Spettacolo

Intervista esclusiva a Ken Loach. Il cinema per raccontare le classi più deboli.

“Volevo fare l’attore ma sono stato uno dei peggiori in circolazione. Non conosco niente come il cinema che ancora abbia il potere di scuotere le persone, agitare le coscienze”

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Io Daniel Blake Ken LoachUn falegname tenuto a casa da una patologia cardiovascolare che non può presentare domanda per il sussidio perché il suo malessere non è una giustificazione per non cercare lavoro. Una donna sola, con due figli, cui gli impiegati che dovrebbero assegnarle assistenza e alloggio non concedono alcuna forma di comprensione. Sono i due protagonisti del film di Ken Loach che ha trionfato al Festival di Cannes: Io, Daniel Blake. E’ un ulteriore, sorprendente, segno di vitalità e rabbia e umorismo di un autore che ha da sempre usato il cinema per raccontare come ciò che il mondo ci presenta come inevitabile sia totalmente inaccettabile. L’unica via che ci resta è cercare di modificarlo. Tutti insieme.

“Avevo deciso di smettere di fare del cinema ma poi mi guardo intorno e vedo quello che succede intorno a me e sento che è necessario fare qualcosa. Non puoi fare finta di niente quando vedi quello che succede a persone come Daniel Blake. Provo sdegno e sento che tutti quanti siamo in qualche modo responsabili. E’ una situazione che abbiamo visto più volte durante la preparazione del film, per la quale abbiamo visitato tante diverse città inglesi. In ogni centro c’è sempre una "banca del cibo" per i poveri che non possono permettersi neanche una scatola di tonno. L'Inghilterra è piena di queste storie . Abbiamo esplorato il nord a est e a ovest del paese e poi abbiamo deciso di fermarci a Newcastle che ha una tradizione di lotte operarie. Ogni settimana in Inghilterra centinaia di famiglie si presentano a fare richiesta di sussidio perché non hanno da mangiare”

 

Il film descrive molto bene il modo in cui l’Amministrazione Pubblica, attraverso lo schermo della tecnologia, offre indifferenza, avversione, cinismo e anaffettività a chi chieda aiuto allo Stato .

“Si trovano di fronte a una burocrazia kafkiana! Costretti a stare ore al telefono per riuscire a parlare con un operatore. I media non se ne occupano, ma non è accettabile che oggi ci siano famiglie che non abbiano di che nutrirsi o proteggersi dal freddo. Puoi perdere il sussidio se salti l’incontro al job center per via di un lutto o per qualsiasi altro giustificabile problema. È un incubo, una trappola e le vittime sono, come sempre, i più deboli, i disabili, coloro che hanno problemi fisici e mentali.”

 


Fino a che punto questa situazione è così diffusa?


“Non c’è città inglese che non abbia segnali di vita disperata e le statistiche parlano chiaro: negli ultimi quattro anni ci sono stati dai due ai tre milioni di persone che sono vicine all’indigenza. Vedi una banca del cibo e ciò ti stupisce. Ventiquattro ore dopo le persone ci fanno già l'abitudine”

 


Come è cambiato il mondo e il suo mestiere da quando ha iniziato a fare del cinema?


"Quando eravamo giovani volevamo fare la rivoluzione e sopprimere il capitalismo. Non abbiamo fatto la rivoluzione però il capitalismo è morto lo stesso. Ma il risultato è che la crisi del capitalismo ha come conseguenza perversa il fatto che stiamo facendo a pezzi tutto ciò che rende umana e civile una società. Togliamo il sostegno ai disabili, teniamo i giovani a casa con i genitori senza speranza di lavoro. Per non parlare degli ospedali e della qualità dell’assistenza medica”.

 

 

 


Crede ancora che il cinema possa fare la differenza?


“Non conosco niente come il cinema che ancora abbia il potere di scuotere le persone, agitare le coscienze. Anche se il cinema in quanto tale non può cambiare niente. Io del resto credo innanzitutto in uso della camera come se fosse un osservatore partecipe. Sta in un angolo della stanza e osservare cosa accade. Mostra rispetto nei confronti del soggetto e cerca di non esercitare alcuna pressione standogli troppo vicino. La camera è come un occhio umano, risponde alle sollecitazioni, entra in empatia con i personaggi e cerca di comprenderli”

Nonostante il suo urgente richiamo alla cronaca, la critica inglese ha parlato addirittura di un film che ha qualcosa di profondamente commovente e romanzesco come i libri di Dickens.


“Ringrazio i critici ma per me è importante che il film serva innanzitutto come contributo, anche minimo, ad un vero cambiamento. La cosa più importante per me sono gli attori, il loro istinto, la mia capacità di metterli in condizioni di dare al personaggio ciò di cui ha bisogno per sembrare vero. A volte ho imparato anche a sorprenderli, togliendo pagine di sceneggiatura per metterli di fronte improvvisamente a situazioni sconosciute”

 

Del resto lei ha iniziato come attore, è stata la sua prima vocazione.


“Sì è vero, era ciò che volevo fare. Ma penso di essere stato uno dei peggiori attori in circolazione. Ho lavorato in diversi spettacoli nel West End, ma non ho mai indossato i panni di Amleto per intenderci. Anche se una volta ho interpretato una volpe in uno spettacolo per bambini che non era così male”

Mario Sesti

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di Mario SestiCritico e Festival Curator