Spettacolo

Intervista inedita ad Ettore Scola: il disegno come primo amore, poi il cinema

Insieme a Fellini si disegnava senza parlare. La gente dei disegni, se vivesse, farebbe una società più allegra, aperta e cordiale.

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Ha iniziato giovanissimo scarabocchiando su quaderni e tavolini di bar (a volte passando le serate insieme a Federico Fellini: “Sedevamo l’uno di fronte all’altro e passavamo intere mezz’ore a disegnare senza dirci nulla”) prima di diventare uno dei più grandi registi italiani del dopoguerra. E benché si sia sempre rifiutato di archiviarli come se fossero opere importanti – l’ultima volta che l’ho incontrato a casa ha aperto delle vecchie cartelle e ha sparpagliato i disegni su una scrivania come se fossero vecchie fotografia di famiglia – i suoi “pupazzetti” hanno avuto l’onore di mostre importanti, In Italia e all’estero.Ecco una chiacchierata inedita con Ettore Scola, realizzata per un documentario presentato alla Festa del Cinema nel 2014 (Prima del film, realizzato da me e Marco Chiarini). La quasi totalità della conversazione che segue è completamente inedita, una piccola parte è stata utilizzata per il film.
Ora che Scola è scomparso, è bello, e struggente, risentire ancora la sua voce.

Qual è stato il rapporto tra il piacere del disegnare e quello del cinema? Nel corso della tua vita l’uno ha anticipato l’altro. E poi si sono un po’ rincorsi.
 
“Il disegno è stato il primo amore, ma anche la mia prima attività. E’ da quando ho 5 anni che disegno dovunque: sui libri, sui giornali, sui pezzi di carta. Raramente ho avuto un album. Ma i disegni sono sempre stati presenti nel corso della mia vita. Il riferimento al disegno è sempre stato presente nella mia attività proprio perché era un modo di pensare e non pensare , allo stesso tempo: di lasciarsi andare. Erano degli scarabocchi, dei ghirigori mentali, quindi, qualunque cosa facessi, se avevo libera una mano, disegnavo al telefono, o anche scrivendo, o anche lavorando. Non hanno mai avuto una destinazione specifica però, quando sono andato a lavorare al “Marco Aurelio” (ma ero già vecchietto: avevo già 15 anni), lì hanno cominciato a ordinarmi dei disegni che dovevo portare il giorno tale in quella misura lì, ecc. Ecco: in quel caso erano dei disegni finalizzati a uno scopo. Altrimenti erano, e sono, tutt’ora, tutti destinati al cestino piuttosto che al cassetto. Poi, nel mio lavoro di regista, il disegno mi è servito anche come lavoro di appunti per qualche idea o per chiarire ai miei collaboratori un personaggio, un gesto, un costume, qualcosa che potesse servire allo scenografo o al costumista. E questa è stata un’altra applicazione utile del disegno."
 
 
 
 
Insomma, disegnare ti serve per fantasticare, per lasciare la creatività a briglia sciolta, per raggiungere un grado quasi zen di trance psicomotoria?
 
“E’ una riflessione, una distrazione, uno svuotamento: non penso quasi mai al disegno che sto facendo, mentre disegno sto pensando a un'altra cosa o anche a niente. E quindi sono dei percorsi grafici di certi stimoli, di certe sensazioni. Infatti, di alcuni disegni non si capisce niente, proprio perché erano stimoli e sensazioni abbozzate, confuse, cangianti."
 
Questa attitudine al disegno, diciamo, un po’ libera ed effimera, tipica della tradizione di tutti gli autori disegnatori (da Fellini a Furio Scarpelli a Virzì) non ha il tratto comune del grottesco? E’ come se l’occhio italiano che emerge dal disegno trasmettesse innanzitutto un continuo stupore nei confronti della varietà della specie umana, dell’apparenza di un corpo di essere espressiva, o magari buffa, assurda, triste, bizzarra..
 
“Sicuramente la collaborazione ai giornali satirici che ha unito e distinto molti di noi è nata insieme al cinema italiano del dopoguerra. Il neorealismo è stata la grande rivoluzione rispetto al cinema del regime: per la prima volta si vedeva l’uomo o la donna nel suo protagonismo dove gesti, espressioni tic diventavano il centro del racconto e dello sguardo. Nei nostri disegni noi ci siamo dedicati sempre alla quotidianità, per cui un passo elegante, uno sguardo tra due disegnetti, tra due personaggi, era quello il racconto. Sì, forse qualcuno si è dedicato al paesaggio ma perlopiù al centro del disegno era quasi sempre rappresentata gente umile. Oppure, satiricamente, erano gli altri ad essere tratteggiati: generali, preti, vescovi. Ma la folla era fatta sempre di gente umile, donnine modeste alla ricerca di un contegno, che magari cercavano goffamente una posa:  o mettendo la mano in tasca o tenendo un bicchiere in una mano oppure inchinandosi stranamente fuori dal  tempo a una signora col gesto settecentesco. Nascevano rapporti anche tra i pupazzetti perché in ognuno di quei pupazzetti c’era la voglia di capire, come era l’uomo, che cosa l’abitava, quali sentimenti quali pensieri quali fughe quali distrazioni, tutti i personaggetti anonimi ma anche i più deformi erano visti con partecipazione, come conoscendoli, come se fossero ritratti di amici, di parenti, già incontrati. Anche quelli di Federico, forse più astratti, più simbolici, però anche loro appartengono alla razza umana: sarà che ho un occhio un po’ deformato, ma io spesso li vedo anche per strada certi disegnetti di Fellini."
 
 
Ettore Scoladisegni
Ettore Scola Disegni
 
 
Eppure, nei tuoi, mi sembra ci sia un eredità figurativa più netta: il gusto, il piacere, l’amore, per il grande disegno del ‘ 900, da Grosz fino a Picasso...
 
“Hai detto: Picasso. Picasso ci ha molto segnato. Ma del resto ha segnato chiunque, Naturalmente noi disegnatori avevamo un occhio particolare per lui, Grosz, Steinberg soprattutto: il grande maestro è stato Saul Steinberg.  Io sono arrivato pochi anni dopo che era dovuto andare via per le leggi raziali ma lui ha contribuito e collaborato al “Marco Aurelio”: lui ha dimostrato come  nel segno di una matita o di una penna, puoi veramente seguire  e circoscrivere il mondo che hai intorno, che vedi, e finisci per amarlo, quel mondo. Perché sono tutti pupazzetti incolpevoli, sono tutti pupazzetti che non farebbero del male se ne avessero la possibilità. Quello che ci ha sempre attirato in loro non è stato il difetto quanto la timidezza, l’inermità. Infatti, quando si dice che il “Marco Aurelio” in qualche modo faceva anche una fronda al partito fascista  - e in qualche modo è vero - è proprio perché era un’umanità contraria quella che si voleva affermare e rappresentare. Non un'umanità “maschia”: il disegno ti permetteva di dire ‘No, guarda che le cose non stanno così’. Gli uomini erano scamazzati, ignorati, umiliati. Le donne, belle o brutte, dovevano essere le custodi del focolare, le madri di tanti bambini, mai una donna protagonista di un'idea, per esempio. Il “Marco Aurelio”, invece, ribaltava questa umanità messa così in castigo dal regime."
 
 
Ettore Scola disegni
Ettore Scola disegni
 
 
Nei tuoi disegni c’è una tendenza a rappresentare dei gruppi di persone, una collettività. Non c’è, in questo, qualcosa che ricorda da vicino sia il tuo cinema sia il cinema di cui hai fatto parte, cioè quell’utopia, che è stata così forte, che si respira in tutto il cinema italiano almeno fino alla fine degli anni 70, per la quale l’inquadratura, al cinema, è l’unico posto in cui la società come totalità si possa davvero vedere? La società finalmente nella totalità delle sue differenze, dei suoi conflitti, della sua straordinaria molteplicità.
 

“Sì, in un certo senso. E’ abbastanza ricorrente nei film che ho fatto il tema dell’amicizia, anche più dell’amore. L’amicizia, tra uomini e tra donne, è anche più importante. La gente modesta, isolata, trova nel contatto, a volte soltanto nello sguardo di un altro, che ha gli stessi suoi difetti, le stesse sue paure, ecco, trovano una amicizia. Era un’unione che graficamente si realizzava mettendoli vicini, non rispettando le prospettive e avendoli molto difformi e distanti l’uno dall’altro. Però si capiva che erano amici e che era l’unico modo di affermare il meglio di loro stessi. Cioè, questa gente dei disegni, se  vivesse, credo che farebbe  un tipo di società , intanto più allegra, ma poi più cordiale, più aperta l’uno all’altro di quella del mondo reale."

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator