vera e propria scuola di vita e d’arte, tutti loro hanno rappresentato per me un’ispirazione continua e uno stimolo a fare sempre meglio.

 

 


 

 

Ironia, cinismo, sofisticated comedy e, tra le righe, richiami “cult” all’intreccio narrativo tipico di una soap opera ma riletta – meglio ancora, riscritta – da una delle penne più raffinate e brillanti: quella di Ivan Cotroneo. Come si è preparato e come ha affrontato questa corsa a ostacoli tra diversi generi e linguaggi televisivi? 


Quando ci si approccia a un testo e ci si prepara a dare vita a un personaggio immaginato e scritto da maestri della scrittura quali, appunto, Cotroneo e Rametta, tutti gli ingredienti necessari sono già presenti nella sceneggiatura. Le storie, i personaggi, i loro incontri, il loro modo di fare, di parlare e relazionarsi gli uni con gli altri, vengono fuori prima di tutto da una scrittura raffinata e brillante come quella che tutti noi avevamo a disposizione, curata in ogni dettaglio. Quando il testo su cui lavorare è così chiaro e vivo l’attore vive letteralmente una condizione di grazia. Il resto viene da sé: basta lasciarsi scivolare nella storia e viverla pienamente.


Un’ultima domanda: cos’è per lei la felicità? E quando si può davvero dire di averla trovata?


Parlare della felicità già mi rende felice, specialmente in questo periodo di grande impegno e soddisfazioni lavorative. Ovviamente c’è molto di più dietro la felicità. Il lavoro non può essere la sola ragione di vita, ma se si fa il lavoro che si ama e lo si fa ogni giorno con gioia, passione, serietà, cura e amore, allora anche il lavoro diventa uno strumento fondamentale per essere felici. Io credo che occorra essere prima di tutto sinceri e generosi con se stessi e provare a non incappare mai in frequenze negative. Credo che occorra fare sempre quello che ci dice il cuore e la nostra natura. Credo occorra impegnare il proprio tempo mettendo anima e corpo in quello che amiamo.  Credo nel rispetto di se stessi e degli altri.  La felicità non è una condizione statica ma dinamica, è qualcosa che bisogna sentire dentro e alimentare con ogni piccolo gesto in ogni istante: non è un punto di arrivo, ma una dimensione in continuo movimento…
 

Carola Vincenzi

di Carola VincenziGiornalista