Spettacolo

Intervista a Stella Egitto, attrice siciliana nata a teatro, che prova a consegnare la sua anima e corpo al lavoro

Sono pignola e autocritica. Mettersi in discussione. Provare. Rischiare. Toppare. E poi rimettersi in piedi.

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Stella Egitto Pif“Io credo che la disciplina e la preparazione, in questo lavoro dove perlopiù la gente pensa che gli attori siano quelli che prendono gli applausi o vengono riconosciuti per strada, io credo che possano fare la differenza”: Stella Egitto, alla ribalta dallo scorso autunno per il suo ruolo di siciliana autoctona nel film di Pif, In guerra per amore, non ha dubbi a riguardo, anche se ribadisce la sua fede, quasi militare, nella preparazione degli attori in un Paese che sotto sotto è convinto che un po’ attori lo siamo tutti (basta fingere). Il suo itinerario che dall'esordio in "Decameron" di Daniele Luttazzi alle serie come Squadra Antimafia 3 e Questo nostro amore e Romanzo Siciliano, ad Aristofane, Goldoni e Pirandello a teatro, impone una certa attenzione per le sue convinzioni.

Ecco, ma se dovessi spiegare ad un ragazzo o ad una ragazza, dei giovani, cosa significa essere preparati in quanto attori, cosa diresti?

Essere preparati per un attore significa innanzitutto sapere bene qual è il territorio in cui ti muovi e quindi esplorare e conoscere al meglio che si può il contesto in cui il tuo personaggio finisce per appartenere in una scena. Significa innanzitutto farsi delle domande. Che è la cosa più importante. Se il lavoro è fatto bene poi le risposte arrivano piano piano e da sole
Hai detto da qualche parte che il tuo lavoro è fondamentalmente consegnare la tua anima e il tuo corpo a qualcosa di diverso da te.
E’ esattamente questo. E’ proprio così. Questo lavoro è proprio questo movimento. Da una parte la tecnica, lo studio, l’accanimento, e dall’altra l’abbandono. C’è un momento, dopo il lavoro e la disciplina e lo studio, in cui devi semplicemente farti attraversare da quell’altro che è il tuo personaggio e lo sguardo di chi lo sogna e ti dirige.


E qual è il momento del piacere, dell’appagamento?


Tutti e due. Anche la fase della ricerca è molto bella: anche se non contempla il momento vero e proprio della restituzione sulla scena, del lavoro espressivo e naturalmente dell’immedesimazione.


E’ vero che quando lavori alle prove in teatro ti scoccia persino ritornare a casa per una doccia perché in quel momento avverti anche la tua abitazione come un luogo estraneo?


E’ così. Io mi sono formata a teatro. E’ quella la mia casa.


Ti sei formata all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico – che quest’anno compie 80 anni


Per tre anni la mia vita è stata lì, 10 ore al giorno, sei giorni su sette. Io sono siciliana, anche se ormai risiedo a Roma da diversi anni. Inizialmente la mia vita è stata fondamentalmente questo, vivere e studiare in Accademia. E francamente non desideravo altro: trascorrere del tempo a studiare e esplorare ciò che avevo già capito da tempo di amare. L’ Accademia ha affinato alcune attitudini, mi ha regalato diverse consapevolezze e soprattutto mi ha consentito di aprirmi a incontri decisivi.
Il cast di In guerra per amore è quasi totalmente siciliano. Nascere in Sicilia significa spesso, e volentieri, lavorarci. E’ una origine che marchia il tuo DNA. Raccontare una esperienza siciliana, per un siciliano, significa anche inevitabilmente impegnare un grande senso di responsabilità.

 

 


Tra le tue attrici preferite citi Manuela Mandracchia, con la quale, tra l’altro, ho avuto la fortuna di lavorare.


La adoro. E’ una attrice di sorprendente bellezza in scena. In lei quei concetti di tecnica ed anima di cui ti parlavo prima sono perfettamente fusi insieme: si tratta di una collusione della prima con la seconda il cui controllo e gestione è proprio ciò che fa grandi i grandi attori, secondo me.

Spieghiamolo...


Il lavoro dell’ attore, soprattutto a teatro, spesso corre il rischio della ripetizione. E’ il primo rischio da evitare, perché è un mestiere fatto, invece, di vita, dove ogni vissuto è inedito. Se in scena non ci si parla e non si creano le condizioni per dare ad ogni scena questa qualità, il rischio è proprio la ripetizione. E’ la ragione per cui spesso a teatro ci si annoia. Tutto il mio lavoro, tutto ciò che io ho capito è che il mio lavoro deve essere tutto teso proprio a questo. Alla ricerca di una freschezza che magari può portare a non diventare fanatici della pulizia. Che forse come attrice mi interessa meno.


Un’ ultima cosa. La prima volta che ti sei vista su uno schermo, che cosa hai capito di te?


(risate e altre risate)
La prima volta che mi sono vista era in uno sketch del programma televisivo di Daniele Luttazzi, “Il Decameron”. Ero ancora in Accademia, non credo di aver capito molto. Poi, quando sono arrivati i ruoli e ho avuto modo di rivedermi, ho capito che a volte posso fare di più che a volte mi piaccio abbastanza e altre volte molto poco.


Sei intransigente


Mi viene in mente una parolaccia molto popolare, almeno a Roma, per descrivermi. Ma non la dirò. Sono pignola e autocritica. Lo so che non c’è niente di più retorico di quello che sto per dire ma si tratta anche dell’unico vero metodo per crescere: mettersi in discussione. Provare. Rischiare. Toppare. E poi rimettersi in piedi.

Mario Sesti

di Mario SestiCritico e Festival Curator