Spettacolo

Giorgio Tirabassi si racconta in esclusiva: la sindaca di Roma si deve occupare di cultura

L’occasione per il pubblico di scoprirlo comico, invece che drammatico. Sul set per il mito di Nino Manfredi.

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giorgio tirabassi romantica“Virginia, occupati anche di cultura. Perché qui i teatri chiudono anziché aprire; e quando in una città i teatri chiudono qualcosa, forse, non va”.
L’appello al nuovo sindaco di Roma non arriva da un semplice attore romano. Perché non è semplicemente un attore romano, Giorgio Tirabassi.
Giorgio Tirabassi è l’incarnazione stessa di Roma, in tutte le sue sfumature e contraddizioni; è il portavoce di una cultura da riscoprire e da difendere.
Il dialetto che usa lui non è un lasciapassare per commedie e gangster movie, ma il passaporto per un viaggio dentro le radici, la storia, l’identità della città dai mille volti. Come mille sono quelli di Tirabassi che canta, recita, declama poesie, suona chitarra, armonica, contrabbasso e percussioni, spaziando dal blues al rap fino agli stornelli, entra ed esce da personaggi lontani tra loro ma uniti dallo stesso tono scanzonato. Da quell’epica quotidianità, quella leggerezza drammatica, quell’ironia seriosa tipicamente capitolina e riassunta in una battuta del celebre commissario Ardenzi, che di fronte una spiritosaggine inopportuna detta per “sdrammatizzare” replica: “Ma perché devi sdrammatizzare? Questo è un dramma, se lo sdrammatizzi non è più un dramma!”.
Diviso sempre tra palco e set, sta girando l’Italia con il recital Romantica, tratto dal suo omonimo album ededicato al grande patrimonio della canzone e della poesia romana, ed è reduce dal set di In arte Nino, film dedicato alla giovinezza di Nino Manfredi, diretto dal figlio Luca e interpretato da Elio Germano, Miriam Leone e Duccio Camerini.
 
Da dove nasce Romantica?
“Dalla grande passione che ho, sin da ragazzino, per la musica e la poesia romana. Con il tempo sono riuscito a recuperare spartiti, dischi e libri riguardanti usi e tradizioni popolari che raccontano come era Roma prima dell’Unità d’Italia, che è forse poi il momento più autentico della città. E anche se non abbiamo un repertorio vasto come quello napoletano vale la pena di far conoscere canzoni che sono straordinarie. Ed è divertente il modo con cui le abbiamo riproposte al pubblico per farle conoscere ai non romani, ma anche ai romani che conoscono solo Ma che ce frega ma che ce importa. D’altra parte nei miei spettacoli ho sempre cercato di raccontare Roma in modo meno gratuito di come viene raccontata di solito. Insomma non c’è solo il romano inopportuno e volgare, ma anche un aspetto più romantico e poetico che vale la pena di far conoscere”.
 
 
romantica tirabassi
 
 
Cielo Pessione Fabrizi ti ha definito uno degli eredi di suo zio Aldo. Quali sono stati i tuoi modelli, tra i grandi artisti romani?
“Tra i miei miti forse il più marcato è stato Gigi Proietti, con cui poi ho lavorato per tanti anni. Ma anche lo stesso Aldo Fabrizi, Nino Manfredi, e poi Gabriella Ferri, Fiorenzo Fiorentini, Lando Fiorini, Alvaro Amici... anche se poi non mi corrispondono nello stile, hanno fatto lavori importantissimi sul repertorio romano. D’altra parte è giusto avere riferimenti ma poi è anche giusto abbandonarli”.
 
Quando e come hai deciso di fare l’attore?
 “Da ragazzino ero sempre al centro dei gruppi, facevo ridere, raccontavo le barzellette, anche se non pensavo certo che sarebbe diventato un lavoro, anche perché fino a 18 anni balbettavo moltissimo. Invece è nato un grande amore per il teatro durante la scuola e così ho cominciato ad avvicinarmi a questo lavoro. Poi ho fatto un provino con Proietti che cercava un attore: io suonavo la chitarra, cantavo, avevo anche fatto un corso di mimo, e così sono entrato nella sua compagnia”.
 
Nel tuo curriculum c’è anche Forza venite gente, il celebre musical su Francesco d’Assisi
“Avevo un ottimo rapporto con Mario Castellacci, che era un po’ la parte più colta del Bagaglino. C’era una sostituzione da fare e io feci una tournée vestendo i panni del lupo e del diavolo. E’ stata un’esperienza di teatro musicale molto gratificante”.
 
Come vedi, da romano, questo primo sindaco donna: Virginia Raggi?
“La sua elezione me l’aspettavo. Sinceramente spero che ci sia qualcuno interessato anche alla cultura, e non soltanto alle infrastrutture. Perché nel dibattito politico sento poco parlare di cultura, e questo mi dispiace. L’estate romana è sempre più scarna, i teatri chiudono. Spero davvero che Raggi faccia un buon lavoro”.
 
Sul set di In arte Nino hai ritrovato Elio Germano, con cui avevi lavorato dieci anni fa in Borsellino.
“La cosa buffa è che in entrambi i film Elio interpreta un personaggio chiamato Manfredi: Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, e Nino Manfredi”.
 
Cosa ha rappresentato per te vestire il panni di un personaggio così importante?
“Mi sono documentato tantissimo. Ho letto tutto quello che potevo leggere e  conosciuto la famiglia, a cominciare proprio da Manfredi”.
 
Capita raramente che i parenti apprezzino questo tipo di lavori.
“In questo caso, invece, il rapporto con la famiglia di Paolo Borsellino è stato bellissimo. Posso dire davvero che, in qualche modo, sono diventati la mia famiglia”.
 
Quel ruolo ti ha cambiato la vita?
“Assolutamente. Mi ha fatto crescere, come attore ma anche come uomo. D’altra parte non capita spesso di interpretare un personaggio più intelligente dell’attore: di solito i ruoli sono scritti in modo molto leggero e quello dell’attore è un ruolo soprattutto di carattere tecnico, mentre confrontarsi con una figura come Paolo Borsellino ha rappresentato davvero una forma di crescita, sotto tutti i punti i vista”.
 
 
 
 
Fabrizio Moro disse di aver scritto la canzone Pensa dopo aver visto il film.
“E’ una cosa che mi ha fatto molto piacere, anche perché non è stato influenzato solo lui: abbiamo ricevuto lettere di ragazzi che dopo aver visto quella fiction  hanno scelto di iscriversi a Giurisprudenza anziché a Economia o Scienze politiche”.
 
Nel film su Nino Manfredi che personaggio interpreti?
“La mia è una piccola partecipazione. Il film racconta la prima parte della vita di Nino Manfredi, dalla giovinezza fino alla celebrità con Canzonissima. Lui ha avuto un periodo di sanatorio e io interpreto un portantino che lui raccontava essere diventato poi suo amico”. 
 
Tu hai fatto molto teatro, ma poi hai raggiunto la grande popolarità con un telefilm: Distretto di polizia. Cosa ha rappresentato?
“Il grande salto, quello che tutti gli attori vorrebbero fare: una serie di successo con un ruolo che ti senti addosso, che reciti con facilità e che coinvolge la gente. È stata anche l’occasione per il pubblico di scoprirmi comico, mentre fino ad allora avevo lavorato soprattutto come attore drammatico”.
 
Perché “Distretto” era così diversa dal resto delle fiction?
 “Questa differenza è stata fortemente voluta. Tutto il cast era molto preoccupato dell’operazione, perché la fiction televisiva, sedici anni fa, lasciava il tempo che trovava. C’erano storie molto romantiche, personaggi puliti, asettici, non passava verità. Invece Pietro Valsecchi decise di mettere facce e professionalità cinematografiche; poi abbiamo cominciato a sporcare il linguaggio con gli accenti per dare maggiore verità. A quei tempi il romanesco si usava solo per le commedie, mentre noi lo abbiamo usato creando un equilibrio giusto tra dramma e commedia”.
 
 
 
 
Dieci anni fa hai abbandonato il ruolo che ti aveva dato la celebrità. Poi lo hai ripreso l’anno scorso, per uno spin off di “Distretto”: Squadra mobile. Tornerai ancora a vestire i panni di Roberto Ardenzi?
“Abbiamo finito di girare ai primi di aprile la seconda serie, ma non so se andrà in onda i primi di settembre o a gennaio. Ardenzi per me è un fratellone, ormai”.
 
Al cinema e in televisione hai fatto anche parte della squadra del rivoluzionario Boris, satira proprio del mondo delle fiction e del cinema. Tu cosa trovi più stimolante oggi: cinema o televisione?

 “Dipende che attore sei e che stimoli vuoi. Oggi la grande produzione è televisiva, quindi la maggior parte delle cose passano di lì. Al cinema ci sono registi che fanno ogni due anni film interessanti; dipende dalle opportunità, dal singolo progetto. Ma dipende anche che direzione vuoi dare alla tua carriera”. 

Arnaldo Casali

di Arnaldo CasaliGiornalista esperto di Spettacolo, Cultura, Religione.