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Le due facce del Brasile e la grande movida enogastronomica

Sono nate università della cucina che insegnano le tecniche di realizzazione dei piatti delle loro tradizioni etniche: non solo la feijoada e il churrasco.

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Tutti o quasi tutti sanno dove si trovano Rio de Janeiro, Bahia e S. Paolo, ma solo un’élite di viaggiatori conosce e sa dove si trovano Pipa, Canoa Quebrata, Porto de Galinha e Jericoacoara: un poker di località vincenti nel povero ma magico Nord-est, ricche di straordinarie bellezze naturali. Lo stesso Nord-est nel quale Ugo Pratt intingeva la penna per trovare l’anima delle sue storie di grande sensualità e ancora oggi abitato da una umanità poco contaminata dal “tutto compreso”.

L’ambiente e la natura di Jericoacoara ci racconta di un mondo nel quale tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo sognato di svegliarci una mattina e, dopo aver fatto colazione, salire su una Bughi e correre liberi sui suoi lungomare senza soluzione di continuità. E fermarsi per dissetarsi con un’agua di cocco per poi arrivare sulla cima delle dune di sabbia che ricordano quelle dei grandi deserti, facendo un pieno di emozioni da raccontare agli amici in diretta con il cellulare…. Oppure fare sport praticando lo snow-board sulle ripidissime dune dalla finissima sabbia e Sempre “andando” costeggiando il “bordo do mar”, si arriva alla Laguna Blu, altro posto straordinario per la sua caratteristica bellezza: incastonato tra le alte dune, c’è un piccolo azzurro lago d’acqua dolce, location perfetta per la tranquillità dell’acqua e il forte vento che permette ai campioni del mondo del Kite-surf di fare pazzesche evoluzioni o, più saggiamente, godersi una caipirinha su un’amaca immersa nell’acqua. Il ritorno, quando il sole sta per tramontare, è un inno onirico alla struggente bellezza della natura.

Venti anni fa Jeri era solo un piccolo villaggio di pescatori. Oggi, con i “new-hippy”, le pousade, le piccole boutique e i ristorantini sempre aperti, è cresciuto, ma non è cambiata l’aria che si respira: è sempre quella da tropico perduto. Jericoacoara è distante 300 chilometri da Fortaleza. Ci si può arrivare sia in auto che con un bus aereo che in 40 minuti vi deposita su una striscia d’erba vicino alla cittadina di Jijoca, e da lì, con un fuoristrada, si raggiunge Jeri, attraversando il parco nazionale.
A Jeri la vita non costa molto, le pousade e il mangiare sono a buon mercato e va detto che tutto è di ottima qualità.

 



Se a Jericoacoara c’è l’ambiente giusto per i giovani che fanno attività sportiva, a Canoa Quebrata e Porto di Galinha, il più urbanizzato di questi paradisi, esiste un centro commerciale per lo shopping e durante la bassa marea si può raggiungere la barriera corallina con le jangade che fanno la spola dalla spiaggia. Si può così fare il bagno nelle piscine naturali circondati dai pesci rimasti intrappolati nello specchio d’acqua e, per la gioia dei bimbi, si può andare a vedere i cavallucci marini presi sul momento da ragazzi esperti, ma poi rimessi in acqua.
La sera si può cenare in graziosi ristorantini, accarezzati dalle melodie della bossa-Nova di Tom Jobim e Vinicius de Moraes, cantate in riva al mare.

Ma non solo spiagge, sole, calcio, samba, carnevale e belle donne, lo spot pubblicitario di sempre del Brasile. La grande movida enogastronomica che ha invaso gran parte del mondo non ha lasciato indifferente i brasiliani. Loro non corrono dietro alle mode, ma le esportano, e al dilagante “maccaroni e pizza” rispondono alla loro maniera, con nuove idee e proposte informali di ristorazione. Anche se sono arrivati tardi a cavalcare l’onda innovatrice che si è diffusa nelle cucine di tutto il mondo, ora stanno recuperando velocemente il gap, grazie ai loro prodotti alimentari come la carne, il pesce, i crostacei, uniti a un’ampia varietà di verdure. Realizzano così piatti etnici, attuando nello stesso tempo una rivoluzione nell’uso di prodotti quali il pescecane, o tubaron, come viene chiamato in portoghese.

 



Il Brasile è scosso da una febbre di uguale intensità per l’enogastronomia analoga a quella avvenuta in Italia, in Spagna, e negli Sati Uniti. Sono nate università della cucina con docenti qualificati che insegnano le tecniche di realizzazione dei piatti delle loro tradizioni etniche: non sono solo la fejoada e il churrasco, piatti conosciuti in tutto il mondo, ma anche creazioni nate dalle vaste opportunità offerte dagli straordinari alimenti prodotti dalla loro terra.
Questo dilagante interesse gastronomico è iniziato già da qualche hanno, ma solo da poco, con la crescita economica del paese, ha preso avvio la febbre del food e del vino.

“Esterno giorno, ristorante che si affaccia sulla spiaggia di Ipanema”: Serveja? No, grazie. Spumante Chandon, o vino tinto. E’ la risposta che sempre più spesso si sentono dare i camerieri dei ristoranti quando vanno a prendere le ordinazioni ai tavoli. In Brasile fino a pochi anni fa non si beveva vino, solo qualche volta, nelle case o nei club.
Pochissimi conoscono il vino brasiliano, arrivato da poco sui mercati, ma questo vino riserverà molte sorprese ai seguaci del nettare di Bacco.

Il motore di questo interesse non poteva che iniziare dalla megalopoli brasiliana: San Paolo, la città dove per la sua freneticità, prima si consuma, poi si sperimenta. Alex Atala, lo chef e patron del più esclusivo ristorante della città, il D.O.M. (acronimo di Domus, Optimus, Maximus, antico motto dei monaci benedettini), lo ha capito bene e, grazie alle sue invenzioni culinarie che hanno stupito i palati più esigenti del Brasile, è diventato in poco tempo un punto di riferimento della nuova cucina brasiliana.
Altra idea vincente di ristorazione sono i ristoranti al “Chilo”, dilagati in tutto il Brasile. La forza di questo tipo di ristorazione è quella di permettere l’uso e la sperimentazione di alimenti ancora non diffusi nelle cucine tradizionali, come i filetti di “tubaron” (squalo) in salsa delicata di Cajù e sementi di pimenta: piatto raffinatissimo, o una perfetta “coda alla vaccinara” in bianco…. Proposte del ristorante al Kilo da Marilù Angel, una colta e raffinata cuoca di mezza età che ha fatto esperienza in Italia, Francia e Spagna, nella cucina-laboratorio di Ferran Adrià, il rivoluzionario chef catalano. Quando, soddisfatti delle scelte, si va alla cassa, si posa il piatto su una bilancia che pesa il tutto: si pagherà in percentuale del peso effettivo degli alimenti, in base al prezzo fissato per il consumo di un chilo di cibo, quale esso sia. Non si spende mai piu’ di 10, 12 euro per un pasto.

Le proposte “point” (trendy in brasiliano) in questo momento sono informali, piccoli ristorantini molto spartani, ma vivaci, dove si possono gustare sperimentazioni gastronomiche come in quello di Maria del Carmine, una cuoca madrilena, che propone semplici “tiragusto”: 60 assaggini delle antiche tradizioni della cucina brasiliana, come la “muqueca de camaroes”, piatto Bahiano, o “carne seca desfiada a miniera” di Minas Gerais, o un semplice “frango a moda della Garota de Ipanema”, pollo schiacciato e caramellato, alla moda di Rio. Tapas spagnole e fritti vegetali all’italiana. In un bar-cortile che si affaccia su una strada interna del Bairo, a Leblon, la zona più in di Rio, si dà appuntamento una società eterogenea che, all’ombra di lussureggianti piante tropicali, assaggia abbinamenti curiosi per il palato, un tempo accompagnati soltanto da quella droga naturale che è la “caipirinha”, ma ora accompagnati anche da un “ vino rosso ben gelato”.

 



Ma anche tante proposte della loro tradizione gastronomica Brasiliana, che è l’espressione di tre culture che si sono fuse nel tempo: la india, la portoghese e l’africana e prima di assaporarla e capirla bisogna ascoltarne la musica: “nel silenzio essenziale dove vive l’indio, che si fonde con il suono che emanano le corde di una chitarra portoghese, che si integra con la percussione sincopata di un tamburo africano”. Così dall’Amazzonia arriva un “peixe na folha”, una creazione india composta da farina de manioca, jaraqui (pesce d’acqua dolce del Rio Negro) avvolto nelle foglie di cha (te), affumicate con otto pimenta murupi, un peperoncino che solo ad annusarlo si piange tanto è forte; la portoghese, “galinha mourisca” , con cipolla, burro, un cucchiaio di caffe’, una salsa con due limoni, e una tazzina di roti di gallina africana; “la mucheca di camaron”, con gamberi e olio giallo di Denden, estratto da un piccolo frutto che cresce sulle palme, con pomodoro e pimenta.

Piatti che una volta assaggiati, non si dimenticano.

Jerry Bortolan

di Jerry BortolanReporter, giornalista di viaggio ed enogastronomico.