Spettacolo

Intervista esclusiva al multiforme Paolo Calabresi. Da Iena a Nicolas Cage, da Boris al teatro e cinema d' autore

Luciano Berio gli disse che era un miserabile. Un termine ottocentesco che lo colpì più di qualsiasi insulto e che non potrà mai scordare.

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 paolo calabresiu 3“Recitare è un gioco che ha delle regole ferree. Se non le rispetti sei fuori. Basta guardare dei bambini che giocano per capirlo. ‘Adesso facciamo che tu eri il Re Leone e io suo figlio’. Se non rispetti quel ruolo il gioco finisce senza neanche bisogno di dirlo”: Paolo Calabresi, che abbiamo imparato molto bene a conoscere grazie alle sue imprese da Iena, ma che ha alle spalle esperienze di apprendistato teatrale prestigiose, non crede che il suo lavoro (“fingere di essere qualcun altro”) che ha procurato a tanti spettatori divertimento, risate e leggerezza, vada preso alla leggera. Se chi lo fa lo vuol fare bene. Lui lo ha fatto in tanti modi. Nel piccolo e nel grande schermo, nel talk d’intrattenimento e nelle serie tv, nelle soap e nel teatro d’autore. Si tratta insomma di una soggettività sfaccettata ed esigente, liquida e multiforme, più complessa e ricca di quanto la sua esperienza di attore perlopiù comico lasci trapelare

“Grazie per il multiforme”

 

Paolo Calabresi intervista

 

- Diciamo che fino a venti o forse dieci anni fa sarebbe stato difficile trovare uno come te che ha praticato la televisione delle Iene, che ha fatto fiction, teatro e cinema e che poi si è inventato performance di puro trasformismo “live”
“Svuoto cantine anche”


- Buono a sapersi. Ma è vero che una volta a teatro hai provocato un vuoto in scena perché stavi telefonando nel camerino?
“Stai dimostrando di sapere troppe cose. Comunque è vero. Era un’opera di Berio e io facevo la voce recitante che spiegava quello che succedeva in scena e senza di me che raccontavo quello che accadeva, non si capiva nulla. Io non mi accorsi che dovevo trovarmi in scena (ero quello che apriva ogni atto): ero al telefono, durante un intervallo, con mia moglie discutendo chi doveva portare o accompagnare i bambini da qualche parte. Il direttore d’orchestra fece per dare il segno d’inizio ma si fermò con la bacchetta a mezz’aria perché scoprì che non c’era nessuno sul palco. Era anche il giorno in cui c’era Radio Tre che mandava in diretta l’opera. Alla fine Berio venne da me e mi disse: ‘Lei è un miserabile’. Un termine ottocentesco che mi colpiì più di qualsiasi insulto e che non credo potrò mai scordare”


- E tu, che hai risposto?
“Sì, maestro”

 

 

 

- Poi però sei diventato molto bravo a fare due cose diversissime. Una è quella di impersonare perfettamente qualcun altro dal vivo
“Il trasformista. E’ un appellativo che mi porterò per sempre addosso nella mia vita. Perché effettivamente per molto tempo ho deciso di essere altre persone in situazioni reali. Come se io adesso facessi credere a te di essere Nicolas Cage in questo momento e tu davvero credessi di stare intervistando lui”


- Non èun nome a caso. Tu hai davvero impersonato Nicolas Cage in pubblico più di una volta
“Hanno fatto scalpore. Per gli altri era come se facessi un gioco, uno scherzo. Ma per me invece è il mio lavoro. Fingere di essere qualcun altro. L’ho fatto una ventina di volte, all’insaputa di chi mi stava intorno”


- E’ anche un talento
“Certo. Ma non ce l’ho solo io. Tutti gli attori sono dei trasformisti, La differenza è che io non l’ho fatto di fronte ad una macchina da presa o in un teatro ma nella vita”


- Tecnicamente sei un ‘situazionista’
“Sì. Io ho iniziato a farlo in un momento di disorientamento, dopo la morte di Strehler che è stata la persona che mi ha preso da un mondo completamente diverso e mi ha portato al teatro: è stato proprio lui che mi ha insegnato che questo lavoro è fondamentalmente un gioco – anche se va fatto con regole molto precise”


- E poi, invece, c’è questa magnifica capacità di recitare come se non facessi che stare fermo. Parlo del tuo personaggio più noto, Biascica, che in Boris è una sorta di operaio del set dallo sguardo vuoto e dai riflessi ritardati, come se fosse immerso in una perenne condizione zen
“Io Bascica lo farei per tutta la vita. La fissità di cui parli è proprio il tratto più intrigante, vero e eccitante dell’interpretarlo”


- Ho idea che far passare nello sguardo di qualcuno il vuoto assoluto sia altrettanto difficile del contrario

“Biascica in realtà è un uomo dilaniato. E’ rinchiuso dentro il corpo di un energumeno ma ha il cuore e la tenerezza di un orsacchiotto”

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator