Spettacolo

Ben Stiller in Zoolander 2

un supereroe demenziale che fa ridere i teenager di se stessi.

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Zoolander 2In una Roma quasi deserta, spettrale e notturna, un ragazzo incappucciato su uno skate è inseguito da minacciose moto di grande cilindrata: sfreccia nei vicoli del centro, capriola nei portici della città barocca e infine viene messo all' angolo ad un passo dal Colosseo dove cerca riparo presso il portone di una dimora che ha la magnificenza estrosa di una fantasia del Borromini ("Sting! - urla - Sting!", senza risposta).
Alla fine dell' inseguimento viene chiuso contro una cancellata dai centauri assalitori che lo faranno fuori con una mitraglietta d' assalto che gli spara contro centinaia e centinai di colpi a ripetizione (non è una iperbole: il volume di fuoco dura minuti). Quando il ragazzo è a terra, cerca nella tasca il cellulare per l' ultimo selfie. È Justin Bieber ed ha il tempo di postare il proprio volto agonizzante di efebo canadese in rete prima di dedicarsi all' ultimo respiro.

 

Inizia così Zoolander 2, secondo atto di una commedia demenziale sul mondo della moda firmata da Ben Stiller che nel tempo ha raggiunto uno status di culto nonostante i risultati al box office del primo episodio fossero stati buoni ma non leggendari (costato 28 milioni di dollari ne aveva incassati 60: il seguito dovrebbe aver avuto un budget intorno ai 40).

 

Cosa ne ha fatto un cult tra i più giovani? Probabilmente l' idea al cuore di tutto: il mondo della moda diventa il ring del più infantile egocentrismo. Qualcosa di salutare, potremmo dire. Finalmente un cinema alimentato da una satira in cui i teenager, invece di proiettarsi nel supereroe che i genitori contemporanei vorrebbero che fosse (primo a scuola, nella società, nell' economia o nello showbusiness), si rivede allo specchio nella propria nudità: ignorante come un mattone, ottuso come un ritardato e capriccioso come un bambino. Il fascino di Zoolander credo sia proprio quello della verità offerta ad un mondo che ha confuso l' affetto per i propri figli con la incapacità di evitargli la condizione di teenager perenni. Forse è il primo film che gli consente di ridere apertamente di se stessi.

 

C' è solo una cosa più demenziale di un film demenziale. Cercare di raccontarne la trama. si rideva molto nel primo e si ride un bel po' anche nel secondo. Diremo soltanto che c' è qualcuno che sta uccidendo tutte le rock star (Justin Bieber ma anche Madonna e tanti altri), che i due superfotomodelli del film originale (Derek e Hansel, Ben Stiller e Owen Wilson), ritiratisi a vita privata a causa di infausti incidenti, ritornano in pista guidati da Penolepe Cruz, per cercare di sgominare questa cospirazione la cui vittima rituale è il figlio di Stiller, un ragazzino paffutello e cicciotto che il papà scopre con orrore dopo averlo abbandonato, così come un nazista scoprirebbe con orrore di avere un figlio afroamericano.


Il finale ha qualche tocco memorabile: il regista e protagonista è riuscito a convincere i veri signori della moda (come Valentino, Anna Vintour, Tommy Hilfiger) a interpretare una casta di diabolici cospiratori che intendono sacrificare un teenager - interpretando l' inconscio genitoriale - per garantirsi l' eterna giovinezza, guidati da Will Ferrell che già nell' originale vestiva i panni di un riccioluto antagonista dai tratti di transgender scandinavo.

 

 

L' impressione generale è di una sfilata ricca, rutilante e un po' sovrappeso che però non è mai a corto di trovate, piccole detonazioni di colore (come la pioggia finale di glitter), autentico morso satirico e continue battute (come quando Sting, nei panni di se stesso, travestito da frate, confessa che il suo record personale di sesso continuo non è di 10 ore come ha una volta raccontato, ma 15).

 

La cosa migliore del film è proprio Ben Stiller. Attore figlio di attori ( e fratello di attori: la sorella è Amy Stiller), ha preso in mano una cinepresa quando era teenager, è diventato famoso come autore di divertenti parodie in tv e si è affermato come spassosissimo interprete di supersfigati in film come Tutti pazzi per Mary o Ti presento i miei. Ha una capacità di improvvisazione strepitosa: quando ho fatto con lui un lungo incontro a Taormina si è inventato dal nulla nel Teatro, di fronte a migliaia di spettatori, una lunga telefonata alla segreteria telefonica di De Niro in America che ha steso la platea.

 

 

Basso, scattante e disarmonico, con due occhi di cristallo che inchiodano una espressione di stupore e di panico perennemente in agguato sul suo volto, è la caricatura ideale della perfezione estetica del modello di alta moda - ma anche un fragile supereroe di spavalda autoironia.

Ha passato a Roma un bel po' di mesi per girare il film, da febbraio a giugno (è un anno mirabilis per la nostra industria: dopo James Bond anche Zoolander sembra riportarci agli anni d' oro della Hollywood sul Tevere), come un geniale stilista di comicità guida un gruppo di comici amici (il Frat Pack: Ferrell, Owen e Luke Wilson), sembra provare piacere a a fare film molto diversi (provate a confrontare I sogni segreti di Walter Mitty con questo) come i grandi autori comici del passato (da Buster Keaton a Danny Kaye).

 

Il cinema racchiuso nel suo corpo compatto, angoloso e nervoso sembra più denso di quello dei suoi film, ma proprio per questo sembra difficile che faccia qualcosa che non sia interessante, o molto divertente, da guardare.
 

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator